Recensione Mia madre (2010)

Una fiction che ha l'ambizione di narrare trent'anni di storia italiana attraverso gli occhi di una famiglia e soprattutto di un ragazzino che vede sparire un mondo sostituito da un altro, i punti di riferimento radicalmente modificati.

L'odissea di una famiglia in un paese che cambia

Nei primi anni '50, nella cittadina pugliese di Cisternino, si celebra un matrimonio come tanti: Uccio, famiglia contadina, braccia forti e tanta determinazione nel costruire un avvenire per la sua futura famiglia, si lega a Nunzia, giovane donna bella, anticonformista, che se ne infischia delle chiacchiere della gente e "corre scalza verso la luna", proveniente da una famiglia già mal vista dal bigottismo imperante nel paese. La cerimonia, gli anelli, il bacio e una foto a immortalare un momento irripetibile: il sorriso forzato della madre di Uccio e i sogni sul volto di due giovani che guardano fiduciosi al futuro, nonostante un presente che, tra le macerie del dopoguerra, sembra essersi scordato di loro.
Dieci anni (e tre figli) dopo, le cose non sembrano cambiate: Uccio vive e sfama la sua famiglia grazie al lavoro giornaliero nei campi, ma l'asma bronchiale gli rende sempre più difficile conservare questa precaria fonte di sostentamento; sua madre continua a mal tollerare la presenza di Nunzia, nonostante il suo affetto verso i nipoti. Quando in paese riappaiono alcuni emigranti tornati dal nord industrializzato, a bordo di costose automobili e con racconti di una vita che, in cambio di un lavoro duro, è finalmente diventata dignitosa, Uccio prende una sofferta decisione: anche lui farà il grande passo e cercherà fortuna a Torino, dove il boom economico sta finalmente trasformando il volto del paese; la sua famiglia potrà raggiungerlo una volta che avrà trovato un lavoro e una casa.

Prodotta da Rai Fiction insieme a Ellemme Group, e diretta da un Ricky Tognazzi che continua ad alternare lavori per il grande e il piccolo schermo, Mia madre è una fiction in due puntate che ha l'ambizione di narrare trent'anni di storia italiana attraverso gli occhi di una famiglia, che vive la grande trasformazione che il paese attraversa in quel periodo cruciale, e soprattutto di un ragazzino che ha visto sparire un mondo sostituito da un altro, i punti di riferimento radicalmente modificati. L'elemento centrale della storia, narrata in prima persona da Giuseppe, membro più giovane della famiglia, è in effetti proprio l'odissea di Nunzia, Uccio e dei loro tre figli attraverso un periodo di fondamentali trasformazioni, ma soprattutto il confronto tra due società che si vorrebbero agli antipodi (quella contadina, più legata alle tradizioni, al sud, e quella industriale, in tumultuosa mutazione, dei grandi centri del nord) ma che purtroppo rivelano molte similitudini, specie nei loro lati peggiori. A dispetto del titolo, la prima parte della fiction è dedicata alla famiglia nel suo complesso, con un ampio spazio per approfondire il personaggio di Uccio e le sue vicissitudini; mentre la seconda si concentra su Nunzia e sui suoi sforzi di crescere i figli nella nuova realtà del capoluogo piemontese, tra tensioni e necessità emergenti. Il trait d'union è l'evoluzione, squilibrata e contraddittoria, di un paese che entrava in ritardo nella modernità, stravolgendo sovente le vite dei suoi cittadini, costringendoli a scelte difficili senza dare loro nessuna garanzia in cambio.
Colpisce l'accuratezza, scenografica e più in generale visiva, con cui vengono rappresentati i due contesti sociali in cui i protagonisti si muovono, le automobili d'epoca, i negozi e i bar del paese nella parte ambientata al sud, la nebbia e le grandi fabbriche in quella di Torino; c'è più in generale una buona capacità, anche narrativa, di cogliere il clima, l'atmosfera degli ambienti in cui i personaggi si muovono, il loro diverso sentire nelle due situazioni: parte di un tessuto sociale fatto di connessioni strette e legami consolidati in un caso, sradicamento e isolamento urbano nell'altro. Colpisce, come si diceva, l'emergere di similitudini nei due ambienti, nella grettezza di un modo di pensare mai scalfito nel profondo dalle trasformazioni sociali, e nella violenza che arriva inaspettata, a ricordare che la bestialità che alberga nell'animo umano non ha collocazioni geografiche né sociali. Su tutto, un personaggio, quello di Nunzia (interpretata da Bianca Guaccero) che cresce e si modifica profondamente nel corso della narrazione, da giovane anticonformista a madre che lotta con le unghie e i denti per dare un futuro ai propri figli; e una figura sofferta come quella di Uccio (a cui dà il volto Marco Cocci) costretto dalla necessità a compromessi e scelte dolorose, a cui fa da naturale contraltare il personaggio, sempre più centrale, dell'idealista Mario, interpretato da Francesco Venditti.
Lo sguardo del regista si muove tra i toni elegiaci, sempre piuttosto contenuti e affidati alla voce off del piccolo Giuseppe, e la ricostruzione d'epoca, con l'ambizione di offrire un vero spaccato sociale, una narrazione di tre decenni di storia che da individuale si fa collettiva: con il culmine in quegli anni Ottanta che, se oggi ci appaiono cronologicamente lontani, continuano comunque a far sentire la loro influenza sulla società italiana, veicolando modelli sociali ormai del tutto istituzionalizzati.

Movieplayer.it

3.0/5