Lavorare con un certo tipo di attori permette di fare dei film che altrimenti non sarebbe possibile girare. Oltre al nome illustre, che fa la differenza fra successo o flop o l'ottenimento di un certo tipo di budget o meno, contano altre qualità come la dedizione al personaggio, la capacità di sposarne il temperamento e di immedesimarsi nella visione del regista e, cosa fondamentale, avere il giusto background. Insomma, ci sono dei ruoli già scritti nel destino di determinati attori. E questo fa la differenza tra il contribuire alla riuscita di una pellicola o renderla, più semplicemente, realizzabile.
Come nel caso di Perfect Days (qui la nostra recensione), l'ultimo film di Wim Wenders, presentato alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Cannes. Una pellicola meravigliosa anche perché si avvale di un grande protagonista, Kōji Yakusho. Una scelta importante, perché si tratta di una prova da one man show, e poi perché il titolo è pensato per recuperare un racconto tipico della tradizione giapponese in cui gli interpreti devono essere in grado di riempire uno spazio emotivo, oltre che fisico, senza mai invadere lo sguardo e il pensiero dello spettatore. Una tempesta sotterranea, silente, spesso ferma, comunicata secondo una narrazione metodica, lenta e compassata. Uno stile narrativo educato, ritualistico, composto dall'esaltazione delle piccole cose, che esige una recitazione armoniosa e che, anche nei suoi momenti di crescendo, non deve mai porsi sopra la regia o la storia.
Un personaggio indimenticabile
Kōji Yakusho è semplicemente perfetto nel trasportare questa idea sullo schermo, permettendo a Wim Wenders (e allo sceneggiatore Takuma Takasaki) di fondere l'anima orientale con quella europea. Lui diventa un centro di gravità permanente intorno al quale Perfect Days prende forma. È il fulcro dell'attenzione dello spettatore, che, perso nella libertà che gli si concede per la risoluzione dell'enigma del personaggio, neanche si accorge di essere entrato anch'egli all'interno dalla sua incantevole routine. Hirayama, con il suo viso gentile, il suo fare elegante, la sua fragilità misteriosa e il suo animo curioso rimarrà un personaggio indimenticabile nella filmografia di Wim Wenders, e anche della carriera di Yakusho, vincitore a Cannes, e ora forse (ri)conosciuto anche dal grande pubblico.
Kōji Yakusho e il percorso di formazione di un attore straordinario
Nato Kōji Hashimoto, ma conosciuto professionalmente come Koji Yakusho, come a voler conservare dentro parte del suo passato. Dovete sapere che dopo il diploma, Hashimoto ha lavorato nell'ufficio del distretto municipale di Chiyoda a Tokio, chiamato anche, appunto, "kuyakusho". Il suo primo amore fu il teatro, e leggenda vuole che decise di intraprendere il percorso attoriale dopo aver assistito ad un rifacimento di Bassifondi, opera scritta da Maksim Gor'kij, con protagonista il leggendario Tatsuya Nakadai, attore feticcio di Masaki Kobayashi e di Akira Kurosawa. Il talento di Yakusho venne fuori un paio di anni più tardi, quando riuscì a essere tra i quattro selezionati per entrare nello studio di recitazione proprio di Nakadai in una rosa di 800 candidati.
Il successo fu istantaneo, tanto che fin dai primi ruoli per la televisione si distinse per la sua incredibile presenza scenica e la sua recitazione di stampo teatrale. Sintomo di questo riconoscimento tanti dei suoi primi anni lo videro interpretare personaggi storici in serie in costume, un tipo di prodotto che in Giappone andava molto, specialmente negli anni '80. Nel 1988 gli fu conferito anche un premio speciale per il suo lavoro nel cinema dal Ministro giapponese dell'Istruzione, della Scienza, dello Sport e della Cultura. Era però ora di emanciparsi dal ruolo del samurai.
La svolta sul grande schermo arriva tra il 1996 e il 1997. Prima protagonista di Vuoi ballare? - Shall We Dance?, riferimento alla canzone Shall We Dance? del musical The King and I di Rodgers e Hammerstein, film dell'anno in Giappone e fonte di ispirazione di un remake omonimo con protagonisti Richard Gere, Susan Sarandon e Jennifer Lopez, e poi con il Festival di Cannes del 1997, anno dove recita come protagonista ne L'anguilla di Shohei Imamura, pellicola vincitrice della Palma d'Oro anche "grazie ai suoi grandi meriti attoriali", come scrissero diversi critici. L'altro film a cui partecipò nel 1997 era Lost Paradise, secondo per incassi in Giappone solo perché fu distribuito nella stessa stagione cinematografica di Princess Mononoke. In quel momento, stava nascendo un attore poliedrico e incredibilmente tecnico, un ballerino della recitazione, elegante e carismatico.
Perfect Days è il miglior film di Wim Wenders?
La maturità artistica e quel primo piano finale in Perfect Days
Il passo successivo per Kōji Yakusho fu l'incontro con il regista specializzato in horror Kiyoshi Kurosawa, con il quale strinse un lungo e proficuo sodalizio dal quale nacquero pellicole come in Cure, License to Live, Seance, Charisma, Pulse, Doppelganger, Retribution e Tokyo Sonata. Forse è proprio in questi anni che l'attore acquisì la capacità di adottare il punto di vista del regista sui personaggi che era chiamato ad interpretare. Un'abilità fondamentale per un attore, specialmente nel cinema contemporaneo, e colonna portante del bagaglio di Yakusho, almeno a giudicare dalla sua prova in Perfect Days.
Successivamente al 1997, eccolo in ruoli minori come quello in Memorie di una Geisha, la pellicola di successo del 2005 diretta da Rob Marshall, basata sull'omonimo romanzo di Arthur Golden (prodotto dalla Amblin Entertainment di Steven Spielberg) e che vinse 3 statuette ai Premi Oscar del 2006 e in Babel. Nel film di Alejandro González Iñárritu, si è distinto per l'eccezionalità con cui interpreta un ruolo drammatico e complesso come quello del padre di una ragazza sordomuta. Anche se la scelta di casting più indicativa è la sua intuizione di entrare a far parte del cast di Seta di François Girard, film tratto dall'omonimo romanzo di Alessandro Baricco. Poi, il ritorno nel ruolo del samurai arriva con la chiamata di un mostro sacro come Takashi Miike per 13 assassini e Death of a Samurai. La sua carriera da lì si concentrò sulle produzioni giapponesi e sperimentazioni sia come regista che come doppiatore, con in mezzo una prova meravigliosa nei panni dell'ambiguo Misumi, uno dei protagonisti de Il terzo omicidio di Hirokazu Kore'eda.
Da qui si arriva a Perfect Days, dove Kōji Yakusho fornisce la prova della carriera non solo perché è probabilmente la più ricca, sfaccettata e responsabilizzata, ma perché è quella che gli permette di mettere in scena la condensazione di una carriera. L'attore giapponese riesce a portare sullo schermo tutto se stesso attraverso un'interpretazione che impone una grande disciplina e una totale devozione allo spirito di un racconto potente e semplice, ma anche incredibilmente complesso. Una recitazione che diventa efficace solo quando è armoniosa, e che per arrivare deve riuscire a far quadrare un registro composto da gesti, pause, microespressioni, lavoro sul corpo e una capacità mimica accordate alla perfezione. Il vissuto di un uomo che lentamente si srotola davanti ai nostri occhi attraverso la creazione di un mondo che è riuscito a ritagliarsi nello spazio e nel tempo. E l'indimenticabile primo piano finale è solo la ciliegina sulla torta di una grande carriera.