L'odore dell'animo umano
Si credeva opera intraducibile in linguaggio filmico Il profumo di Patrick Süskind, uno dei romanzi più fortunati della storia della letteratura tedesca, arrivato inizialmente in Italia a puntate sul Corriere della sera per poi conoscere 11 differenti edizioni, e diventato in breve tempo un vero e proprio caso editoriale, con 15 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Quando ancora l'autore si rifiutava di cedere i diritti, Stanley Kubrick si dichiarò interessato a dirigerne la trasposizione cinematografica, abbandonando poi l'idea dopo aver verificato l'effettiva impossibilità di rendere sullo schermo lo straordinario, ma impalpabile mondo degli odori nato dalla penna ironica e brutale di Süskind. Bernd Eichinger, storico produttore di pellicole tratte da romanzi cult, tra cui La storia infinita e Il nome della rosa, è riuscito a convincere solo nel 2001 lo scrittore a dare il via libera alla realizzazione del film, e ha voluto che a dirigere un'opera così complessa e seducente fosse uno dei più talentuosi registi in circolazione, Tom Tykwer, un tecnico delle emozioni, esploso nel 1998 con Lola corre, ma poi poco valorizzato per i suoi successivi, meravigliosi lavori, La principessa e il guerriero e Heaven, regalo postumo di/a Kieslowski di inesprimibile bellezza.
Il regista tedesco si è trovato così tra le mani, per la prima volta, una materia estremamente difficile da dominare perché per sua natura sfuggente: l'universo impenetrabile degli odori. Jean-Baptiste Grenouille, una "tra le figure più geniali e scellerate" della Francia del diciottesimo secolo, rifiuto umano e artista "assoluto", sguardo innocente e mano assassina, arriva oggi finalmente sul grande schermo, per disturbare e scuotere gli spettatori, ma soprattutto per mendicare quel briciolo di pietà che non gli è mai stato concesso. Una storia eccessiva, sempre sopra le righe, tra orrore e fiaba, quella del garzone Grenouille, dotato di un olfatto così acuto da poter far propri tutti gli odori del mondo, da riuscire ad arrivare, anche a grandi distanze, nell'anima di ogni più piccola cosa, ma vittima della tragedia massima per un essere umano: la mancanza d'amore, di attenzione, di calore, dovuta ad una diversità che spaventa ed allontana. E la diversità di Grenouille non sta nel suo aspetto fisico, ma nel fatto imperdonabile che il suo corpo non emana alcun odore, un'anomalia "demoniaca" che disgusta e terrorizza chi se lo ritrova intorno. E' la beffa più grande ed inaccettabile per chi riesce ad entrare in contatto con il mondo solo attraverso il proprio naso: ecco allora che il non sentirsi lo consegna definitivamente a quella solitudine senza speranza che apre le porte al dramma.
Come in tutti i suoi precedenti film, anche in questo caso Tykwer va concentrando la sua attenzione sull'aspetto del crimine come motore della storia, come gesto disperato per arrivare all'amore. C'è sempre stata una agrodolce distanza tra i protagonisti dei suoi lavori e gli spettatori, perché per le sue storie la scelta è sempre caduta su personaggi fondamentalmente innocenti, ma costretti ad efferate azioni criminose. E' così anche Grenouille che, per conoscere il cuore degli uomini, non esita ad uccidere le vergini di Grasse, deciso a distillarne il profumo estatico, una sfida impossibile, il motivo ultimo per la sua inutile esistenza. Gli viene fuori l'opera d'arte totale, la luce che da sul Paradiso, la magnificenza insopportabile che fa colare la bava al cannibale. Ma, come si è detto, la storia di Grenouille è troppo stupefacente per riuscire in una sua adeguata resa sullo schermo: si rischia sempre di cadere nel ridicolo, di suscitare le risa volgari degli onnipotenti spettatori, quando la sospensione dell'incredulità diviene sfida troppo grande. Tykwer riesce a cavarsela quasi sempre, anche nelle due difficilissime scene conclusive per le quali sceglie la via della delicatezza (con Grenouille trasformatosi in angelico direttore d'orchestra dell'animo umano, uno spettacolo!) rispetto alla brutalità che avrebbe forse richiesto un epilogo così sorprendente, che segna l'ingresso dell'uomo nell'era moderna.
Gli estimatori del libro non potranno dirsi delusi: l'adattamento è estremamente fedele, sono fatte salve l'ironia e la fascinazione misteriosa del romanzo, la voce fuori campo (certo invasiva e didascalica) legge proprio le pagine scritte da Süskind, la ricostruzione della Francia del '700, delle botteghe, dei laboratori è commovente nella sua accuratezza. Eppure, c'è una precisa scelta degli sceneggiatori che grava come un macigno su tutto il film: il non aver svelato immediatamente, come nel libro, quella anomalia che rende Grenouille un uomo totalmente scollato rispetto al mondo che lo circonda. Tykwer sceglie infatti di rivelare quell'informazione fondamentale per capire ed entrare nella profondità del personaggio dopo troppo tempo, in una sequenza senza dubbio d'effetto nella sua drammaticità, ed evita di sottolineare successivamente questo che nel libro di Suskind è l'aspetto più importante. Si crea così una distanza troppo grande tra chi guarda e il personaggio, figura ambivalente che ha un modo tutto suo di vivere le emozioni, da sembrarne quasi privo. Ma le sensazioni che muovono Grenouille traspaiono sempre, nelle sue corse, nei suoi affanni, nei suoi silenzi curiosi. In fondo, anche quando spezza la vita di fanciulle innocenti, non si può non sentirlo vicino, non si può non comprendere la sua glaciale disperazione.
Tykwer, solito chirurgo dell'immagine filmica, sembra maneggiare con qualche difficoltà di troppo una storia che evidentemente non sente sua fino in fondo e va spesso in confusione, osando dove non dovrebbe, frenando dove bisognerebbe calcare la mano. Il montaggio frenetico delle immagini più disturbanti che accolgono Grenouille nel mondo sono uno stratagemma insignificante, i viaggi di camera in fast motion per raggiungere l'origine dei profumi sono disorientanti, alcune scelte (come la penosa sequenza kitsch di Hoffman nel giardino dell'amore) troppo azzardate. Ma quando si concentra su ciò che sa fare meglio (i primi e primissi piani, l'indagine minuziosa dei corpi) Tykwer sorprende come al solito, incanta con la sua fine sensibilità, ci regala pura poesia d'immagini (una su tutte la sequenza della ragazza delle mirabelle) che non può essere facilmente dimenticata, grazie anche alla fotografia del solito Frank Griebe, che si lascia andare a continui, raffinati giochi di luci ed ombre, che svelano e nascondono, immergendo la storia nelle tonalità scure che rimarcano la miseria del tempo narrato, e nella luminosità degli spazi aperti quando la libertà per il protagonista sembra essere ad un passo. Ben Whishaw nel ruolo di Grenouille è francamente eccezionale, un talento incredibile: riesce a sostenere più di due ore di film senza quasi dire una parola, lasciando parlare essenzialmente il corpo, come chi, smarrito nel mondo sconosciuto, è guidato solo dal proprio naso.
Cinema e letteratura tornano ad incontrarsi, ma mai come questa volta la trasformazione della parola in immagine è stata così faticosa. Il profumo è un romanzo peculiare, giocato su quel senso, l'olfatto, difficile da stimolare fuori dalla realtà tangibile della vita vera. Tykwer esce dalla crisi artistica in cui era sprofondato dopo la fredda accoglienza riservata al suo Heaven, e si confronta con un blockbuster ad alto budget, che lo allontana per un po' dalle storie minime che hanno caratterizzato la sua filmografia. Stavolta la storia, il film, il cuore sono tutti in un unico incredibile personaggio, Jean-Baptiste Grenouille, e nel suo errare nel mondo sconosciuto ed in conoscibile se non attraverso gli odori. Il risultato è contraddittorio, ma guai ad archiviare Profumo con superficialità, perché ricco di implicazioni sociologiche, esperimenti comunicativi, sfide percettive e di un formidabile discorso sull'Arte e sul genio. Finalmente cinema che torna a stimolare, finalmente una vera sfida per lo spettatore.