Un crescendo accompagnato dall'ottima traccia musicale, che detta il ritmo e il tono. Un documentario, potremmo dire, classico nella sua forma, eppure puntuale e sensato nel suo scopo: raccontare una storia tanto sconvolgente quanto drammatica. Una storia di vittime e di carnefici, e di carnefici che, a loro volta, sono stati a loro volta vittime. Un cerchio chiuso, portato alla luce dopo anni di serrate indagini. Indagini spesso approssimative, e mosse da un luogo comune che sarà poi spezzato: impossibile che dietro le sedici vittime accertate (si parla di numeri ben più alti) ci sia la mano di una donna.
Eppure, come raccontato in La Dama del Silencio di María José Cuevas, il serial killer più famoso del Messico è proprio una donna: Juana Barranza, nata a Epazoyucan il 27 dicembre del 1957. Il documentario, diretto da María José Cuevas, e distribuito da Netflix, è un collage di volti, di materiale di repertorio, di interviste. Un collage che mette insieme i pezzi, come se fossimo al centro dell'ufficio distrettuale di Città del Messico. Una trovata che funziona, anche in relazione alla sua relativa durata: quasi due ore. Due ore in cui vengono riportati a galla gli omicidi, i moventi che sfuggono, le emozioni delle vittime collaterali, le intuizioni della polizia. Ma soprattutto, nella parte finale, viene riportato a galla il background di Juana Barranza, soprannominata La Mataviejitas. Che, tradotto, vuol dire: l'ammazzavecchiette.
La Dama del Silencio, o per meglio dire l'ammazzavecchiette
Sì perché la donna, condannata a ben 759 anni di reclusione, ha agito pere quasi dieci anni, a cavallo degli anni Novanta e dei Duemila, uccidendo donne anziane, con un'età superiore ai sessant'anni. Dal 1998 al 2005 le sono stati attribuiti ufficialmente sedici delitti (altri trenta casi sono irrisolti), tutti avvenuti tramite strangolamento. Essenzialmente, e nell'umore solito del tipico docu-crime, La Dama del Silencio ripercorre le gesta della donna, e lo stupore delle autorità per un caso dai tratti sorprendenti. Il motivo è presto detto: la storia personale di Juana Barranza, che meriterebbe di per sé maggior approfondimento, è terrificante: secondo la ricostruzione, quando era piccola, sua madre, alcolizzata, l'ha scambiata per tre birre con un uomo, che negli anni l'ha ripetutamente violentata.
Rimasta incinta del "mostro", il figlio maggiore (ne avrà quattro in totale) verrà poi ucciso durante una rapina. Ora, non vorremmo raccontarvi troppo della vicenda (anche perché è pressoché sconosciuta, almeno in Italia), lasciando che le sconvolgenti sorprese vengano sciorinate lungo il documentario Netflix. Una cosa, però, è assolutamente focale ne La Dama del Silencio, tanto da occupare buona parte della narrazione. Le indagini sono state criticate per non essere state inizialmente all'altezza della situazione. Anzi, le ipotesi lanciate erano pressoché approssimative, e basate su un concetto che crollerà solo alla fine: il killer, secondo la procura, era un uomo. Al massimo una prostituta travestita di Città del Messico. Stupore e sgomento quando il sospetto venne arrestato: una donna di quarantotto anni che di professione faceva la lottatrice della lucha libre, un wrestling messicano che si combatte in maschera. Il nome d'arte? Ovvio: la Dama del Silencio.
Il profilo psicologico
Il caso, pur essendo stato già racconto nella serie Deadly Women, o in un episodio di Criminal Minds, ha trovato dunque la sua definitiva dimensione nel documentario Netflix. Infatti, come ogni documentario crime incentrato su un serial killer, gli aspetti più interessanti de La dama del silencio si rintracciano nel profilo della protagonista. Un'attenzione che María José Cuevas edifica poco a poco, lasciando che sia lo spettatore ad unire i tasselli, rendendosi conto che le motivazioni dietro gli omicidi non erano tanto di matrice personale, piuttosto avevano a che fare con la psiche estremamente turbata di Juana Barraza.
Già perché le vittime, donne e over sessanta, spesso sole e con necessità di assistenza (la killer si spacciava per assistente sociale) erano per l'esatta proiezione di quella spregevole madre che, quarant'anni prima, la sacrificò per un sorso di birra. Una storia drammatica all'interno di un contesto ancora più drammatico. Il disagio, la follia, e l'esasperazione sociale. Un corollario di sfumature, che sorreggono la messa in scena del documentario, oggettivo nei fatti, enfatico nel linguaggio. Ciò che rimane, è poi il dolore di chi resta, e di chi ancora sconta le gesta di una donna nata e subito spezzata, inseguendo per il resto della vita una folle vendetta che ha colpito innocenti anziane.
Conclusioni
Come scritto nella recensione de La Dama del Silencio, il documentario Netflix racconta in modo preciso ed enfatico l'incredibile storia di Juana Barraza, serial killer messicana con un passato da wrestler. Una narrazione che prosegue quasi in ordine cronologico, per una struttura narrativa classica ma coerente con la storia. Ottimo l'accompagnamento musicale.
Perché ci piace
- Una storia semplicemente da brividi.
- Una riflessione sulle sfumature del "mostro".
- L'accompagnamento musicale.
- Un documentario ricco di informazioni.
Cosa non va
- Una struttura classica, che potrebbe annoiare.