La grande guerra di Joey
Una famiglia in difficoltà, la minaccia della guerra in arrivo, e la grande amicizia tra un ragazzo e un cavallo come nessun altro. Sono premesse da family movie, quelle di War Horse, e non vengono mai disilluse nello svolgimento, nonostante le ambizioni di una pellicola che si impone di offrire una prospettiva originale sulla Prima Guerra Mondiale, e di celebrare il destino dei tanti animali che hanno patito quanto i loro "commilitoni" bipedi durante uno dei più crudeli conflitti della storia dell'umanità.
Che Joey sia un cavallo speciale, è evidente fin dai primi momenti di in cui il suo giovane, futuro padrone lo osserva muovere i primi passi accanto alla sua mamma, sullo sfondo l'incredibile scenario delle campagne del Devon. Presto il cavallino, acquistato per capriccio dal padre torturato e alcoolizzato dell'adolescente Albert, concretizzerà la prima parte del suo destino regalando al suo padroncino gioia e orgoglio incontenibili, e alla famiglia una chance insperata, finendo poi per salvarli dalla rovina con il suo sacrificio: Joey, infatti, finisce venduto a un ufficiale della cavalleria britannica diretto verso le linee di combattimento francesi. E inizia un viaggio epico e doloroso in cui dimostra, su un fronte e sull'altro, tra i suoi simili e tra i nostri, di avere l'autentica stoffa dell'eroe.
Michael Morpurgo, autore del libro per ragazzi - pubblicato nel 1992 e in seguito convertito in un successo per il palcoscenico - da cui è tratto War Horse di Steven Spielberg, dedicò anni alle sue ricerche sulla sorte dei milioni di cavalli impiegati durante il primo conflitto mondiale - allo stesso tempo l'ultima guerra antica e la prima moderna - in battaglia ma sorpattutto come animali da traino e da carico: soltanto un milione morirono tra le fila degli inglesi, oltre dieci, secondo le proiezioni di Molpurgo, globalmente. Joey è il suo omaggio al loro martirio, ed è lo strumento, per Spielberg, per affrontare per la prima volta uno scenario che lo ha interessato per molti anni, una guerra spaventosa e romantica che il regista di Schindler's List gestisce con immenso impegno tecnico e grande coinvolgimento emotivo. Il lavoro dei reparti tecnici di War Horse è, prevedibilmente, di grande impatto, dalla vibrante fotografia di Janusz Kaminski, che esalta l'incanto delle location autentiche, alle scenografie sontuose di Rick Carter; dai temi trascinanti congegnati dal solito immarcescibile John Williams fino a quello che è forse l'elemento davvero formidabile di questa produzione, la gestione dei protagonisti a quattro zampe. Soltanto un regista come Steven Spielberg possiede oggi le risorse, il genio e la devozione per un lavoro così possente, realizzato interamente in live action, senza alcun intervento in CGI. Così, numerosi splendidi esemplari, guidati da tre diversi trainer (nel film incrociamo ben quattordici Joey, e quattro cavalli impersonano Tophorn, il compagno di sventura del nostro eroe), si sono avvicendati davanti alle lenti di Spielberg e Kaminski, per creare sequenze intime e sussurrate, e momenti di entusiasmante spettacolo.
Peccato che al fasto tecnico non corrisponda un lavoro altrettanto meticoloso sullo script: il lavoro di Richard Curtis e Lee Hall conserva molte delle ingenuità della struttura del romanzo, e gestisce in maniera eccessivamente semplicistica diversi snodi narrativi, rendendo l'odissea di Joey, e la sua stessa, straordinaria personalità, per larghi tratti poco credibile. La sensazione, perciò, è quella di essere di fronte a una narrazione episodica e poco coesa, in cui i momenti più toccanti funzionano meglio come idee prese singolarmente che nell'ordito generale della pellicola, con il coraggioso quadrupede a fare più da pretestuoso fil rouge che da vero e proprio personaggio centrale. In questo senso, uno degli obiettivi principali e più ambiziosi di War Horse, quello di raccontare il conflitto attraverso il punto di vista di Joey, ci sembra conseguito solo a metà. Resta la magnificenza visiva, restano il candore e la fierezza che un regista dalle doti uniche riesce a distillare dal suo singolarissimo protagonista, e resta una visione, che, nella sua grandiosità, non manca mai di cuore.
Movieplayer.it
3.0/5