La vendetta non è mai una strada dritta. È una foresta, e in una foresta è facile smarrirsi: non sai dove sei, né da dove sei partito.
Si colloca in una dimensione quasi leggendaria l'antefatto della vicenda della Sposa, all'inizio di Kill Bill - Volume 1 di Quentin Tarantino. Una brevissima sequenza, appena una manciata di secondi, la cui natura ancestrale è sottolineata dal bianco e nero (un richiamo al passato e una rottura del realismo) e che ci viene proposta in medias res: il massacro di El Paso è già stato consumato, il 'nemico' resta una voce fuori campo e a riempire l'inquadratura è unicamente il primo piano insanguinato di Uma Thurman, in procinto di ricevere un fatale colpo di pistola. Ma lo sparo annulla l'immagine e apre ai titoli di testa, accompagnati dalla languida melodia di Bang Bang (My Baby Shot Me Down) nell'incisione di Nancy Sinatra. Nella sequenza successiva, la Sposa rediviva bussa alla porta di Vernita Green, alias Testa di Rame: il contesto, stavolta, è quello della quotidianità della vita familiare nell'America suburbana, con le villette a schiera, le scatole di cereali nella dispensa della cucina e lo scuolabus che riporta i bambini a casa.
Il ritorno di Quentin Tarantino e la Sposa di Uma Thurman
L'accostamento fra le suggestioni epiche dell'incipit e la routine domestica che fa da cornice al rocambolesco duello fra la Sposa e Vernita Green è il primo contrasto di Kill Bill, opera imperniata su un sincretismo elevato a vera e propria cifra stilistica. A differenza dei precedenti Pulp Fiction e Jackie Brown, legati a modelli ben più circoscritti, è la molteplicità e la varietà delle influenze a caratterizzare il dittico scritto e diretto da Quentin Tarantino, e in particolar modo il suo primo capitolo, che il 10 ottobre 2003 fa il suo debutto nelle sale americane. L'attesa nei confronti del progetto è elevatissima, ancor più se si considera che Kill Bill - Volume 1 segna il ritorno del regista di Knoxville a ben sei anni di distanza dal suo precedente lavoro: Jackie Brown, appassionato omaggio al filone della blaxploitation, che nel 1997 aveva registrato un notevole successo, ma senza riuscire a replicare l'entusiasmo collettivo suscitato nel 1994 da Pulp Fiction (né le stesse cifre al box-office).
Ispirato alla lontana a La sposa in nero di François Truffaut, e molto più debitore invece al thriller giapponese Lady Snowblood di Toshiya Fujita, adattato nel 1973 dall'omonimo manga di Kazuo Koike e Kazuo Kamimura, Kill Bill racconta la 'resurrezione' della Sposa, che riemerge all'improvviso dal coma in cui era precipitata in seguito all'aggressione da parte di una squadra di killer chiamata Vipere Mortali, e il suo percorso di vendetta, scandito in tappe che corrispondono ai nomi segnati sulla sua kill list. La Sposa, affidata alla gelida interpretazione di Uma Thurman (già icona tarantiniana grazie alla Mia Wallace di Pulp Fiction), è un ruolo in cui si fondono vari archetipi: donzella in pericolo, bella addormentata che si risveglia dal sonno indotto da un maleficio (dopo essere stata stuprata con la complicità di un infermiere), allieva impegnata ad acquisire le doti necessarie da un maestro, avventuriera in cerca di riscatto e, ovviamente, implacabile vendicatrice, con lo pseudonimo di Black Mamba.
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Una fiaba nera tra epica e postmodernismo
Prima ancora di essere definita come persona (il suo vero nome, Beatrix Kiddo, ci verrà svelato solo in Kill Bill - Volume 2), la Sposa è dunque una figura fiabesca e un'eroina dai contorni epici, che si batte con la katana forgiata per lei da Hattori Hanzo (Sonny Chiba) e aderisce a un rigoroso codice da guerriera. È il codice per cui "durante il combattimento, l'annientamento del nemico deve essere l'unica preoccupazione", ma anche quello che permette alla Sposa di riconoscere il diritto altrui alla vendetta, come lei stessa spiega alla piccola Nikki dopo aver ucciso sua madre: "Quando sarai grande, se la cosa ti brucerà ancora e vorrai vendicarti, io ti aspetterò". Ma nella peculiare visione postmoderna di Quentin Tarantino, il richiamo costante agli elementi della fiaba e dell'epica viene declinato mediante la cultura pop e cinematografica del ventesimo secolo: quella hollywoodiana, quella asiatica (i wuxia, le arti marziali, l'anime sul tormentato passato di O-Ren Ishii), ma pure lo spaghetti western, con tanto di colonna sonora che prende in prestito Luis Bacalov, Armando Trovaioli ed Ennio Morricone.
La commistione dei generi e dei registri è il principio adottato da Tarantino in quello che si sarebbe attestato come il suo film più libero e inventivo: in Kill Bill - Volume 1, la componente puramente ludica - ogni sequenza corrisponde a una missione da compiere e/o a un avversario da sconfiggere - ha il sopravvento su qualunque necessità drammaturgica (in confronto, il Volume 2 risulterà relativamente più 'composto'), e l'eterogeneità dei linguaggi adottati si traduce in una sorta di schizofrenia in cui si alternano bianco e nero e colori lisergici, animazione e live-action, freeze frame e split screen; nel montaggio di Sally Menke, ambiziosi long take convivono accanto a scene caratterizzate dalla rapidità frenetica dei tagli, mentre la fotografia di Robert Richardson passa da campi lunghi a primi e primissimi piani all'inquadratura di singoli dettagli. In altre parole, Kill Bill - Volume 1 è l'apoteosi della finzione: al punto che perfino la violenza, dalla brutalità caotica della lotta iniziale con Vernita Green (Vivica A. Fox), raggiungerà un grado di parossismo senza più nulla di realistico.
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Resa dei conti alla Casa delle Foglie Blu
Giungiamo così alla climax di questo primo capitolo: non una singola scena, ma un intero blocco narrativo aperto dall'ingresso della boss della Yakuza O-Ren Ishii nel ristorante Casa delle Foglie Blu, sul ritmo incalzante di Battle Without Honor or Humanity di Tomoyasu Hotei. O-Ren Ishii, incarnata con serafica ferocia da Lucy Liu, è una fra i villain più memorabili creati da Quentin Tarantino: statunitense di origini sino-giapponesi, e pertanto disprezzata dai vertici della Yakuza (prontamente eliminati), O-Ren è un'antagonista speculare alla Sposa Beatrix, con cui condivide la metamorfosi da vittima inerme sopravvissuta per miracolo a vendicatrice spietata. Ma prima dell'inevitabile duello fra le due donne, la Casa delle Foglie Blu diventa il teatro del combattimento della Sposa contro l'esercito privato di O-Ren, gli 88 Folli: una rutilante carneficina che sancisce appunto il trionfo dell'artificio, tra coreografie a base di fendenti, corpi umani che si tramutano in silhouette scure e fontane di sangue zampillanti da arti mozzati.
L'immagine di Uma Thurman in tuta gialla (come Bruce Lee ne L'ultimo combattimento di Chen) che brandisce la katana, circondata da decine di gregari mafiosi in giacca e cravatta e con mascherina nera, si stamperà da subito nell'immaginario del cinema di inizio millennio, con una forza iconica che il Volume 2 non sarà in grado di replicare fino in fondo. Dalla danza furibonda dello scontro con gli 88 Folli si passa infine alla solennità ieratica della singolar tenzone fra la Sposa e O-Ren Ishii, consumata con grazia silenziosa nella penombra di un giardino innevato: un luogo sospeso al di fuori dello spazio e del tempo e che ci riconduce alla natura fiabesca del racconto, prima del brusco ritorno alla contemporaneità (il corpo di Sofie Fatale scaraventato sulla soglia del pronto soccorso) in un epilogo che funge da ponte fra i due volumi del dittico, aspettando la resa dei conti preannunciata dalle parole del Budd Gunn di Michael Madsen: "Quella donna merita la sua vendetta, e noi meritiamo di morire".