In uscita per la Movimento Film a gennaio, Marina è un caso molto interessante di co-produzione tra Italia e Belgio, il cui intento è quello di raccontare - attraverso la vicenda biografica del cantante calabrese Rocco Granata - la drammatica storia dell'emigrazione italiana nei Paesi Bassi dove i nostri connazionali, soprattutto negli anni Cinquanta, si trovarono a svolgere un mestiere durissimo come quello del minatore. E nelle miniere di carbone, in un paesino delle Fiandre, aveva trovato lavoro, nel 1948, Salvatore, il padre di Rocco Granata, qui interpretato da Luigi Lo Cascio. Nel film, si racconta soprattutto il conflitto tra il padre e il figlio, con il ragazzo che aspira a diventare musicista e il genitore che, al contrario, lo vorrebbe spingere a cercare un lavoro più stabile. Abbiamo incontrato nello spazio BNL, allestito qui all'Auditorium, il regista di Marina, il belga Stijn Coninx, i protagonisti Matteo Simoni, Luigi Lo Cascio (che, in occasione della conferenza, ha ricevuto un premio dall'Agis Scuola), Donatella Finocchiaro, Evelien Bosmans e Christian Campagna, il produttore Cristiano Bortone della Orisa Produzioni e lo stesso Rocco Granata, onorato e orgoglioso del fatto che sia stato possibile raccontare in un film la sua vicenda biografica.
Come è nata l'idea di girare questo film e come si è sviluppata la scrittura della sceneggiatura, mettendo al centro della vicenda proprio la canzone Marina, il maggior successo musicale di Rocco Granata? Stijn Coninx: Sono sempre stato interessato al tema dell'immigrazione, in particolare verso il Belgio, il mio paese. È un discorso che è sempre stato al centro dei miei interessi. L'idea di fare Marina nasce nel 2007, su spunto dello stesso Rocco Granata che mi ha chiamato chiedendomi se volevo fare un film su di lui. Mi ha raccontato la storia della sua vita ed io sul momento ho pensato che sarebbe stato molto difficile fare un solo lungometraggio percorrendo tutto l'arco biografico di Rocco. Con la storia che ha avuto lui ci vorrebbero almeno dieci film. L'aspetto che però, da subito, mi ha interessato di più è stato quello della fase in cui Rocco, alla fine degli anni Quaranta, a soli undici anni, si è ritrovato a vivere in un paese completamente diverso dal suo. Una storia, questa dell'immigrazione, che accade in continuazione, di paese in paese, e che, secondo me, acquista un senso più profondo e drammatico nel momento in cui un bambino si trova a vivere in quella condizione perché, appena cresce, si trova ad essere straniero sia nel posto in cui si è trasferito che in quello da cui proveniva. Da qui, poi abbiamo costruito il contrasto tra il padre e il figlio, che è al centro delle dinamiche tra i personaggi. Anche il resto della famiglia è ovviamente importante ed è per questo che abbiamo voluto assolutamente avere come interpreti degli attori italiani. E, perciò, per non dilatare troppo il racconto, abbiamo deciso di chiudere il film praticamente quando inizia la carriera musicale di Rocco. Per quel che riguarda invece la canzone Marina, noi volevamo sapere da Rocco chi era la donna che si celava dietro quel nome ma, nel momento in cui lui ci ha detto che era un nome assolutamente casuale, abbiamo deciso di inserire una storia d'amore e di far sì che questa ragazza belga - interpretata da Evelien Bosmans - fosse la "sua" Marina. Luigi Lo Cascio come hai vissuto questo ruolo difficile di un padre che cerca di ostacolare suo figlio? E, a tal proposito, la tua carriera artistica è stata ostacolata oppure no dai tuoi genitori? Luigi Lo Cascio: Io non direi che il padre che interpreto, Salvatore Granata, cerchi propriamente di ostacolare il figlio nelle sue ambizioni musicali. C'è un punto fondamentale e cioè che anche Salvatore era un musicista. All'inizio del film, infatti, si vede che, nel paesino in provincia di Cosenza in cui vivono, la musica è un elemento centrale della loro vita quotidiana. Vivono immersi nella musica e quindi non c'è nessun pregiudizio in tal senso. Il problema che nasce in Belgio è la necessitò della concretezza del vivere. Perciò al mio ruolo spetta il compito di indicare un principio di realtà. Credo che questo sia un film importante, anche dal punto di vista sociale e politico, perché ricorda degli aspetti oggi completamente dimenticati, come ad esempio quello per cui, persino a livello legislativo, si imponeva in Belgio di non mandare a scuola i figli dei minatori, o quantomeno di ostacolarne il percorso. Si riteneva infatti che l'educazione, la cultura avrebbe poi potuto convincere i figli dei minatori a non scegliere il mestiere dei padri. Comunque, l'opposizione, il conflitto che si crea tra Salvatore e Rocco non è semplicemente figlio della difficile condizione sociale di quella famiglia. Ad esempio, ho un amico poeta che veniva da una famiglia di nobili e il padre non voleva che lui prendesse la strada della letteratura. Nel mio caso, invece, sono stato aiutato dai miei che, con grandi sacrifici, mi hanno fatto studiare all'Accademia Silvio D'amico.Quanto è stato difficile dirigere per te, Stijn Coninx, dirigere un film parlato soprattutto in italiano, anzi in calabrese? Stijn Coninx: È stato ovviamente molto difficile. In realtà avevamo programmato di imparare l'italiano, ma poi mi sono dovuto concentrare sulle varie difficoltà produttive che abbiamo incontrato nel corso della lavorazione. Comunque, avendo anche scritto la sceneggiatura, sul set maneggiavo la storia alla perfezione. E perciò alla fine con gli attori ha contato molto l'istinto, ci guardavamo negli occhi. Ovviamente avevamo un coach per l'italiano, e in particolare per il calabrese, che è stato Gianni Pellegrino. Ma anche gli stessi Donatella Finocchiaro [che nel film interpreta la madre di Rocco, n.d.r.] e Luigi Lo Cascio aiutavano e davano dei consigli linguistici agli altri attori, in particolare al protagonista, al nostro Rocco, Matteo Simoni che, pur essendo italo-belga, non sapeva l'italiano. Dall'altro lato, invece, Rocco bambino, interpretato da Christian Campagna, ha dovuto studiare il fiammingo, ma in generale la parte più difficile è stata proprio quella di Matteo Simoni. Prima di sceglierlo ho visto 75 ragazzi di origine italiana - e pochi di loro erano attori - e alla fine ho scelto Matteo perché, pur non sapendo all'epoca l'italiano, lo conoscevo già e sapevo che poteva farcela. Infatti, si è messo a studiare e l'ho trovato subito credibile. Vorrei aggiungere infine che sono molto contento di come sia stato accolto il film ieri. Per noi era la prova del nove, perché solo qui in Italia potevamo capire se il lavoro linguistico che avevamo fatto era stato buono. Insomma, è andata bene.
Matteo Simoni, come è stata questa esperienza? È stato difficile imparare l'italiano? Matteo Simoni: È stata un'importante esperienza formativa. Del resto, anche la mia famiglia si è trasferita dall'Italia al Belgio, quindi ci sono molte cose simili tra la mia vicenda e quella del personaggio di Rocco Granata. Ho trovato subito che per me fosse un magnifico regalo questa opportunità che mi permetteva di ritornare, sia pur indirettamente, alla storia della mia famiglia. L'italiano posso dire che, oltre che sui libri, l'ho imparato vedendo La meglio gioventù. L'ho visto cinque volte e già dalla seconda senza sottotitoli. E lì ho scoperto il miglior attore italiano, Luigi Lo Cascio.Luigi Lo Cascio: Grazie! Devo dire che Matteo è un ragazzo straordinario che ha lavorato tantissimo per fare questo film. Non sapeva l'italiano e l'ha studiato, non sapeva suonare e cantare ed ha dovuto applicarsi per riuscirci, non sapeva nuotare e ha imparato anche quello e, infine, non aveva mai baciato una donna e ha dovuto imparare anche questa cosa [scherzando, ride, n.d.r.].
Del resto anche voi, Donatella Finocchiaro e Luigi Lo Cascio, da siciliani avete dovuto imparare quasi un'altra lingua, questo particolare tipo di calabrese che suona quasi arcaico.
Donatella Finocchiaro: È vero, non è stato facilissimo. Comunque, siamo del Sud e quindi per noi è più facile. Del resto, già quando, da catanese, mi sono ritrovata a interpretare un personaggio palermitano, mi sono dovuta preparare con molta attenzione. In particolare, questa forma di calabrese che abbiamo scelto è della provincia di Cosenza ed ha un suono diverso dal calabrese classico, suona primitivo, come proveniente dall'Ottocento. E proprio per questo ci sembrava preferibile.
Matteo Simoni: Infati, io ero contento perché vedevo che anche Donatella Finocchiaro e Luigi Lo Cascio erano in difficoltà a parlare in questo dialetto [ride, n.d.r.]. A parte gli scherzi, per me è stato un lavoro molto lungo e ringrazio anch'io Gianni Pellegrino che mi ha permesso di arrivare a un livello di sicurezza tale da non dovermi più concentrare sul suono delle parole, quanto al modo in cui recitare le battute. Questo mi ha permesso anche di potermi lanciare in alcuni momenti di improvvisazione.
Il film è già uscito in Belgio? Cristiano Bortone: Sì, Marina è uscito in Belgio questa settimana ed è in testa agli incassi. Si tratta di un ottimo risultato per noi, basti pensare che al secondo posto c'è Gravity.