C'è una sottile vena di ironia che attraversa il cinema di Yorgos Lanthimos: un'ironia talvolta appena percettibile, di regola nerissima, che conferisce un senso di strana dissonanza alle opere del regista greco, caratterizzate da una forza drammatica declinata di volta in volta fra il surreale, la distopia e l'horror. Alla luce di questo percorso, tanto radicale quanto costante, una pellicola quale La favorita può apparire come un punto di svolta, o comunque una variante piuttosto bizzarra: sia per la sua afferenza al genere del film storico, un territorio non ancora esplorato da Lanthimos, sia per la scelta di un insolito registro brillante.
Eppure La favorita, interpretato da Emma Stone e Rachel Weisz e presentato in concorso alla settantacinquesima edizione della Mostra di Venezia, non tarda a rivelare la propria intima natura, collocandosi alla perfezione all'interno della filmografia dell'autore di Dogtooth, The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro: perché anche in questo caso Lanthimos offre il suo sguardo, impietoso e amarissimo, sulle miserie morali della società, teatro dell'ennesimo gioco al massacro consumato secondo le regole del più feroce dei rituali.
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Yorgos Lanthimos e la farsa degli orrori
Del resto cosa c'è di più rituale della vita di corte, scandita da pomposi cerimoniali, dai rigidi dettami dell'etichetta e dalla sua opulenta mondanità? Una mondanità che, ne La favorita, Yorgos Lanthimos mette in scena secondo una deformazione grottesca e barocca - la sovrabbondanza di riprese in grandangolo, in una costante distorsione dell'immagine - che, sul piano estetico, ricorda da vicino il cinema di Peter Greenaway.
Ecco dunque che la solennità della corte britannica di inizio Settecento è subito rovesciata in farsa: un'autentica farsa degli orrori, in cui lo sfarzo degli arredi e dei costumi (realizzati dalla solita, straordinaria Sandy Powell) costituisce un elemento integrante della partita che si gioca quotidianamente fra le sale e i corridoi del palazzo reale, fin nelle stanze private della Regina Anna. Una partita che, nel caso specifico, vedrà contrapporsi le due antagoniste del film: Sarah Churchill, Duchessa di Marlborough, e sua cugina Abigail Hill, appartenente a un ramo decaduto della famiglia e approdata a corte nel 1704, in cerca di un agognato riscatto sociale.
Sarah, interpretata con algida compostezza da Rachel Weisz, è autoritaria, dotata di una volontà di ferro e determinata a portare avanti la propria agenda politica, ovvero il conflitto con la Francia. Abigail, che ha invece la grazia e il fascino di una sopraffina Emma Stone, cela dietro la facciata di leggiadria un'indole altrettanto ambiziosa e machiavellica, che la porterà a conquistarsi sempre maggior spazio nell'ambiente della corte. E il premio in palio in questo duello è proprio lei, Anna, ultima sovrana della dinastia degli Stuart, per dodici anni sul trono della Gran Bretagna; una donna per la quale il palazzo reale costituisce l'archetipo della confortevole "gabbia dorata", come quelle dei diciassette conigli che Anna tiene con sé in ricordo di altrettanti figli deceduti prematuramente o nati già morti.
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Una Regina sotto scacco
Attorno ad Anna, che ha il volto appesantito e lo sguardo disperato di una magnifica Olivia Colman (a breve nei panni di un'altra sovrana inglese, Elisabetta II, nella serie televisiva The Crown), avverrà dunque il braccio di ferro fra le due cugine per aggiudicarsi il titolo di favorita di corte: sia di fronte ai membri dell'aristocrazia e del Parlamento, a partire dall'infido Conte Robert Harley (Nicholas Hoult), sia nel letto della sovrana. Una sovrana che, nella sceneggiatura di Deborah Davis e Tony McNamara e nell'eccellente prova della Colman, è dipinta come una Regina "sotto scacco": una creatura logorata dal peso della corona e succube dell'influenza della Duchessa di Marlborough, vera e propria eminenza grigia che nelle proprie mani detiene le redini dello Stato britannico.
Il rapporto di reciproca dipendenza fra Anna e Sarah, incrinato dalla giocosa sensualità di Abigail, diventa così il motore di un meccanismo quasi fassbinderiano, in base al quale le relazioni umane - e in primo luogo le relazioni d'amore - sono innanzitutto relazioni di potere, in cui i ruoli di amante e amata assomigliano pericolosamente a quelli di vittima e carnefice. Un assunto assimilabile non a caso alla poetica di Lanthimos, alla sua visione cinica e disillusa delle dinamiche familiari e sociali, segnate da fenomeni di sudditanza psicologica e di violenza: quella violenza a cui, ne La favorita, alludono sarcasticamente i colpi di fucile nel tiro alla quaglia, il bestiale sadismo degli 'spettacoli' di corte e l'adozione dell'eros come strumento di sottomissione e di dominio. E la violenza torna ad esplodere, con silenzioso fragore, nella sequenza finale, con un rinnovato atto di coercizione dinnanzi alla Regina Anna, al suo viso deformato dalla paralisi e al suo corpo devastato dalla malattia: un explicit a dir poco perfetto, racchiuso in una pagina di cinema maestosa e raggelante.
Movieplayer.it
5.0/5