Se il cinema fosse un circo, Guillermo del Toro sarebbe un bravo equilibrista. Un funambolo sempre sospeso tra realtà e immaginazione, palcoscenico e platea, verità e farsa. Il regista nato nella terra di confine per eccellenza (il Messico) ha fatto proprio dei labili confini il suo tratto distintivo. In questa recensione de La fiera delle illusioni cammineremo lungo il filo sottile sul quale Del Toro ha costruito questo noir oscuro, torbido e decadente. Un'opera dalla confezione impeccabile, in cui immagini suggestive e dialoghi taglienti danno vita a un racconto vecchio stile, che sembra uscito proprio da quei polverosi anni Quaranta in cui è ambientato. Però è di illusioni che parliamo, e se la confezione ci regala un film dal sapore vintage, la sostanza ci offre un racconto attualissimo.
Una storia che parla di manipolatori spietati, contrasto tra ciò che siamo davvero e immagine che regaliamo al mondo, e soprattutto riflette con classe sui meccanismi della messa in scena e sull'arte del mentire. Insomma La fiera delle illusioni è un po' lo specchio distorto del cinema stesso.
Dal fango alle luci della ribalta
È il 1992 quando Ron Perlman, grande amico di Del Toro e suo attore feticcio, regala al regista una copia di Nightmare Alley. Il romanzo scritto nel 1942 da William Lindsay Gresham è un oggetto misterioso che ammalia l'autore messicano. La sua storia criptica, i suoi toni cupi e i suoi personaggi ambigui sono pane per i suoi denti. Tenuto in soffitta per anni e anni come tutte le cose preziose, quel romanzo viene finalmente rispolverato da un Guillermo del Toro ispirato, che ha il coraggio di lasciarsi alle spalle il suo ultimo successo (La forma dell'acqua - The Shape of Water) per dedicarsi a qualcosa di completamente diverso eppure coerente con la sua poetica così affascinata dal mistero, dal deforme e dal mostruoso. Perché La Fiera delle Illusioni - Nightmare Alley è un film pieno di mostri e di verità alterate, contraffatte, travestite da eleganti bugie. E soprattutto un film stracolmo di elementi. Pieno di terra, fuoco ed elettricità. Perché è dal fango che nasce il suo protagonista, Stan, nullatenente e nullafacente che cerca un posto in cui guadagnarsi da vivere. Siamo alla fine degli anni Trenta, dentro una sperduta America di provincia dove tutti si arrangiano come possono. Ed è qui che Stan trova lavoro in un circo ambulante, un luna park clandestino in cui si vendono presunte meraviglie a suon di freaks e illusioni. Venuto dal nulla, Stan imparerà l'arte del mentalismo, forte della sua naturale presenza scenica e di un bel faccino che nella vita aiuta sempre. Da qui ha inizio una sua vorace scalata sociale, che porterà Stan a manipolare le persone per alimentare il suo ego (e il suo conto in banca). Però la prima illusione è questa: Nightmare Alley (questo il suo titolo originale). Il film segue l'ascesa di Stan mentre in realtà ne delinea la lente e inesorabile caduta. Proprio come Del Toro col suo cinema sospeso, anche Stan vive sull'orlo del baratro. La sua sarà una spirale diretta verso l'inferno. Un girone nel quale scopriremo ancora una volta che i veri mostri sono le persone.
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Bugie infernali
Basta l'inquadratura iniziale per ammaliarci. Del Toro parte dall'oscuro segreto di Stan che seppellisce qualcuno per legarci a questa strana creatura, sempre più balorda e detestabile. Quasi un onnivoro che divora tutto e tutti pur di sentirsi vivo e credere di essere diventato qualcuno. Un uomo che, però, ha il volto pulito e gli occhi angelici di un ottimo Bradley Cooper. Primo contrasto utile a capire gli intenti del film: l'eterna lotta tra percezione del reale e realtà effettiva. Con la verità che diventa davvero la più sfuggente delle illusioni. Il tutto raccontato da un film affascinante, che si prende i suoi tempi per sedurre con il potere delle immagini, splendide scenografie e una regia davvero sapiente. Come un illusionista che ti distrae tutto il tempo con il mistero, quando in realtà vuole solo nascondere il suo dramma. Perché è di un dramma umanissimo che parla questo film. Un'opera che non nasconde mai la sue origini, e infatti si affida a un protagonista praticamente sempre in scena, approfondito nelle intenzioni e nelle motivazioni con cura quasi letteraria. C'è il fango delle umili origini, il fuoco della rabbia e l'elettricità del nuovo che affascina. Eppure nel cinema di Del Toro l'acqua torna a galla inesorabile. Tra burattini e marionette, manipolatori e manipolati, La fiera delle illusioni ci ricorda che in alcuni rapporti abbiamo davvero la forma dell'acqua: ci adattiamo al contesto, ci alteriamo per gli altri, siamo prestigiatori del nostro piccolo e patetico spettacolo. La fiera delle illusioni è un duello continuo tra verità e farsa. Tra immagine di noi che regaliamo al mondo e lo sporco che teniamo nascosto.
Mettersi in scena
Basta guardarsi attorno per accorgersi che viviamo immersi in una valle di illusionisti. Persone che alterano la loro immagine e camuffano le loro vite pur di piacere a tutti i costi e ottenere approvazione. Del Toro prende atto della malattia del nostro tempo, ovvero l'egocentrismo tossico, e ne ritrova tracce in questa storia degli anni Quaranta. Nightmare Alley diventa così il The Prestige di Guillermo del Toro, nella misura in cui, proprio come il capolavoro di Nolan, riflette sulla messa in scena e sulla società dello spettacolo. Stan è un uomo che fa di sé un brand, una marca, un show da apprezzare. Allo stesso tempo Del Toro sembra chiedersi se i registi oggi, siano i nuovi illusionisti. Furbi prestigiatori che cercano di compiacere i gusti del pubblico, a volte di prevedendone persino reazioni. Dopotutto siamo tutti falsari, attori delle nostre stesse vite, capaci di scendere dal palcoscenico solo quando andiamo a dormire. Il grande cinema è anche qui: nel suo parlare a tutti, nel suo cogliere lo spirito di un'epoca, anche quando sembra parlare del cuore nero di un solo uomo. Puro prestigio. Cinema e illusionismo sono gemelli.
Conclusioni
Cupo, torbido e decadente, il nuovo noir di Guillermo del Toro traveste un profondo dramma personale da racconto universale sulle bugie che (ci) raccontiamo. Per questo la nostra recensione de La fiera delle illusioni – Nightmare Alley ha applaudito il grande ritorno di un regista capace di calarci con grande maestria dentro un film dall’estetica vintage ma dal potere immaginifico attuale e dirompente.
Perché ci piace
- La messa in scena impeccabile: movimenti di macchina, scenografia, fotografia e costumi sono di prim'ordine.
- La capacità di ammaliare dalla prima all'ultima inquadratura nonostante il film si prenda i suoi tempi.
- La coerenza di un'opera che si inserisce alla perfezione della filmografia di Del Toro.
- Bradley Cooper è perfetto nei panni di questo protagonista sempre in scena.
Cosa non va
- Il ritmo compassato potrebbe spazientire qualcuno.