Passato e presente. Sopra e sotto. La ricchezza materiale e la ricerca dell'amore, in un vuoto dilaniante (im)possibile da essere riempito. Un film sulla mascolinità, sul senso dello straniero, e pure un film sull'uomo in contatto con la natura, con la terra. Diverse prospettive, e un centro nevralgico legato (letteralmente) da un filo rosso. Alice Rohrwacher continua (anzi, rafforza) il suo straordinario percorso cinematografico con La chimera, presentato in concorso a Cannes 2023. La storia di un solitario inglese, Arthur (Josh O'Connor), che pare avere dei poteri da rabdomante. Poteri sfruttati da un gruppo di stravaganti tombaroli, profanatori di tombe etrusche.
Ma Arthur, silenzioso e stropicciato, è dilaniato dall'assenza del suo amore perduto, che rincontra nei sogni sospesi tra la veglia ed il sonno. Del resto, La chimera è un film palindromo, verticale nella struttura e nella realizzazione: "Nel film più si va su, più si va giù. Come per gli alberi. Le radici vanno a fondo, quanto poi i rami salgono in alto", ha spiegato Alice Rohrwacher nella nostra intervista. "La stessa cosa avviene nel film, un film che guarda le cose da un'altra prospettiva. Seguiamo una banda di tombaroli che cercano la ricchezza, e seguiamo Arthur che ha un'altra chimera".
La Chimera: intervista ad Alice Rohrwacher
Luoghi, personaggi, ricordi
Ne La chimera tornano alcune suggestioni Alice Rohrwacher: la natura miscelata con la magia, la delicatezza dei sentimenti, la dolcezza e le sporcature. E poi i luoghi, personaggi che cambiano e che plasmano i protagonisti. E come in Lazzaro felice, anche ne La chimera tornano le rotaie del treno. Sullo sfondo, un vecchia e metaforica stazione che riprende vita. "'La chimera' è un film che riflette sulla proprietà delle cose. Come le proprietà dei morti. Di chi sono gli antichi vasi etruschi? A chi appartengono? Dei musei? Degli archeologi? Dei tombaroli? Tra queste proprietà c'è una stazione abbandonata. Se è abbandonata è di tutti, allora una delle protagoniste la rende un luogo di vita. Sono luoghi ispirati alla realtà. Sono linee ferroviarie che collegavano i piccoli paesi, e ridare vita a questi collegamenti mi sembrava qualcosa di bello".
Un film che va giù, per andare su
Quello di Alice Rohrwacher è un film stratificato per concezione. Un film che prende diverse strade, sovrapponendo via via diversi punti di vista. "Nel film più si va su, più si va giù. Come per gli alberi. Le radici vanno a fondo, quanto poi i rami salgono in alto. La stessa cosa avviene nel film, un film che guarda le cose da un'altra prospettiva. Seguiamo una banda di tombaroli che cercano la ricchezza, e seguiamo Arthur che ha un'altra chimera".
Suggestioni visive e sonore, e un percorso che porta fino allo splendido e catartico finale: "C'è un percorso di rinascita, e si rinasce quando si abbandonano le cose. Arthur in qualche modo si abbandona, e quindi rinasce", prosegue la regista: "Mi sono sempre domandata: ma tutti i reperti archeologici, sono stati creati per gli occhi degli uomini? Quando li riportiamo alla luce portiamo l'invisibile al visibile. Nel farlo ci sono delle conseguenze. Quando accade ciò può esserci qualcosa di bello. Se un oggetto viene portato in un museo, torna alla sua radice. Se viene invece trafugato, il valore cambia".