Nel dicembre 2016 nasceva la Vision Distribution, una società di distribuzione cinematografica nata dall'accordo del gruppo Sky Italia con Cattleya, Wildside, Lucisano Media Group, Palomar e Indiana Production. L'obiettivo dichiarato era "stimolare il cinema italiano attraverso un modello innovativo" ed "elevare il valore dell'offerta". Ottima idea. Poi andiamo a vedere La casa di famiglia, opera prima di Augusto Fornari, e ci rendiamo conto che, come spesso accade in questo Paese, ai buoni propositi non corrispondano i fatti. Il soggetto di Andrea Maia vede protagonisti quattro fratelli: Alex (Lino Guanciale), la pecora nera della famiglia Oreste (Stefano Fresi), il sognatore e anaffettivo Giacinto (Libero De Rienzo) e la protettiva Fanny (Matilde Gioli). Il padre Sergio (Luigi Diberti) è in coma da molti anni e per ovviare ai problemi economici di Alex, i quattro decidono di comune accordo di vendere la casa paterna. Non possono immaginare che di lì a poco Sergio si risveglierà, recupererà forze e lucidità e pretenderà di tornare immediatamente in quella villa che custodisce tutti i ricordi a lui più cari.
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L'esasperato buonismo
I caratteri diversi, talvolta opposti, dei quattro fratelli, stereotipati a più non posso, li condurranno a frequenti e prevedibili liti. La casa di famiglia prosegue a suon di sketch poco riusciti, ripetitivi e battute che il più delle volte lasciano del tutto indifferenti. Non aiuta la mancanza di affidabilità da parte degli interpreti più rodati Fresi e De Rienzo, molto meno credibili Guanciale nella parte di uno spaccone e la Gioli, qui quasi sempre lacrimante e ormai onnipresente a ragion non veduta in film di vario genere. Ciò detto, il problema numero uno di commedie poco brillanti come questa rimane l'eccesso di buonismo riservato ad ogni relazione tra i personaggi e ad ogni passaggio della trama. Possiamo rallegrarci per la mancanza di volgarità ma pare comunque poco per un film che ambisce a divertire, o quantomeno intrattenere gli spettatori alla ricerca di un momento di evasione. Un modello superato sul quale i produttori continuano ad investire pur di racimolare qualche milione di euro che possa far quadrare i conti, mantenendo immutato il panorama desolante del cinema contemporaneo italiano, specie se trattasi di commedia.
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Una chiara mancanza di visione
All'assenza di quel lucido cinismo che aveva reso grande la nostra commedia all'italiana negli anni Settanta ci siamo ormai arresi. Ma sarebbe lecito pretendere più di così. Puntare su copioni che presentino davvero elementi di novità e su attori con un minimo di fascino e talento. Perché, anche quando sono più esperti come nel caso di De Rienzo e Fresi, non siano annichiliti in parti come queste che sono purtroppo costretti ad accettare in mancanza di prospettive migliori. La casa di famiglia è sintomatico di tutto ciò che manca attualmente al cinema italiano, che farebbe bene a produrre meno film del genere, ad investire su film stranieri di maggiore livello oltre che spudoratamente commerciali o del tutto fuori dalla portata del pubblico italiano. Urge una riforma del sistema e questo film, di cui non si sentiva minimamente l'esigenza, tanto più da una casa di distribuzione neonata, ne è l'ennesima riprova.
Movieplayer.it
1.5/5