Ci sono storie che tutti conosciamo. Miti, leggende e icone che vanno a formare il tessuto connettivo della nostra base culturale, che definiscono il territorio in cui si muove la nostra immaginazione mentre cresciamo e diventiamo adulti. Un patchwork di colori e toni diversi, da quelli accesi e netti delle fiabe a quelli delle storie che ci accompagnano negli anni che seguono all'infanzia: passiamo da Biancaneve, Cenerentola e Peter Pan a Robinson Crusoe e Tom Sawyer, per un universo di fantasia che oggi si completa di miti moderni e nuovi classici, attingendo a fumetti, film e serie TV.
Tra queste storie con cui tutti noi siamo entrati in contatto in un modo o nell'altro, c'è sicuramente la leggenda di Re Artù e dei suoi Cavalieri della Tavola Rotonda, che tutti abbiamo imparato a conoscere in modi vari e diversi, che sia attraverso il suo impianto originale letterario o il filtro dei suoi tanti adattamenti, da La spada nella roccia di Disney a Excalibur e la più recente serie Merlin. Un mito che ha attraversato generazioni senza esser mai passato di moda, rappresentando un simbolo ideale di leader non solo per il popolo britannico ma per tutto l'occidente, e che ora torna a proporsi al grande pubblico con King Arthur - Il potere della spada, attraverso un nuovo adattamento per il grande schermo che ambisce a dar vita a una nuova potenziale saga di successo.
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Londinium Calling
In questa nuova versione moderna del mito, un giovanissimo Artù bazzica le strade della città britannica senza conoscere le sue origini. Alla morte del padre Uther Pendragon, infatti, è stato il fratello del defunto re, Vortigern, a prendere il potere, lasciando il piccolo Artù inconsapevole del proprio destino e costretto in una vita estranea alle proprie nobili origini, almeno fino al momento in cui estrae Excalibur dalla roccia: è il momento di svolta per il ragazzo, che si ritrova subito costretto a decidere se e come lasciarsi travolgere dal potere della spada e tutto quello che comporta, abbandonando la sua esistenza da furfante da strada, la vita da principe dei ladri che si è costruito, per abbracciare il destino che gli spetta di diritto e le proprie responsabilità da erede al trono.
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I vestiti nuovi del Re
Quello che ci presenta Guy Ritchie in King Arthur non è quindi l'Artù classico a cui siamo abituati, in primo luogo perché il regista sceglie di mostrarcelo in una fase precedente a quella della iconica tavola rotonda, in una sorta di Origin Story in perfetto stile da supereroe moderno, che ci porta a conoscere un Arthur la cui immagine è diversa da quella consolidata, amata e rispettata dalle generazioni precedenti. Charlie Hunnam lo mette in scena con piglio sfrontato e vivace, assecondando la visione del suo regista e lasciandosi andare ad un mondo che è magico in modo alternativo a quello che le leggende arturiane ci hanno sempre descritto, ponendosi in contrapposizione al villain incarnato da Jude Law che con Guy Ritchie aveva già dato vita ad un altro revival di successo, quello di Sherlock Holmes.
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Una nuova tradizione
Quelle di Re Artù sono storie raccontate e riraccontate in periodi diversi, scritte e riscritte, e per questo gli autori di King Arthur si sono sentiti liberi di farlo nuovamente, allontanandosi dalla tradizione per crearne una nuova, che fosse capace di dar vita ad una mitologia propria: niente più draghi, per esempio, ma elefanti giganti che richiamano alla mente gli olifanti del Signore degli anelli e serpenti ugualmente imponenti. Non manca la magia in questo nuovo mondo arturiano, ma è ridotto all'osso il ruolo di un personaggio chiave del mito di Artù come Merlino. Una nuova chiave di lettura che si concretizza anche, e soprattutto, a livello estetico, con una costruzione visiva che porta all'estremo le caratteristiche tipiche di Guy Ritchie, cercando di ripetere l'operazione di modernizzazione realizzata in passato col già citato Holmes, fatta di montaggio serrato, a tratti frenetico, inquadrature azzardate e potenti ed una sana dose di ironia.
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Il gioco del trono
Una versione moderna che cerca di conquistare l'occhio e l'animo dello spettatore più giovane, che ha come conseguenza immediata ed inevitabile quella di eccessi che rischiano di stancare, nonché di richiamare una tradizione e un immaginario di stampo videoludico, non solo nell'impronta visiva dinamica a cui abbiamo accennato, ma anche in una struttura narrativa che procede per step successivi, in un incremento nell'importanza degli scontri che dalla scazzottata in strada arriva, passo dopo passo, al boss finale. A differenza dell'esperienza fatta con Sherlock, in King Arthur la rilettura moderna è infatti portata all'estremo, rischiano di perdere la magia e il fascino di una storia universale, scegliendo, deliberatamente e consapevolmente, di rivolgersi ad un tipo di spettatore molto ben definito, rischiando di deluderne altri che sarebbero ugualmente interessati a rivivere questo mito in una chiave nuova, ma forse un po' meno estrema.
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Movieplayer.it
3.0/5