Tailleur pantalone nero, occhiali da vista anch'essi neri come il vestito, i capelli lisci legati in una coda. Gillian Anderson approda al festival di Berlino quasi in punta di piedi insieme al collega Hugh Bonneville e alla regista Gurinder Chadha per presentare l'affresco storico La fine di un impero. Il film, presentato alla stampa, ha sollevato fin da subito molte polemiche per il modo in cui racconta la storia dell'India, la fine del colonialismo inglese e l'indipendenza. Evento storico che coincise con la separazione tra Repubblica dell'India e Pakistan e con un esodo di massa senza precedenti che alimenterà il conflitto tra indu e mussulmani generando milioni e milioni di profughi.
"Sono cresciuta in Inghilterra" racconta Gurinder Chadha. "I miei genitori si sono trasferiti lì quando ero piccola, ma sono nata in Kenya. La mia famiglia è di etnia sikh, proviene dal Punjab. Crescere in Inghilterra mi ha confuso molto riguardo alle mie radici, è stato grazie a un documentario della BBC che ho cominciato a capire la storia politica dell'India nella sua complessità. Quando finalmente mi sono recata in visita alla casa del mio nonno ero così felice, all'inizio mi sembrava di essere davvero a casa in questo posto incredibile pieno d'amore. Mio nonno ha costruito quella grande casa molti anni fa ed entrandoci ho toccato con mano le mie origini, ma poi mi sono resa conto che in quella casa vivevano cinque famiglie di esuli provenienti da India e Pakistan. Così ho voluto capire cosa fosse accaduto in passato".
Dividere per controllare
Gurinder Chadha riconosce la difficoltà nel raccontare una storia così complessa, dai numerosi risvolti politici, religiosi e sociali, e racconta di aver fatto molta ricerca, di aver parlato con molti esperti e di aver letto molti libri. Tra i momenti più delicati del film vi è un inserto in cui compare anche il Mahatma Gandhi, contrario fin dall'inizio alla divisione tra India e Pakistan. "Come si vede dal mio film, Gandhi si è rifiutato di celebrare l'indipendenza dell'India dicendo che non c'era niente da celebrare. Lui aveva intuito che questa scelta politica avrebbe inasprito il conflitto religioso tra Indù e mussulmani, perciò ha cercato di opporsi. Ma la geopolitica dell'epoca non era molto diversa dalla geopolitica di oggi. Dividere un paese è stata una manovra politica a vantaggio di interessi più grandi".
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La regista ci tiene a sottolineare di aver scelto un punto di vista molto parziale che poi è quello della sua famiglia: "Il mio è un punto di vista di una punjabi cresciuta in Inghilterra. Un indiano o un pachistano farebbero un film diverso, ma io ho acquisito una sensibilità europea. Mi sono comunque sforzata di raccontare le varie posizioni. Per me è molto importante spiegare come sono andate le cose per aiutare a comprendere le origini del conflitto interno all'India. Per me è il momento di superare le divisioni".
Il passato ritorna. E ritorna
Hugh Bonneville e Gillian Anderson interpretano due figure storiche di primo piano, Lord Mountbatten, viceré e governatore generale delle Indie che riceve il compito di preparare l'indipendenza, e sua moglie Edwina. Gillian Anderson ammette di aver appreso molti dettagli della storia indiana proprio durante la lavorazione de La fine di un impero: "Quando ho iniziato a lavorare al film, non ne sapevo molto. Io sono cresciuta tra America e Inghilterra, non ho studiato a scuola la storia dell'India, ma dopo aver letto lo script mi sono sentita coinvolta nel progetto. Mi ha affascinato il modo in cui il mio personaggio e quello del marito sono dediti al loro ruolo. Hanno un approccio umanista con i loro ospiti e si ritrovano in una casa ridicolmente grande e piena di personale. Faranno tutto il possibile per favorire l'integrazione e per aiutare il popolo indiano eseguendo, al tempo stesso, gli ordini impartiti dal governo inglese. È un triste racconto della fine del colonialismo". Hugh Bonneville aggiunge: "Credo che questo sia un racconto potente. Le tragedie ci aiutano a focalizzarci sulla nostra umanità e a volte la finzione ha più forza delle storie tramandate dai nostri nonni".
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Un film storico non viene mai realizzato solo per raccontare una pagina di storia che si è conclusa, ma contiene molteplici agganci al presente. Questo è ancora più vero nel caso de La fine di un impero. "Quando sette anni fa ho cominciato a pensare il film non avrei mai voluto vedere un Trump presidente o una Brexit" confessa Gurinder Chadha. "Mentre iniziavamo a girare è scoppiato il caso Siria. Noi parlavamo di rifugiati e giravamo finte scene di esodo di massa mentre i veri rifugiati sbarcavano sulle coste italiane. Nel frattempo c'è stato il referendum sulla Brexit, il mio montatore Valerio Bonelli è italiano ed era distrutto dall'esito del voto, ha una moglie inglese e due figli e non sa quale Europa vedranno crescendo. Il nostro film è vivo ancora oggi, è un time reminder che mostra cosa accade quando si criminalizza un gruppo di persone. La storia impartisce le lezioni, ma nostra responsabilità imparare da esse".
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