Alex Infascelli, uno dei più noir tra i nostri autori, si sta dedicando ormai sempre più spesso al documentario. Questa volta lo fa con una storia che meriterebbe davvero un film di finzione, tra il noir e l'action, ma anche la commedia brillante. Ve la raccontiamo nella recensione di Kill Me If You Can, il suo film presentato alla Festa del Cinema di Roma, dove è stato una vera sorpresa, che arriverà al cinema a febbraio, distribuito da Wanted Cinema.
Dopo aver girato un documentario su una storia famosissima, quella di un campione affermato come Francesco Totti, Infascelli è andato a pescarne una poco nota alle nuove generazioni: quella di Raffaele Minichiello, l'uomo che, nel lontano 1969, dirottò un aereo da Los Angeles a San Francisco puntando il Cairo e finendo per arrivare a Roma. È una storia che è già incredibile così ma, man mano che il film va avanti, capiamo che il fatto del dirottamento è solo l'inizio. Infascelli gira un documentario spassoso che si gusta come un film d'azione e una commedia brillante, enfatizzando tutto il cinema che si trova dentro questa storia vera che neanche lo sceneggiatore più abile sarebbe riuscito a scrivere.
Quel volo per San Francisco dirottato verso Il Cairo
Un bel giorno, senza dire niente a nessuno, Raffaele Minichiello prende e si imbarca su un aereo in viaggio da Los Angeles a San Francisco. È il 31 ottobre del 1969. Raffaele è su quell'aereo per dirottarlo. Fa scalo a Denver, poi a New York e nel Maine. Lui vuole arrivare al Cairo, ma finisce per atterrare a Roma. È il dirottamento più lungo della storia. Una volta arrivato a Roma inizia un'altra vicenda, così sorprendente che è un peccato raccontarla.
Parlare di un dirottamento areo come se fosse una gita
Quella di Raffaele Minichiello è una storia così incredibile che, se non ci fossero oltre a lui altri testimoni e materiale di repertorio a raccontarcela, stenteremmo a crederci. Dopo aver fatto raccontare l'antefatto del dirottamento a due testimoni dell'epoca, un cantante rock e una hostess, entra in scena lui, Raffaele, ed è uno spettacolo. Minichiello è un signore maturo e aitante, cordiale, solare, immediatamente simpatico. È un uomo che, incredibile a dirsi, parla del dirottamento di un aereo come se parlasse di una partita di calcio, di una gita, di un film appena visto. Cioè con la massima serenità e naturalezza. D'altra parte è uno che, a diciassette anni, costrinse i suoi genitori a firmare perché voleva arruolarsi nei marines e partire per il Vietnam. E, prima di farlo, disse alla madre: "Tranquilla, tanto io vado e torno".
Un film action, una commedia brillante, poi una Commedia all'Italiana
È anche da questi particolari che si può cogliere l'aspetto surreale di questo personaggio, un uomo che certo non ha mai avuto il senso della misura. Kill Me If You Can ci racconta la sua storia, ed è davvero avvincente come se fosse un film di finzione. È un film che attraversa vari generi: è un film action, prima di tutto, ma poi sfocia più volte in altre cose, nella commedia brillante, poi nella Commedia all'Italiana, nel dramma, per un attimo anche nella spy story, con quel dubbio che trapela verso la fine del film. Nella conferenza stampa alla Festa del Cinema di Roma, Infascelli lo ha definito un film di Peckinpah o Cassavetes, che diventa un film di Germi.
Come in Prova a prendermi
Nel momento in cui, per spiegarci che per portare una carabina sull'aereo ha socializzato con un gruppo di hostess, ci è venuta in mente una commedia brillante come Prova a prendermi, anche questa la storia di un italoamericano, Frank Abbagnale, di cui abbiamo ancora negli occhi le scene con le hostess della Pan Am nel momento in cui si fingeva pilota di aerei. Nella storia del dirottamento c'è anche l'elemento rosa, quella complicità che si crea sull'aereo con una delle hostess, Tracy, che sapendo che è il suo compleanno brinda con lui. Quasi una sorta di sindrome di Stoccolma, giusto per non farsi mancare niente. Quando Tracy appare nelle immagini di repertorio del processo, lei, afroamericana dalla pelle ambrata, e vestita con un lungo soprabito di pelle nera, sembra davvero una star del cinema blaxploitation, una sorta di Pam Grier del mondo reale.
Minichiello è come Rambo
"Am I a movie star?" chiede a un certo punto Minichiello, visto l'attenzione dei media nei suoi confronti. E, se la sua storia è davvero puro cinema, Alex Infascelli è bravissimo a enfatizzarla e a renderla ancora più cinematica e avvincente. Detto che è stato eccezionale, nell'intervista principale che regge tutto il film, a far aprire e confidarsi Raffale, come aveva fatto con Totti, Infascelli è magistrale nel sottolineare tutto il cinema che c'era in questa storia. E questo sin dal punto di partenza, quello di un reduce del Vietnam che mette in atto qualcosa di eclatante perché deluso dal trattamento che gli aveva riservato l'America. Sì, proprio come Rambo.
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Il secondo tempo di Minichiello, tra La dolce vita e Playmen
Ma i riferimenti non si fermano a Rambo e alla serie Airport, quelli più scontati. C'è anche il secondo tempo del film (Infascelli divide il documentario in due proprio con le scritte che apparivano un tempo al cinema al momento dell'intervallo), cioè la sua vita dopo il dirottamento. Una storia che mescola La dolce vita, Playmen, amori e drammi, e che, davvero, non vogliamo svelarvi per non rovinarvi la sorpresa. Quando sembra che il film sia finito, Infascelli riavvolge il nastro e ci porta a quello che è successo prima del dirottamento. E così capiamo il perché del titolo (penserete per un attimo a Full Metal Jacket) e che cosa, davvero, caratterizzava Minichiello e i suoi comportamenti. Che lui rievoca non senza una qualche autoironia, da capire se volontaria o meno. "_Mi sono rivolto a un prete. Mia madre diceva che i preti non tradiscono mai. Ha chiamato la polizia".
Conclusioni
Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Kill Me If You Can, Infascelli gira un documentario spassoso che si gusta come un film d'azione e una commedia brillante, enfatizzando tutto il cinema che, naturalmente, si trova dentro questa storia vera che neanche lo sceneggiatore più abile sarebbe riuscito a scrivere.
Perché ci piace
- L'avere trovato una storia come questa, già in partenza, è vincente.
- Alex Infascelli trova tutti i modi per trovare il cinema in una storia che è già cinema puro.
- Il film viaggia attraverso i generi: noir, action, poi commedia brillante e Commedia all'italiana, e un po' di dramma.
Cosa non va
- Solo perché lo ha detto l'autore: il film non ha un vero finale; ma a noi piace così.