Recensione Come non detto (2012)

Con un linguaggio diretto e un umorismo metropolitano Roberto Proia riesce a costruire una narrazione fluida dal ritmo incalzante, in cui il rispetto della realtà non cede mai il passo all'esagerazione della finzione.

La famiglia al tempo dell'outing

Gay, omosessuale, diverso: qualunque definizione provi a usare per Mattia la sostanza del problema non cambia, visto che esprimere le sue preferenze sessuali di fronte ad una famiglia classicamente borghese rappresenta un ostacolo impossibile da superare. Sorridere, essere seri o assumere un atteggiamento spavaldo e indifferente? Nulla ha importanza di fronte ad uno specchio che continua a rimandargli l'immagine di un ragazzo perfetto, rappresentazione vivente dei sogni e delle speranze dei suoi genitori, che si prepara scientemente a deludere tutte le loro aspettative. Così, a un solo giorno dalla sua partenza per Barcellona dove andrà a vivere segretamente con il fidanzato Eduard, Mattia decide di liberarsi delle molte menzogne costruite nei mesi precedenti e di affrontare il giudizio della sorella "coatta", del cognato Pistone, della madre ansiosa, del padre playboy e della nonna con tardive ambizioni lavorative. Un quintetto potenzialmente pericoloso ma che, con un ghiozzo di modernità e di comica saggezza, dimostrerà al ragazzo che dietro al dramma dell'outing si fa spesso molto rumore per nulla.


In questi ultimi anni le discussioni intorno al coming out hanno abbandonato il luogo ristretto dei rumors e dei giornali scandalistici per conquistare salotti televisivi, cover di magazine patinati e sempre più scaffali di librerie con confessioni autorizzate di vip o idoli giovanili. Andando oltre la condizione privilegiata dell'artista, però, cui viene "concesso" tutto nel nome della fama, la realtà che attende l'uomo comune nell'affermazione della propria sessualità è ben diversa. Drammi più o meno annunciati e figli ripudiati sono gli elementi che caratterizzano queste tragedie moderne, eppure, come spesso accade, anche dietro l'evento più doloroso si nasconde una vena comica consolatoria utile per ridimensionare il tutto. Partendo da questo punto di vista e dalla sua esperienza personale, il neo sceneggiatore Roberto Proia si chiede se sia possibile ridere di questo momento senza offendere la sensibilità di chi ha vissuto una realtà diversa. La risposta è naturalmente positiva, sempre che si fugga dagli stereotipi e dalle immagini omologate che hanno trasformato questa tematica in una sorta di genere cinematografico caratterizzato da tavolate perennemente imbandite, frequentate da una comunità ristretta, sempre chiusa e protetta dalla loro intimità. Così, con un linguaggio diretto e un umorismo metropolitano, Proia riesce a costruire una narrazione fluida dal ritmo incalzante in cui il rispetto per la realtà non cede mai il passo all'esagerazione della finzione.

Anzi, grazie alla regia dinamica di Ivan Silvestrini le parole si trasformano in una vicenda plausibile che, non volendo assolutamente dipingere l'universalità di un mondo complesso, si accontentano di raccontarne un singolo e personale episodio con una lucidità e una leggerezza sconosciuta agli esperimenti fatti fino a questo punto. In modo particolare, l'attenzione dell'autore e del regista si concentra sulla caratterizzazione dei personaggi che, nella loro normalità riescono a definire una condizione emotiva finalmente plausibile. Perché, attraverso la "feroce" ironia romana Silvestrini e Proia prendono i cliché più comuni della "cultura" italiana, come la famiglia e l'esuberanza maschile nei confronti dell'altro sesso, per rivolgerli a loro favore nel dimostrare che non tutti gay vogliono diventare donne, abbinano bene i colori e ascoltano Lady Gaga. In modo particolare l'aspetto fragile e normale del giovane Mattia, interpretato da Josafat Vagni, e quello più estroverso del mentore Alba Pailiettes, portato sullo schermo da un imprevedibile Francesco Montanari che per l'occasione ha abbandonato il ghigno del Libanese per indossare abiti più estroversi, rappresentano le due facce di una realtà che non può e non deve vivere di un'identità comune. Piuttosto l'omosessualità, come qualsiasi altra scelta personale, è un banco di prova con cui confrontarsi e scoprire una sicurezza nuova. Per questo motivo Proia identifica il punto forte di questa storia nell'aver allargato la grande avventura dell'accettazione personale a tutta una famiglia non priva di problemi interni, ma comunque capace di ridere e far ridere accettando rispettando per primi le proprie diversità.

Movieplayer.it

4.0/5