Alice Rohrwacher si è avvicinata al cinema in un modo che potremmo definire spontaneo, naturale in un certo senso. Anche se nel suo percorso non c'è nessun segno di passività o di semplice fatalismo, anzi. Questo un po' per le sue attitudini e propensioni e un po' per quelle di coloro che le hanno sempre gravitato intorno. In casa sua, dice Alice, c'è stata soprattutto la radio, al limite il teatro, il cinema meno. Anche se in realtà quello che le ha sempre smosso il cuore è il circo, mentre il suo approccio con il mondo dello spettacolo ha riguardato in primis la musica. La fusione delle due cose l'ha portata a muovere i primi passi con degli artisti di strada come una "donna orchestra". Parte di una famiglia itinerante, che è quella circense e che è quella dei suoi film, dietro e davanti la camera. Poi decide di cambiare e per farlo cerca l'indirizzo nella formazione scolastica e così va verso il documentario, anche se "filmare" come azione non la fa sentire perfettamente a suo agio.
La "svolta" (se ne esiste una sola) arriva non sul set, ma in sala di montaggio, durante la lavorazione di un documentario di Pierpaolo Giarolo di cui Rohrwacher era all'epoca aiuto regista e, appunto, montatrice. Lì rimase affascinata da questo particolare aspetto della settima arte. Un aspetto in cui è possibile tornare sulle cose, riaffrontarle, cambiarle e creare un percorso nato da un confronto con quello che si vede. Non a caso la sua idea di cinema parte da un dialogo, che è sempre un atto politico in quanto dà modo allo spettatore di entrare dentro a quello che viene portato sullo schermo. La chimera (qui la nostra recensione), il suo ultimo film, nasce da questo tipo di percorso perché è lo specchio della sua stessa idea di cinema.
Non solo La chimera a dirla tutta, infatti la pellicola ora nelle sale, presentata in concorso alla 75esima edizione del Festival del cinema di Cannes, è la terza che si occupa in modo esplicito del rapporto con il passato. Spesso è infatti indicata con l'ultimo atto di una ipotetica trilogia composta insieme a Le meraviglie del 2014 e Lazzaro felice del 2018. La prima pellicola si occupava di come i miti del presente potessero sconvolgere il passato, la seconda, invece, di come il ritorno alle proprie radici possa nascondere un tradimento, mentre quest'ultima della necessità di riconoscere quello che è sotterrato nei meandri della nostra storia (culturale, territoriale, personale) per emanciparsi da essa nel proprio passato. Una trilogia non ufficiale, di cui La chimera è probabilmente l'apice tematico.
Apicoltori, ladri e tombaroli
I protagonisti della Rohrwacher sono figure provenienti sempre dalla sua vita, trasfigurate sullo schermo come eroi romantici a metà tra passato e presente. Lo sono gli apicoltori de Le meraviglie, i ladri (ex contadini) di Lazzaro felice e i tombaroli de La chimera. Tutti sono accomunati dalla difficoltà dell'uomo di rapportarsi con la propria storia in senso lato, ma mentre i primi due gruppi sono martiri di una inadeguatezza generalizzata, il terzo ne è rappresentazione.
La Chimera: Alice Rohrwacher ci racconta il suo film "funambolo"
La regista di Fiesole tramite la famiglia guidata da Wolfgang rappresenta la volontà di autopreservazione di un mondo rurale, che vuole rimanere intatto e lontano da quello moderno, il quale, sotto forma prima di un elemento esterno e poi dell'arrivo della troupe televisiva, lo invade e cerca di conquistarlo. Una cosa simile accade alla realtà feudale dei contadini della marchesa Alfonsina, che per un finto rapimento vengono catapultati nella contemporaneità dove possono giusto fare i ladri. Questa irruzione violenta mette in crisi soprattutto le nuove generazioni, che devono fare una scelta e decidere da che parte stare. Generazione giovanissima ne Le meraviglie, che in Lazzaro felice diventa adolescente, ma sempre vittima passiva, se possibile ancora più dichiarata, pur nella sua capacità di viaggiare attraverso le epoche. Perché laddove Gelsomina riesce ad andare contro il padre a causa del fascino soggiogante delle promesse del mondo moderno, Lazzaro viene addirittura da esso, più feroce di un lupo, ucciso.
La differenza tra queste due comunità e quella dei tombaroli è l'attività che questi ultimi svolgono. Essa infatti permette di acquisire una certa proattività nel dialogo tra piani temporali dal momento che permette di privare la storia della sacralità che la rende intoccabile, pur riconoscendole la maternità di tesori così preziosi da avere un valore per il mondo presente proprio a causa della loro matrice. In più essa garantisce loro di percepirsi in un modo notevolmente più affascinante. E come dargli torto? Se ci pensate c'è tutto quanto un cinema che ci parla di quanto è "figo" essere dei predatori del tempo, degli avventurieri del passato. Eppure, nonostante ciò, La chimera ci racconta di un gruppo di inadeguati, comunque sfruttati da un sistema più grande che, giocando sulla possibilità di farli sentire falsamente più grandi, li sfrutta. La loro emancipazione è impedita da una connessione reale con il passato in cui vivono costantemente. La sola cosa che riescono a fare è ringhiarsi addosso l'un l'altro. Dunque, a loro (e al cinema della cineasta) serviva un Caronte.
A testa in giù
Arthur, il personaggio interpretato da Josh O'Connor, è la chiave tematica de La chimera e anche l'evoluzione naturale di Gelsomina e Lazzaro. Ripercorrendo il mito di Orfeo e Euridice, Alice Rohrwacher crea un rabdomante in grado di parlare con il passato, guidando i tombaroli come una bussola. Più che un'abilità la sua è una maledizione, dato che nonostante abbia la possibilità di creare delle nuove radici nel presente, il suo sguardo (la sua testa) è sempre rivolto verso il basso, verso il mondo di sotto.
La chimera, Alice Rohrwacher: "Un film che parla di rinascita"
La pellicola è strutturata interamente secondo questa posizione del suo protagonista, elevando il cinema a dimensione di mezzo in grado di far confluire vita e morte (al punto che tanti luoghi abbandonati riacquistano un senso nel corso della vicenda) e quindi unico spazio in cui si può osservare un reale dialogo tra di loro. L'amore tra Orfeo e Euridice rappresenta quello che è in grado di abbracciare questi due piani di esistenza. Il film compie una sorta di catabasi cinematografica di junghiana memoria in cui la discesa negli inferi diventa discesa dentro noi stessi. Fellini era solito fare qualcosa del genere.
Arthur riesce così finalmente a posizionarsi rispetto al passato in cui è completamente immerso, arrivando a capire che è giusto che determinanti oggetti appartenenti al mondo oltre la vita rimangano nascosti. Emerge, dunque, con una consapevolezza nuova, che è anche il senso del significato psicanalitico di tale percorso terapeutico. Un po' l'esatto opposto della nostalgia, la quale invece spinge chi ne è colto a rimanere sepolto dentro il passato. Nel suo ultimo atto La chimera termina il suo cammino, decretando che lo stesso sentimento che lega il protagonista al suo passato lo spinge ad un'emigrazione, un allontanamento da quei luoghi, sia fisici che dell'anima. Un rabdomante non più a testa in giù, ma con lo sguardo rivolto verso l'alto, che ha trovato finalmente una posizione per non essere più vittima o martire di questo scontro/confronto tra passato e presente.