In una giornata a dir poco bizzarra, la proiezione per la stampa del nuovo film di Giuseppe Tornatore, con le riflessioni intorno al lasciar andare una persona gradualmente, in seguito a un traumatico, inaspettato annuncio - quello della morte di David Bowie - si inscrive in una nicchia quasi alienata della nostra mente.
Immediatamente dopo Jeremy Irons, che ci rilascia una dichiarazione su Bowie, il regista di Nuovo cinema Paradiso viene da noi chiamato a commentare l'altro fatto del giorno: l'assegnazione a Ennio Morricone di un Golden Globe per lo score di The Hateful Eight. Il Maestro è autore anche della colonna sonora de La corrispondenza, nonché amico e collaboratore di vecchia data di Tornatore. Per questo il rilassante incontro sul suo film - opera complicata, poetica, personale - si apre proprio con un omaggio a Ennio:
Per prima cosa, vorrebbe rilasciare un commento per il Golden Globe al Maestro Morricone? Quentin Tarantino lo ha paragonato addirittura a Mozart...
Giuseppe Tornatore: Innanzitutto sono felicissimo per questo premio a Ennio, il suo terzo Golden Globe. Uno era per un film mio, quindi so quanto, anche come regista, si possa essere orgogliosi. Ha scritto anche la colonna sonora de La corrispondenza. Sono contento perché non ci saranno mai abbastanza premi per riconoscere il talento di questo straordinario artista e la dichiarazione di Tarantino mi è piaciuta in modo particolare. Noi siamo portati a pensare che la grande musica sia quella del passato, ma ne riparleremo tra un secolo, quando certi rapporti storici si trasformeranno. Io la penso come Tarantino: Ennio è grande quanto lo sono stati altri compositori del passato. Lui lo è rispetto alla sua epoca, al momento in cui ha conosciuto la musica e in cui l'ha vissuta. Ha cominciato da ragazzino e ora ha 87 anni. Mi è successo più volte di andare in giro per il mondo, e vi assicuro che anche se vi trovaste al Polo Nord, appena si inizia a fischiettare il motivo de Il buono, il brutto, il cattivo, tutti lo riconoscono. Lui è riuscito a entrare in contatto con fasce di audience ampissime.
Un parallelo guardando il suo film è inevitabile: cosa resta dopo una separazione. Lei ha mai pensato a cosa resterà della sua opera?
A dire il vero è un tipo di pensiero che non ho mai fatto, né ai tempi della pellicola, né ora con il digitale che dicono essere praticamente eterno - ma io non ci credo. Ho sempre pensato che i film fossero degli oggetti che, come tutto il resto, hanno un inizio, un'evoluzione e una fine. Qualche volta anzi mi sono sorpreso che i miei film avessero vita lunga. A distanza di tre anni mi sorprende sempre che la gente mi chieda ancora di Nuovo cinema Paradiso. Una volta feci una domanda simile a Riccardo Freda. Gli chiesi se aveva le copie dei suoi film, mi rispose che secondo lui il destino migliore dei film era quello di utilizzare le pellicole per estrarre da esse nitrato d'argento per farne altra pellicola e per girare altri film. A me piace molto questo concetto, si potrebbe applicare anche all'epoca del digitale. Non bisogna mai, mentre fai un film, pensare o credere di star lavorando a qualcosa di importante per gli altri. Si deve pensare di realizzare un film che ci piacerebbe vedere come spettatori.
L'amore sembra essere sempre, soprattutto recentemente, il perno delle sue storie.
Nei miei film c'è sempre stato l'amore come motore del tutto. Magari in alcuni lavori è più evidente, in altri resta più nascosto. Non so, forse con l'andare avanti negli anni, finisci per apprezzare di più certe cose. L'amore è una delle meraviglie della nostra esistenza, e mi rendo conto che nel nostro tempo, in cui siamo infestati da problemi di altra natura, può sembrare inopportuno o addirittura retorico. Ma di quello noi viviamo. Io vedo che i bambini non vedono l'ora di diventare grandi per scoprire cos'è, gli adulti non si stancano mai di vivere gli amori che possiedono, quelli che non ce l'hanno vivono nell'affanno di trovarlo. Gli anziani poi non si stancano mai di avere la possibilità di innamorarsi ancora, prima che arrivi la fine. Noi viviamo di quello, sempre, perciò credo che sia un tema eterno.
E qui l'amore però è messo alla prova dalla distanza...
Qui mi piaceva l'idea di raccontare l'amore con la lente della distanza. Sapendo che a volte è proprio la lente della distanza a rivelare l'intensità di una relazione d'amore. Seneca diceva che ciò che il cuore conosce oggi, la mente lo capirà domani. Il cuore arriva sempre prima.
La lontananza di cui parliamo, il cambiamento, però lega ancora di più questa ragazza, forse in modo anche assoluto ed egoistico.
C'è questa componente, e nel film l'ho rivelata e affrontata. L'amore è misterioso e inafferrabile, talvolta è eccessivo e può diventare addirittura insopportabile. È una contraddizione terribile che forse lo rende eterno proprio per questo. Ci hanno provato tutti a spiegarlo, ma rimarrà sempre un mistero. I poeti, i cantanti, gli scrittori hanno sempre parlato di quello, ma rimane un tema inesauribile, che ha delle contraddizioni, compresa questa. L'istinto puro, amorevolissimo, del nostro protagonista di continuare a essere nella vita di questa ragazza, sfiora lo stalking. Però poi è la distanza che innesca il desiderio di possedere ancora, di continuare, di mantenere in qualche modo la relazione. È difficile da capire l'amore. E forse è per questo che rimarrà sempre l'innesco di tutto. Un amore assoluto può essere anche difficile da sopportare, ma lo è ancor di più quando l'amore non c'è.
È molto curioso e insieme interessante, anche poetico, che i due protagonisti siano astrofisici. Come le è venuta in mente questa idea?
È una fase sempre molto complicata, ma per me essenziale, quella di trovare una professione ai miei protagonisti. Mi è tornata in aiuto una grande emozione che ho sempre provato quando sei in campagna, in quelle notti stellate, senza luce elettrica intorno, e puoi godere del cielo stellato come non mai. Sapere che la maggior parte di ciò che vedi non esiste più da migliaia di anni, ma tu continui a vederlo, mi ha sempre colpito. Mi è parsa l'allegoria più calzante. Fedele alla mia idea che quando scegli una storia, tutti gli elementi devono avere una coerenza al tema scelto, ho pensato che Ed e Amy dovessero essere astrofisici.
Il film lascia intendere che un amore così potrebbe sopravvivere addirittura alla morte. Ma lei ci crede davvero?
Voglio rischiare di apparire addirittura trombone, ma io un po' ci credo. Foscolo diceva che è una dote degli esseri umani quella di riuscire a mantenere il sentimento d'amore al di là del tempo, al di là di tutto. Con una componente divina. Oggi la componente divina è diventata tecnologica. Oggi la tecnologia ci aiuta addirittura ad allungare la vita. Anche se non riuscirà mai ad eguagliarla davvero: l'unica macchina perfetta resta l'uomo.
Sa che esiste una Facebook app che continua a postare status anche dopo la morte?
L'ho saputo da poco. Tutto oggi è fattibile. E proprio mentre lavoravo a questo film ho scoperto diverse cose, come il fatto che una persona può programmare uno o più tweet di commiato dopo la propria dipartita. Addirittura oggi si parla anche di testamento digitale. Uno staff di importanti avvocati e notai nel mondo sta cercando di studiare come dare valore giuridico al fatto che il testamento possa arrivare direttamente via email ai destinatari da chi lo ha concepito. Tutto è possibile, nella vita. Giuridicamente ancora no.
Questo è un film anche sulla non accettazione della morte: Amy non accetta la morte di suo padre sin dall'inizio e fa un lavoro per cui metaforicamente muore tante volte, ma poi si rialza.
È proprio il fatto che alcune stelle siano morte, la loro esplosione, che ce le rende visibili a volte. Il nostro protagonista, verso la fine, tira fuori un paradosso che esiste, è oggetto di studi, e vi confesso essere un argomento al quale lavoro da tanto tempo, ma non funzionava in altri film. Il paradosso è che l'essere umano in realtà non nasce per morire, ma per essere immortale, e nessuno può dimostrare che non sia così. A un certo punto, nel corso dell'esistenza, tutti commettiamo un errore, per il quale siamo costretti a morire. Nessuno ha fatto eccezione sinora. Eppure non si può dimostrare scientificamente che questo paradosso sia infondato, il che è divertente. A un certo punto si commette un errore, che può essere stupido o no, ma soprattutto noi non sapremo mai quando sarà e come potremo affrontarlo. Se non commettessimo quell'errore, noi non saremmo costretti a morire. Mi diverte questo modo ironico con cui Ed abbraccia il concetto dell'immortalità. Un bel giorno, anche le stelle non appariranno più, ma questo racchiude un tempo talmente lontano che noi non lo sapremo.