Vederlo di nuovo sulla vetta dell'Olimpo del cinema europeo con il pugno alzato e la Palma d'Oro stretta nell'altra mano ci ha commosso. La seconda vittoria di Ken Loach a Cannes è la risposta a tutti coloro che considerano il suo cinema vecchio e sorpassato, ma è anche un preciso messaggio all'autore che, prima di girare I, Daniel Blake, aveva confessato di volersi ritirare.
"Ken il Rosso" compie 80 primavere, ma per lui non è ancora giunto il momento di riposarsi: troppe ingiustizie nel mondo, troppe persone in difficoltà hanno bisogno di qualcuno che dia loro voce. L'ultima battaglia che Loach sta combattendo in questi giorni riguarda la Brexit, il referendum con cui gli inglesi decideranno se continuare a far parte o meno dell'Unione Europea. Cinico e lucido, l'ottantenne Loach non si fa illusioni e riassume così la questione: "I lavoratori si sfruttano meglio continuando a restare in Europa, fatta per privatizzare e umiliare ogni paese che non ce la fa a stare al passo, o si sfruttano meglio isolati, con Boris Johnson e Michael Gove pronti a distruggere ogni apparenza di protezione e a eliminare le leggi che regolano il lavoro?". Alla fine, però, il regista sceglie l'Europa nella speranza che i movimenti di sinistra siano in grado di fare fronte comune contro il liberalismo selvaggio.
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Oggi come ieri, Ken Loach non esita a schierarsi apertamente a favore delle cause in cui crede. Ha rifiutato il premio tributatogli dal Torino Film Festival per sostenere la causa dei lavoratori del Museo del Cinema a cui era stato decurtato lo stipendio, ha promosso il boicottaggio culturale di Israele a sostegno della Palestina e ha denunciato ripetutamente le nefaste conseguenze del thatcherismo nella sua Inghilterra. Se si esclude un'unica macchia, uno spot per McDonald's diretto nel 1990 di cui si vergogna tuttora moltissimo, la lunga carriera del regista è straordinariamente coerente fin dai primi docudrammi per la BBC a sfondo sociale - tra cui il celebre Cathy Come Home, che denuncia la situazione dei senza tetto inglesi ed ebbe un impatto tale da spingere a una modifica delle leggi sugli homeless - opere radicali, incendiarie, che portano all'attenzione dei media il mondo del sottoproletariato, dei disoccupati e dei derelitti.
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Nel 1969 con lo struggente Kes, Loach esordisce nel lungometraggio fictional. La pellicola racconta la storia di un ragazzino dei bassifondi che, per sfuggire alla miseria e alla violenza familiare, si affeziona a un falco. In un sondaggio promosso dal British Film Institute, Kes verrà eletto settimo miglior film inglese del XX secolo. E questo è solo l'inizio di una carriera all'insegna del realismo sociale costellata di successi. In tempi recenti Ken Loach ha sfoderato con maggior frequenza l'arma dell'ironia senza, però, perdere di vista le tematiche fondanti del suo cinema. Per celebrare gli ottant'anni del regista abbiamo individuato sei opere fondamentali nel suo percorso artistico, sei film rappresentativi di un animo indomito sempre pronto a schierarsi dalla parte del più debole nella speranza di sensibilizzare le coscienze.
Riff raff - meglio perderli che trovarli (1991)
Fin dallo slang, tanto incomprensibile da costringere a distribuire il film con i sottotitoli anche nei paesi anglofoni, Riff raff - meglio perderli che trovarli è una dichiarazione estrema di realismo e impegno militante. Stevie, interpretato da Robert Carlyle, si muove nell'Inghilterra aspra e spigolosa di Margaret Thatcher, in un mondo del lavoro sempre più iniquo dopo il fallimento delle proteste sindacali e degli scioperi del 1984. Privo di prospettive, Stevie è un ex detenuto costretto a lasciare la Scozia in cerca di quell'opportunità lavorativa che si concretizza nel mondo dell'edilizia londinese. Ken Loach lavora sul contrasto tra la solidarietà operaia e il divario tra classi sociali, ma anche sulla difficoltà di chi lotta per sbarcare il lunario a sviluppare una coscienza politica. Nel gruppo di lavoratori edili che aiutano Stevie solo Larry (Ricky Tomlinson, vero operaio edile impegnato in politica) tenta di trasmettere ai colleghi i valori della sinistra militante denunciando lo sfruttamento, la precarietà, la mancanza di sicurezza e di ammortizzatori sociali. Dopo una giornata passata in cantiere a spaccarsi la schiena c'è posto solo per una birra al pub e per quattro risate con gli amici, ma Stevie troverà (momentaneamente) perfino l'amore grazie all'incontro una tormentata cantante irlandese. A fianco dei capisaldi tematici che caratterizzavano la sua produzione televisiva, Loach sviluppa quella commistione tra dramma e ironia che diverrà la cifra stilistica di molte delle sue opere e che è contenuta già nel titolo. Riff Raff, marmaglia, fannulloni sboccati che, con le loro vite squallide, strappano qualche risata a denti stretti tra le miserie del quotidiano.
Pietra miliare della rinascita del cinema inglese anni '90, Riff Raff è il primo capitolo di una ideale trilogia composta da Piovono pietre e Ladybird Ladybird.
Terra e libertà (1995)
Dopo aver sviscerato le problematiche del sottoproletariato inglese, Ken Loach guarda oltre, fuori dal suo paese e fuori dal suo tempo. Focus di Terra e libertà è la Guerra di Spagna filtrata attraverso lo sguardo di David Carr, operaio inglese di Liverpool iscritto al Partito Comunista. A scoprire i trascorsi dell'uomo, che si imbarca per la Spagna con l'intento di arruolarsi nelle Brigate Internazionali e combattere contro le truppe fasciste del Generale Franco, sarà la nipote in una toccante cornice ambientata nel presente. Seguendo l'esperienza di Carr, il suo ingresso nel POUM (Partito d'ispirazione marxista), il passaggio alle Brigate Internazionali, e lo scontro di questi movimenti anarchici con il governo spagnolo, Ken Loach scandaglia le contraddizioni della guerra e del pensiero rivoluzionario. Nel rapporto sentimentale tra David e l'anarchica catalana Blanca, ideologa del POUM, si rispecchia la dicotomia tra la purezza dell'ideale libertario e la realtà, violenta e contraddittoria. Alternando lirismo e crudo realismo nelle sequenze belliche, il regista ci mostra l'orrore della guerra civile, che vede combattere fratelli contro fratelli. L'opportunismo di Franco avrà la meglio di fronte allo scontro interno e ai tradimenti tra anarchici e comunisti filosovietici e Blanca perirà per mano di un ufficiale delle Brigate Internazionali in uno scontro a fuoco. Morte delle illusioni e conservazione della memoria nella figura della nipote di David la quale, dopo aver appreso che il fazzoletto rosso rinvenuto tra gli averi del nonno conteneva una manciata della terra collettivizzata in cui è stata sepolta Blanca, depositerà la stessa terra nella sua tomba.
My Name Is Joe (1998)
Tra i miliziani di Terra e libertà appare in un piccolo ruolo Paul Laverty, che a breve diverrà il più fedele collaboratore di Ken Loach. My name is Joe è il secondo film da lui sceneggiato per il regista dopo La canzone di Carla. Il duo picchia duro nel raccontare una vicenda intima, quella di Joe Kavanagh, ex alcolizzato di Glasgow. Il titolo del film rievoca, infatti, la frase pronunciata all'inizio delle riunioni degli alcolisti anonimi. Come tanti personaggi di Loach, anche Joe appartiene al riff raff, alla marmaglia del sottoproletariato urbano britannico. Disoccupato, l'uomo sopravvive col sussidio arrotondando con qualche lavoretto in nero e in più allena una squadra di quartiere composta da giovani disagiati e tossici. Diviso tra l'amore per la timida assistente sociale Sarah, che apprezza il suo altruismo, e il giovane Liam, in cui rivede se stesso, Joe ricadrà nell'antico vizio, incapace di reagire di fronte a una difficile situazione personale spingendo involontariamente Liam, in difficoltà per via dei debiti contratti dalla moglie tossicodipendente, al suicidio. La durezza del quotidiano costringe Ken Loach ad adeguare la forma prediligendo uno stile secco, duro, privo di orpelli, amplificato dalla straordinaria interpretazione del talentuoso Peter Mullan.
Per amor di realismo i membri della squadra di calcio allenata da Joe sono veri residenti della zona come sono reali i partecipanti alla riunione degli alcolisti anonimi. Non mancano momenti di leggerezza (la partita di calcio con le due squadre che indossano la stessa maglietta della Germania che costringe Joe a far giocare il suo team a torso nudo per distinguerlo dall'altro), ma la visione pessimistica di Loach mostra come, con l'avvicendarsi dei governi, non ci siano miglioramenti in vista per la working class, costretta a passare il tempo tra uffici di collocamento, appartamenti fatiscenti e pub stracolmi di disperati, mentre il divario tra ricchi e poveri aumenta.
Bread and Roses (2000)
Primo film "americano" di Ken Loach, Bread and Roses aggiunte un tema sociale a quelli toccati finora dal regista, occupandosi di immigrazione clandestina e sogno americano. La giovane protagonista, Maya, è infatti un'immigrata messicana che affronta la pericolosa trafila illegale per attraversare il confine e raggiungere la sorella che vive a Los Angeles. Il titolo, altamente evocativo, riprende lo slogan politico della leader femminista Rose Schneiderman, usato anche nel poema del 1911 di James Oppenheim intitolato, appunto, Bread and Roses. Lo slogan in questione è associato al celebre sciopero tessile di Lawrence, Massachusetts, tenutosi nel 1912 in cui gli operai, in gran parte, incrociarono le braccia per invocare non solo il diritto al lavoro, ma anche alla dignità e a migliori condizioni di vita. Per tornare a parlare dei temi che gli stanno a cuore, stavolta, Loach trova sponda nella precaria situazione degli immigrati messicani irregolari, a rischio espulsione. La vis critica del regista si concentra stavolta nel personaggio affidato ad Adrien Brody, un giovane sindacalista che invita le operaie di un'impresa di pulizie, tra cui Maya, a combattere per i propri diritti. La sorella, unica in famiglia ad avere uno stipendio con cui mantiene il marito disabile e impossibilitata a mettere a rischio il quotidiano per gli ideali, tenta di dissuaderla ad attuare la minaccia dello sciopero. Alla fine Maya pagherà con la propria pelle la vittoria sindacale ottenuta. Mentre le altre festeggiano, la ragazza viene arrestata e rispedita in Messico.
Il vento che accarezza l'erba (2006)
Nel 2006 la passione politica di Ken Loach lo spinge ad affrontare, con la complicità del fidato Paul Laverty, uno dei temi più delicati della storia britannica, la questione irlandese. Il regista si immerge nella storia della Guerra d'Indipendenza Irlandese, che culminerà nella Guerra Civile, realizzando una pellicola cruda e affascinante che odora d'erba, di vento, ferro e sangue. Il protagonista Cillian Murphy interpreta Damien, medico irlandese in procinto di lasciare l'isola per andare a lavorare a Londra che viene risucchiato dall'ingiustizia e dalla violenza perpetrate dagli inglesi ai danni del suo popolo. Il personaggio di Murphy è un abile espediente narrativo usato dal regista per coinvolgere lo spettatore nei temi che gli stanno a cuore, tornando a scandagliare, dopo Terra e libertà, le conseguenze, ingiustizie e tradimenti che caratterizzano ogni guerra civile. La questione irlandese, alla luce dei fatti sanguinosi che si sono succeduto nel corso degli anni, è estremamente complessa, ma Loach realizza un film di pancia, più emotivo che celebrale, talmente coinvolgente da conquistare la giuria di Cannes che gli tributerà la Palma d'Oro. Opera visceralmente corale, Il vento che accarezza l'erba (verso di un canto popolare irlandese), tratteggia l'evoluzione dell'IRA, la trasformazione da movimento di ribellione a esercito regolare, la spaccatura tra chi accetta le condizioni imposte dall'Inghilterra per la debole indipendenza e chi non vuole posare le armi e la conseguente guerra civile, che costringerà i fratelli ad armarsi contro i fratelli (concetto trasposto letteralmente nel finale del film in cui il fratello di Damien sarà costretto suo malgrado a ordinare l'esecuzione del medico, pronto a difendere fino alla fine i suoi ideali indipendentisti).
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Il mio amico Eric (2009)
A fianco del regista impegnato e militante, Ken Loach sviluppa anche un'anima più lieve e ironica. Nel 2009 il cineasta decide di fondere le sue due passioni, quella per il calcio e quella per la commedia, dando vita a un film lieve e fantasioso che utilizza un espediente soprannaturale allontanando momentaneamente Loach dalla sua vocazione documentaristica. Il protagonista è, ancora una volta, uno dei suoi outsider della working class inglese, Eric, postino di mezza età di Manchester che vive un'esistenza decisamente caotica. Dopo aver lasciato la famiglia per rifarsi una vita con una nuova donna, Eric si ritrova a dover badare a tre figli con cui non è in buoni rapporti, a occuparsi di una nipote neonata e a frequentare la ex moglie che nutre rancore nei suoi confronti. In più uno dei figli si è invischiato con un gangster che minaccia l'intera famiglia. Mentre la situazione precipita, ed Eric arriva a meditare il suicidio, gli appare in una visione il suo idolo calcistico: Eric Cantona. L'esilarante espediente di trasformare Cantona in una sorta di mentore per Eric, con cui naturalmente solo lui riesce a parlare, trasforma Il mio amico Eric in una commedia che strizza d'occhio al realismo magico pur mantenendo le radici ben piantate nel problematico universo del sottoproletariato inglese. Alla fine saranno la solidarietà e l'amicizia a trionfare in una delle poche pellicole in cui Loach si concede un lieto fine.