Recensione Il monaco (2003)

Non avendo nulla della poesia e dell'eleganza de La tigre e il dragone, Il monaco risulta una sorta di Charlie's Angels meno ricco di trovate divertenti e con un cast non sempre all'altezza.

Kung-Fu e banalità

Siamo nel 1943, un giovane monaco buddhista ha appena passato l'ultimo test che gli permetterà di prendere il posto del suo maestro come protettore di un' antica pergamena contenente potere illimitati, quando un gruppo di nazisti irrompe nel tempio tibethano e fa strage di innocenti al solo scopo di impadronirsi proprio del prezioso incantesimo. Il monaco viene colpito a morte, ma pur di non consegnare l'oggetto al nemico si butta da un precipizio e scompare. Lo ritroviamo sessant'anni dopo a New York, non invecchiato di un solo giorno, ancora a cercare di sfuggire a coloro che vogliono impadronirsi della pergamena, quando incontra Kar, un giovane borseggiatore, che ha imparato il kung-fu attraverso i film di arti marziali più volte visti nel cinema d'essay in cui vive e lavora.

Essendo queste le premesse, è ovvio che un film come Il monaco non può essere preso sul serio, ma risulta una sorta di Charlie's Angels meno ricco da tutti i punti di vista: budget, cast, trovate. Chi si aspettava insomma un nuovo La tigre e il dragone, considerato anche che il protagonista di entrambi i film è il talentuoso Chow Yun-Fat, non potrebbe rimanere più deluso: non c'è nulla della poesia e dell'eleganza del film di Ang Lee, per non parlare poi dei contenuti filosofici e morali; ci troviamo davanti ad un puro divertissement, per di più di mediocre fattura.
Il problema vero, però, è che di divertimento ce ne è davvero troppo poco, considerato che l'azione non è certo "da palpitazioni" e soprattutto i combattimenti non sono certo né al livello delle migliori produzioni orientali (vedi Hero) né di quelle occidentali (vedi Matrix e Matrix Reloaded). Dialoghi divertenti e battute ad effetto sono ovviamente presenti come in tutti gli action-movie che si rispettino, e sono effettivamente l'unico elemento che effettivamente riesca a tenere svegli fino alla fine della proiezione, non tanto per la qualità dei dialoghi in sé, ma per la bravura e la simpatia del protagonista.

L'attore di The Killer e A Better Tomorrow, pur gigioneggiando a volte più del dovuto, riesce ad essere carismatico ed interessante nonostante la poca profondità del personaggio e la mancanza di una degna spalla. Seann William Scott, proveniente dai ruoli demenziali dei vari American Pie, fa del suo meglio per dimostrare che può funzionare anche in altri tipi di ruoli, così come la bella Jaime King, ex-modella già intravista in Pearl Harbor, ma non riescono mai ad entusiasmare e soprattutto a creare quello spirito di squadra necessario in film del genere.
Il regista del film, Paul Hunter, fa parte di quella schiera di giovani e volenterosi cineasti provenienti dal mondo dei videoclip, ma dai risultati emersi da questa sua prima opera appare chiaro che per raggiungere i fasti dei David Fincher o degli Spike Jonze ce n'è di strada da fare. E' pur vero che Hunter parte decisamente svantaggiato, perché le basi (uno script estremamente debole e un cast davvero poco omogeneo) sono molto fragili, ma è anche vero che la sua regia ci pare piatta e di maniera, priva di un qualsiasi elemento personale, di un qualcosa, insomma, che avrebbe potuto arricchire un film già povero di effettivi elementi di interesse.

Movieplayer.it

2.0/5