Con un passato nel fumetto e l'illustrazione, Lorenzo Mattotti è un esordiente se guardiamo al ruolo di regista che ricopre nella coproduzione italo-francese La famosa invasione degli orsi in Sicilia e su questo punto lo stuzzichiamo nel nostra intervista in quel di Cannes 2019, dove il film è stato presentato nella sezione Un Certain Regard. Gli chiediamo se ci pensa alla possibilità di vincere la Camera d'or, il prestigioso premio per gli autori esordienti, e ribatte divertito che "certo sarebbe strano vincerla a 65 anni! Lasciamo vincere i giovani, per noi la grande vittoria è essere qui a presentare la nostra favola!" E a Cannes c'è stato modo di approfondire il dietro le quinte e la realizzazione di un film d'animazione che ha richiesto oltre cinque anni di duro e paziente lavoro, coprodotto da Italia e Francia e in arrivo nelle nostre sale, per BIM Distribuzione, il prossimo autunno. Un film che si rivolge al pubblico più giovane e costruisce un'ambientazione ariosa e ricca di profondità, che accoglie i pittoreschi personaggi della storia tratta dal romanzo del 45 di Dino Buzzati.
Portare gli orsi dalla carta allo schermo
Cominciamo dall'inizio, qual è stata la genesi del progetto?
Dino Buzzati ha sempre influenzato il mio lavoro da quando avevo 16 anni, sia per la capacità nel racconto che in quella di creare il mistero, ma anche per i suoi quadri. Aveva fatto un poema a fumetti nel 71 e l'ho sentito sempre come uno dei miei grandi maestri. Quando mi hanno chiesto che lungometraggio avrei voluto fare, ho fatto leggere La famosa invasione degli orsi in Sicilia alla produttrice, che se n'è innamorata ed è nata la voglia di iniziare a lavorarci. È stato difficile avere i diritti, ci sono stati rifiuti, ma poi ho incontrato l'erede di Buzzati che si è innamorata del lavoro e mi ha affidato questa responsabilità. Il problema principale che abbiamo incontrato è che nella storia di Buzzati non c'è neanche un personaggio femminile, quindi è stato difficile l'adattamento perché qualcosa del genere non è concepibile oggi. Ci sono tantissimi personaggi, tanti rimandi e tante storie, ma volevo tenere la stessa struttura del romanzo e far trasparire la gioia del raccontare, dell'inventare storie e commentare la storia. Per questo con gli sceneggiatori abbiamo trovato l'idea del cantastorie con la ragazzina che gira le montagne della Sicilia, che ci ha permesso di entrare e uscire dalla storia e dare una linearità al racconto, dandole ritmo e fluidità, togliendo i momenti vuoti.
Che ci dici della scelta dei doppiatori?
In italiano ho avuto la possibilità di lavorare con gli accenti siciliani e veneti. L'originale è in francese, gli animatori hanno lavorato su quei dialoghi, ma manca il gioco degli accenti che abbiamo potuto aggiungere nella versione italiana. Abbiamo convinto Camilleri grazie alla mia agente. Mi conosceva, conosceva le mie immagini e amava il mio lavoro, ma siamo riusciti a convincerlo semplificandogli la vita, andando noi da lui e portandogli via poco tempo. Si è divertito tantissimo e anche dal punto di vista simbolico per noi era molto importante. Era importante che fosse lui a vestire la figura del narratore.
Di questa favola cosa le era piaciuto di più?
In questa favola vedevo delle grandi potenzialità per fare un grande spettacolo d'animazione. Ho sempre adorato la dolcezza in questi orsi, anche nel raccontare cose molto dure. Una sorta di ironia distaccata del gioco del raccontare. Poi è chiaro che al suo interno c'erano tante storie e tanti temi, come il rapporto tra padre e figlio: l'orso per andare a cercare suo figlio, si ritrova a perderlo. È un bellissimo argomento. È una favola densa di temi, ma non dà soluzioni e si mantiene un segreto. È un film che dà l'idea della complessità della vita, non si sa se i personaggi siano buoni o cattivi.
Quali sono le principali differenze rispetto al testo di Buzzati?
Buzzati tirava fuori un nuovo personaggio ogni volta che doveva risolvere una situazione, noi abbiamo dovuto dare una fluidità al racconto. Ci sono talmente tante storie che ci si poteva fare una serie tv.
Ci sono, però, anche tanti temi diversi...
La storia è bella perché stratificata. Spero che sia un film che possa coinvolgere e far riflettere i bambini e gli adulti. Accettiamo una Principessa Mononoke di cui non capiamo metà del contesto, ma lo riempiamo con la nostra immaginazione. Possiamo fare altrettanto con le storie della nostra cultura. L'animazione è il contrario del cinema normale, dobbiamo sapere tutto prima di lavorarci. Quando vai in produzione, devi essere sicuro che tutto quello che fai è necessario e importante. Che fiorirà. Il lavoro fondamentale è negli ultimi tre mesi, nel composing, quando metti insieme tutto e l'immagine deve fiorire e non accade se non hai tutti gli elementi giusti.
Buzzati è uno dei pochi autori del 900 che viene letto? Perché ancora questa forza?
Credo per la sua forza visionaria, per la sua capacità di creare delle situazioni universali, che parte dal quotidiano e innesta il mistero e l'inspiegabile. Ci dà l'essenza del mistero della vita. È questo che mi affascina, insieme a una strana malinconia e ironia aristocratica.
La realizzazione de La famosa invasione degli orsi in Sicilia
Per quanto riguarda l'aspetto visivo, come si è collocato nel gioco tra fedeltà e tradimento nell'adattamento della storia. Come si è approcciato alle illustrazioni di Buzzati?
Buzzati mi ha dato i binari. Il suo disegno è estremamente semplice e a volte molto ingenuo. Avrei voluto mantenere tutto del suo lavoro, ma sarebbe stato impossibile fare un film con quell'approccio. Ho cercato di prendere tutto quello che ho potuto sia in quanto a ambienti che personaggi. Ci sono idee grafiche minime che per me sono state una guida importantissima; ci sono tante idee che ho mantenuto e ho sviluppato, come le nuvole che sembrano quasi delle montagne che camminano. Ma ho attinto anche ad altre sue opere, in un continuo dialogo tra le immagini che ho utilizzato e il film. Ho insistito molto con la profondità di campo, che è la forza del cinema. L'animazione ci ha permesso di lavorare con il telone come camera magica, entriamo nel cinema dentro il cinema. Avrei lavorato ancora di più sulle metamorfosi e abbiamo cercato di sfruttare l'animazione nella sua sostanza ed eccezionalità. Buzzati è minimalista, ma con idee grafiche potentissime. Per il mare, per esempio, ho voluto trovare un'idea grafica e mantenere una felicità dell'ingenuità, senza distruggere la gioia dell'immaginare.
L'inserimento del personaggio femminile è più esigenza drammaturgica o d'attualità?
Tutte e due. Mi sembra impossibile non mettere un personaggio femminile in un film d'animazione per ragazzi. Sono molto orgoglioso dei miei personaggi. Animarli è una magia, con maestri che abbiamo solo in Europa, che sono capaci di dar vita ai disegni. È dar vita a un vecchio amico che hai nella testa. Ma dietro c'è un lavoro infinito, lento, metodico. È difficile da spiegare, ma è una delle cose più lente che esistono. L'atmosfera che si vive in questi studi è quasi da frati amanuensi, tutti con la loro tavoletta, le cuffie, a disegnare in modo metodico.
Si tratta di una storia animalista, ma la vedi inserita nel contesto di oggi o ancora legata all'originale del '45?
Per me è importante l'interpretazione attuale, non ho mai pensato all'interpretazione del 45. La forza di questa favola è che si rinnova sempre, parla di cose attuali e l'ho potuta guardare con i miei occhi. Essendo un lavoratore delle immagini, ci ho visto anche una grande capacità di creare un immaginario, è quello che mi ha maggiormente affascinato. Credo che sia molto affascinante mettere in scena un lavoro che fa parte delle nostre radici, con leggende e rituali. Dare l'impressione che ci sia un altro immaginario oltre a quello americano e giapponese, far sì che ci si dedichi a creare anche un immaginario europeo da portare ai nostri ragazzi, che spesso non utilizziamo forse per paura. Dobbiamo dare spazio alla ricchezza che abbiamo alle nostre spalle. Ai miei collaboratori facevo vedere Beato Angelico, Giotto, i nostri grandi pittori, creando un'iconografia mediterranea.
Il punto di vista di Mattotti
Quali sono i tuoi principali riferimenti cinematografici?
Se restiamo nell'ambito del cinema d'animazione, c'è quello del grande Walt Disney, quello più classico e fuori dal tempo, dall'altra parte c'è Miyazaki con Totoro e la Principessa Mononoke. Ma nel mio passato c'è un grande film d'animazione come Yellow Submarine, per la fantasia, la gioia, la libertà e la grafica. Ma ce ne sono tantissimi, la mia idea era di concentrarci molto sui grandi paesaggi, dare grande spazialità alle immagini, come i grandi film d'avventura che non si fanno più. Ma i miei riferimenti personali sono anche da tutt'altra parte: amo molto Tarkovsky, per esempio.
Alla fine dedica il film a Carlo Mazzacurati
Era un mio grande amico, una persona meravigliosa, che spesso mi ha spinto a fare del cinema e negli ultimi tempi avrebbe anche avuto voglia di lavorare con me a dei film animati. Una persona che mi manca tantissimo e ho sempre dietro come figura protettiva.
Quale di questi personaggi vorrebbe come amico?
Mi è molto simpatico Gedeone, il cantastorie, ma anche avere Almerina accanto non mi dispiacerebbe.
Il lavoro di squadra porta alla condivisione della creatività, ma ci sono state anche discussioni?
L'arricchimento è stato enorme. Si è lavorato con grande entusiasmo, ognuno portando la propria creatività. Ho lavorato senza pensare che fosse una mia idea personale, perché mi ha permesso il distacco necessario a coordinare il lavoro di tutti e avesse la sua estetica e forma. La forma del film è venuta grazie al talento di tutti, non volevo che avesse il mio stile personale, perché ritenevo che avrebbe dato una claustrofobia alla storia, mentre volevo che fosse arioso e ricco. Volevo un'idea di precisione e nitidezza che non è il mio stile, ma il film doveva avere una sua propria estetica.