La donna del ritratto o la donna del sogno?
La donna del ritratto si apre con due inquadrature che, fin dall' inizio, forniscono delle indicazioni ben precise: ci troviamo all' università di Gotham e scopriamo il nome di quello che, poco dopo, identificheremo come il protagonista del film: Richard Wanley, criminologo, tiene un incontro dal titolo "Considerazioni sulla psicologia dell'omicidio".
La sempre attenta e onnipresente regia di Lang dissemina tutto la pellicola di copiose indicazioni che lo spettatore, non pronto subito a coglierle, prenderà in considerazione solo in seguito, scoprendo che fin dall' inizio il regista è stato estremamente generoso nell' offrire indizi metonimici e numerose chiavi di lettura significative.
Sulla lavagna, con la macchina da presa che pian piano si avvicina zoommando sulla figura del professore, leggiamo chiaramente il nome di Sigmund Freud. Nulla di strano che per una lezione del genere sia citato il padre della psicanalisi, ma non è una scelta né ovvia né casuale: anche questo, come molti altri, è un segno voluto.
L'abitudinario insegnante si reca per cena al solito club, ma prima di entrare viene attratto da un ritratto di donna in una vetrina. I suoi amici Frank e Michael, rispettivamente ispettore di polizia e medico, chiameranno la bella ragazza del ritratto "la ragazza dei sogni, dei nostri sogni". In questo modo il sogno -il nome "Freud" sulla lavagna lo aveva in precedenza annunciato - diventa un elemento ricorrente, topos dominante e filo conduttore di tutto il film. Ma anche di questo si prenderà coscienza solo alla fine.
Dopo la cena i tre amici scherzano affettuosamente: il professore ha appena affermato di essere così stanco che anche se gli si presentasse la bella donna del ritratto non accetterebbe un suo invito e tornerebbe a casa a dormire, e gli altri lo prendono in giro. Alle dieci e mezza, come da lui richiesto, il maggiordomo lo avvisa che è ora di andare. Wanley, una volta uscito, si ferma a contemplare nuovamente il ritratto, ma questa volta la modella compare in carne ed ossa al suo fianco e lo trascina in una lunga nottata - scandita dal continuo dettaglio dell' orologio sulla strada fuori dal suo appartamento - ben diversa da quella che il professore si aspettava: a casa di Alice - questo il nome della misteriosa bellezza - per legittima difesa è stato costretto non solo ad uccidere l'amante impazzito della ragazza, ma anche ad escogitare un modo per nascondere il cadavere, temendo che nessuno avrebbe creduto alla sua innocenza.
Lo spettatore, diventato già un po' più attento e acquisita un po' più di dimestichezza, non può non accorgersi, oltre che della fastidiosissima sfortuna che accompagna le vicende del protagonista, della sua ingenuità e scarsa cura dei dettagli, che in questi casi risultano fondamentali. Passata qualche ora i due, oramai diventati complici, si considerano fuori pericolo, ma proprio quando la tremenda vicenda appare conclusa, arriva per bocca di Frank la notizia della scomparsa di un uomo importante. Richard si mostra estremamente interessato al caso e segue l' amico nelle indagini, ma con la sbadataggine che lo contraddistingue anticipa in continuazione le mosse e i pensieri dei poliziotti, tanto da rendersi un possibile indagato; a volte sembra proprio che sia quello che vuole: confessare tutto e smettere di aver paura.
Entrato nel vortice degli eventi, però, non può che continuare su quella scia: prima convince Alice ad uccidere un ricattatore, in seguito, non trovando altra via di scampo, opta per la strada più breve: avendo saputo di un farmaco che, se assunto in dosi eccessive, causa morte immediata senza lasciare nessuna traccia, decide di usarlo.
Il telefono squilla ma Richard, seduto sulla sua poltrona, immobile, non può più sentirlo; riesce, però, a sentire il maggiordomo che lo viene a svegliare alle dieci e mezza in punto, come da lui richiesto: dopo le numerose chiacchiere fatte con i suoi amici, si era addormentato e aveva sognato tutto.
All' uscita del club controlla nuovamente il ritratto: è ancora lì e, appena una donna - ben diversa da quella del sogno - gli si avvicina, scappa a gambe levate: non è mica matto!
L' ccessiva cura del dettaglio da parte del regista e l'insistita ridondanza sui fastidiosi errori che il protagonista, sebbene sia un simpatico bonaccione, continua a commettere rendendosi a volte insopportabile, si risolvono elegantemente nel finale e, nell' ottica del sogno, non solo acquistano maggior valore e spessore, ma legano sapientemente e ricordano tutti gli indizi disseminati abilmente in tutto il film.