Ci voleva Thomas Vinterberg a risollevare un concorso che quest'anno si presenta piuttosto sotto tono. Dopo la parentesi in lingua inglese con Via dalla pazza folla, raffinato adattamento del classico di Thomas Hardy, Vinterberg torna a scandagliare la società danese in un nuovo lungometraggio appassionato e lacerante. Come spiega il regista, La comune è una "lettera d'amore alla mia infanzia". Tra gli anni '70 e '80 Vinterberg ha vissuto con i genitori in una comune sperimentando le gioie e i dolori della famiglia allargata nel mito dell'amore libero e della condivisione della società nordica. Oggi che ha 47 anni, il regista ha sentito che era giunto il momento di fare un bilancio del suo passato per immagini ed emozioni.
"Il film nasce da uno spettacolo teatrale" spiega Thomas Vinterberg. "Nel caso di Festen - Festa in famiglia era accaduto il contrario. Il film era stato adattato per il teatro. Stavolta abbiamo portato al cinema il nostro copione. Quello che volevo non era raccontare la storia dell'ennesima famiglia disfunzionale" specifica il regista "ma raccontare un'epoca di condivisione, di utopie. Tutto questo ora è finito e ne sento la nostalgia. Credo che La comune sia un film sul passare del tempo e sulla perdita. Il tempo passa, l'amore finisce, le persone muoiono e all'improvviso ti rendi conto di aver perduto ciò che possedevi. Non ho mai capito perché le cose debbano finire in questo modo".
Il crollo delle utopie
Quando si pensa alle comuni anni '70, la nostra visione è influenzata da pellicole alla Hair in cui giovani uomini e donne praticano liberamente sesso e consumano droghe a volontà, ma l'ambiente in cui Thomas Vinterberg è cresciuto non era esattamente così. "Mio padre era un critico cinematografico e ha scelto di vivere in una comune per motivi ideologici proseguendo le solite attività quotidiane. Quello che apprezzo degli anni '70 è il tentativo di sfuggire ai cliché, alla noia, alle convenzioni sociali per trovare una autenticità. In Danimarca molte persone parlano della solitudine, eppure non sono molti a vivere da soli. Ci si può sentire soli anche in una comune. Personalmente non fare mai un film sul politically correct perché non mi interessa. In questo periodo mi vergogno di essere danese per via della vita politica attuale, ma dietro questo governo c'è un paese di persone che vogliono continuare a lottare. Ho fatto questo film per aiutare le persone a condividere, ad aprirsi agli altri".
La comune è un film sul passare del tempo, ma anche sulla disperazione di una donna che, annoiata, va in cerca di nuove emozioni per scordarsi che sta invecchiando. A interpretare Anna è la straordinaria Trine Dyrholm, la quale ammette: "Anna perde il marito per via del suo atteggiamento. La nuova compagna dell'uomo, infatti, è una sorta di doppione di Anna, anche se più bello e più giovane." L'attrice, tornata a lavorare con Vinterberg a quasi 20 anni di distanza da Festen aggiunge: "Mi sento sempre al sicuro a lavorare con Thomas. Quando devi provare sensazioni forti devi saltare, lanciarti nel vuoto e lui è sempre al tuo fianco". Sul set e non solo, visto che il regista ammette di sentirsi molto vicino al personaggio di Anna e alla sua crisi di mezza età: "Ogni mattina quando mi guardo allo specchio e mi rendo conto che sto invecchiando. Tutti dobbiamo confrontarci con il fatto che tutti moriremo, l'amore finisce, la vita va avanti e non ci possiamo fare niente. Il film tocca questi aspetti e Trine è fantastica a incarnare tutto ciò". Al di là dell'aspetto umano, La comune contiene, però, anche una feroce critica alle ipocrisie della società borghese. Vinterberg prosegue: "Sono appena tornato da Los Angeles. Là uomini e donne sono tutti rifatti. Cercano di sfuggire al tempo, ma è una menzogna. Il tema della morte nella società occidentale è tabù, è l'elefante nella stanza, ma io non voglio solo parlarne. Voglio urlarne. A me interessa esplorare la natura umana in toto, nella forza e nelle debolezze".
"Il tema della morte nella società occidentale è tabù, è l'elefante nella stanza, ma io non voglio solo parlarne. Voglio urlarne"
Mai più Dogma
Inevitabilmente, il discorso cade sul Dogma. Ormai gli sono passati, ma Thomas Vinterberg continua a essere accomunato a Lars von Trier e agli altri autori che hanno svecchiato il cinema danese con un esperimento unico nel suo genere. Vinterberg ammette che il Dogma "è paragonabile a una comune. Nella comune ogni novità, ogni decisione viene affrontata senza rete, con ingenuità, e la stessa cosa è accaduta nel caso del Movimento del Dogma. Abbiamo cominciato a fare film inventando nuove regole da soli. A Cannes nel 1998 siamo stati accolti con un enorme applauso. Quello è stato l'inizio della fine del Dogma. L'esperimento Dogma era legato al rischio, quindi appena abbiamo iniziato ad avere successo è stata la fine. Sesso, fama e denaro hanno sostituito il Dogma alterandone la natura. Oggi uno di noi, e non sono io, è ricco, ma ogni tanto ci troviamo a bere insieme. Le nostre carriere hanno preso strade diverse e nessuno di noi fa più film seguendo le regole di un tempo. Infatti ora posso firmare i film con il mio nome".
Se la nostalgia è il sentimento dominante, che fine ha fatto la vera comune in cui è cresciuto Vinterberg? Ce lo spiega lui stesso con un po' di rammarico: "Nel 1975 eravamo tante famiglie che credevano negli stessi ideali, nella vita, nell'amore e nella quotidianità condivisa. Nel 1985 erano rimaste tre famiglie che vivevano ancora lì perché il giardino era bello. Negli anni '80 l'individualismo e l'edonismo hanno preso il posto dell'utopia e oggi di quell'esperienza non rimane più niente".