L'amore ai tempi dell'Alzheimer
Chi crede ancora nell'amore romantico, in quel sentimento più forte di ogni ostacolo, che va oltre tragedie, equivoci e guerre per restare eterno? Forse solo il cinema, quella inesauribile macchina che continua a riflettere sui sogni, li produce, li mette in scena, li riporta a galla quando la loro forza va esaurendosi. E il cinema cerca, e sa che troverà, chi ha ancora bisogno di credere in quei sogni, di credere nell'amore e nel bisogno d'amore, perché se ormai, oggi, tale sentimento non sembra altro che un pallone di chewing gum che scoppia nell'aria, chiunque, nel fondo incontaminato della propria innocenza scucita, conserva il profumo delle illusioni più pure, dal quale vorrebbe essere guidato per raggiungere l'immortalità, che nel piccolo di una vita si costruisce sempre insieme all'altro. Ed ecco allora una storia d'amore come non se ne vedevano da tempo al cinema, ma come se ne sono già viste a bizzeffe, pronta a far infradiciare di lacrime le guance degli spettatori più sensibili, di coloro che godono nello sprofondare in una comoda poltrona per lasciare che le immagini sullo schermo solletichino senza pietà le corde dell'emozione.
Dopo Le parole che non ti ho detto e I passi dell'amore, qualcuno ha sentito l'irrefrenabile bisogno di trarre un nuovo film da un romanzo (in questo caso il primo) di Nicholas Sparks, un autore che glorifica il legame presunto e indissolubile tra scrittura e amore, e che, nel dar vita ai suoi libri, si arma di un calamaio colmo di miele, nel quale intinge la penna prima di lasciarla cadere su ogni pagina, conquistando così chi le volta leccandosi le dita. Qui si tenta un furbesco ed ampolloso revival dell'amore romantico, con tutti i suoi luoghi comuni, ma si ha l'accortezza di tenerlo in un tempo andato, negli anni quaranta, anche se il dramma si estende fino ai giorni nostri, quando a dividere gli innamorati legati dal destino non sono più le differenze di classe, ma le ombre della demenza senile. Dal buio del presente, allora, ci si imbarca in un viaggio a ritroso nelle sacche della memoria, per ricordare come e chi eravamo, ma soprattutto con chi. Una racconto via flashback, che parte da un quaderno che qualcuno ha scritto perché la malattia non condanni all'oblio una struggente storia d'amore e che qualcun altro legge per trovare alla speranza uno sbocco nella realtà.
Un'intuizione sadica dietro la costruzione del film: da una parte la grazia e la freschezza della passione giovanile, dall'altra la dura realtà della vecchiaia. Quel che consegue questo impietoso confronto è soltanto dolore, sul quale è bello tacere. Se nella prima parte le dinamiche dell'innamoramento vengono raccontate con godibile leggerezza, grazie soprattutto alle convincenti e carismatiche interpretazioni di Ryan Gosling (un volto che ricorda in modo impressionante Christian Bale e Giovanni Ribisi) e Rachel McAdams (già vista nei panni della perfida Regina George nello splendido Mean Girls), quando il film imbocca la strada dell'amore proibito, collezionando una serie infinita di cliché, il piacere implode, mentre regista e sceneggiatore si armano di tenaglie per tirar fuori le lacrime dagli occhi dei poveri spettatori. Il dramma amoroso assume i connotati di un conflitto dovuto alla differente estrazione sociale (lei ragazza bene di città, lui falegname squattrinato di campagna) e i giovani amanti vengono separati da genitori, lettere sottratte e guerra. A quest'ultima viene dedicata un'unica, abominevole, breve sequenza, nella quale c'è spazio perché il migliore amico venga raggiunto e cancellato dal fuoco avversario e il povero Gosling sia colto dalla macchina da presa in un'indecifrata (ed indecifrabile) espressione. L'ellissi che tace anni di separazione è così fulminea che quasi non ci si accorge della tragedia del tempo che è passato senza che i due innamorati potessero toccarsi, il tutto liquidato con un po' di barba lunga o un taglio di capelli più cool.
L'amore guerriero ritratto in questo appiccicaticcio melò non è che cibo per telenovele, pieno com'è di ovvietà, abusati meccanismi narrativi, frasi ad effetto ed una languida e manipolatoria messa in scena, esemplificata dall'emblematica sequenza iniziale immersa nei colori accesi del tramonto, tra stormi di anatre che si alzano in volo. E poi i baci: Le pagine della nostra vita ha come sua marca distintiva un continuo incontro di labbra, mai vista tanta pellicola sprecata per dar conto di milioni di baci. Dietro la macchina da presa c'è un poco ispirato Nick Cassavetes, figlio del grande John e di Gena Rowlands, con la quale torna qui a lavorare, dopo averla già diretta nel suo primo film da regista, Una donna molto speciale. La Rowlands fa coppia con James Garner per dar vita ai due amanti da vecchi, lei senza memoria per colpa dell'Alzheimer, lui disperato perché privato dei suoi baci, ma per loro la potenza dell'amore sarà ancora in grado di fare miracoli, l'ultimo cucchiaio di zucchero di un film per il quale sarebbe lecito istituire il divieto ai malati di diabete.