Dopo la Palma d'Oro, I, Daniel Blake approda a Locarno per ricevere il meritato tributo in Piazza Grande. A presentarlo il regista Ken Loach, ospite del festival insieme al suo splendido protagonista Dave Johns che, nei panni del combattivo Daniel Blake, ha fatto venire le lacrime agli occhi a tutti gli spettatori. Dopo la visione del film è facile capire perché la giuria di Cannes abbia premiato un'opera così potente e attuale, radicata nel quotidiano dell'Europa post-crisi. Loach e il fidato sceneggiatore Paul Laverty hanno fatto un lavoro eccezionale raccontando con dovizia di dettagli le difficoltà dei disoccupati inglesi alle prese con la rigida burocrazia britannica e col percorso a ostacoli per accedere agli aiuti.
Protagonisti di I, Daniel Blake sono Daniel, carpentiere cardiopatico costretto a lasciare il lavoro in seguito a un infarto che lotta per ricevere il sussidio di disoccupazione, e Katie, madre single indigente costretta a lasciare Londra per trasferirsi a Newcastle, in un alloggio popolare. "L'Inghilterra è piena di queste storie" spiega Ken Loach. "Abbiamo esplorato il nord est e il nord ovest del paese e poi abbiamo deciso di fermarci a Newcastle, città che ha una tradizione di lotte operarie. Ogni settimana in Inghilterra centinaia di famiglie si presentano a fare richiesta di sussidio perché non hanno da mangiare. Si trovano di fronte a una burocrazia kafkiana. Persone costrette a stare ore al telefono pagando soldi per riuscire a parlare con un operatore che li aiuti. Persone che hanno saltato l'incontro al job center per via di un lutto o perché la moglie stava partorendo e così hanno perso il sussidio. È una trappola, le vittime sono i più deboli, i disabili fisici e mentali. I media non denunciano questo fatto, ma non è accettabile che oggi esistano famiglie che non riescano a mangiare o a riscaldarsi".
"La camera è come un occhio umano, risponde alle sollecitazioni, solidarizza con i personaggi, li comprende"
La poetica degli umili
A 80 anni Ken il Rosso ha ancora il coraggio di indignarsi di fronte alle ingiustizie e di ritenere il cinema strumento di denuncia privilegiato, capace di dar voce a chi non ne ha. I suoi lavori sono più "giovani" di quelli di tanti colleghi meno avanti con gli anni. "Agitare educare organizzare era il motto dei sindacati americani all'inizio del '900" spiega. "Credo che i film abbiano il potere di agitare un po', possono educare in una certa misura, ma non possono organizzare niente. Occorre che siano le persone a impegnarsi e organizzarsi per la lotta non solo come individui, ma come classe. Però il cinema qualcosa lo può fare". A chi gli chiede se ha valutato l'ipotesi di un finale positivo per I, Daniel Blake, il regista risponde: "Quello che sta accadendo oggi è una tragedia. Dare un happy ending sarebbe stato un modo di falsare la realtà che stiamo vivendo".
A conferma della purezza della sua idea di cinema militante sta la sua riflessione sul rapporto tra forma e contenuto: "La camera deve essere come un osservatore partecipe. Si deve porre in un angolo della stanza e osservare cosa accade. Deve mostrare rispetto nei confronti del soggetto non standogli troppo vicino. La camera è come un occhio umano, risponde alle sollecitazioni, solidarizza con i personaggi, li comprende". Il rispetto e la valorizzazione degli attori con cui ha lavorato sono uno dei pilatri fondanti della produzione di Ken Loach. Volti più o meno noti diretti in modo tale da fornire performance sempre convincenti. "La cosa più preziosa che un regista ha a disposizione è l'istinto degli attori" ammette Loach. "Va saputo sfruttare. Ho imparato a lavorare con gli attori in televisione tanti anni fa. Si impara dagli errori, ma dobbiamo essere aperti alle nuove idee. Difendere ogni parola che abbiamo scritto è sbagliato, occorre saper cogliere il momento".
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Il mondo secondo Ken
Ogni chiacchierata con Ken Loach si trasforma in una riflessione a 360° sul mondo che ci circonda e sulle sue storture. La sua visione politica militante è lucida e acuta. "Abbiamo imparato che il senso ultimo della politica è il bene comune, la solidarietà tra cittadini" spiega il regista. "Dalla Thatcher in poi è arrivato il cambiamento, la politica non ha più avuto come fine il bene comune, ma la difesa del proprio interesse che coincide con quello dei ceti più abbienti. Non credo che Brexit aiuterà a cambiare la situazione di I, Daniel Blake. Venendo meno i fondi europei il governo avrà meno soldi per il sociale, nel breve termine l'economia peggiorerà". Pensando a come avrebbero votato al referendum i protagonisti di I, Daniel Blake, il cineasta risponde: "Credo che Daniel avrebbe votato leave, perché fa parte di quelle persone che si sentono abbandonate dal governo. Katie è una donna intelligente, penso che avrebbe votato per restare in Europa perché è proiettata nel futuro, vuole una vita migliore per i suoi figli. E' aperta all'idea di viaggiare, di conoscere nuove persone".
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Non manca un'analisi lucida sull'Europa odierna, in cui oggi serpeggia la paura dell'ISIS e del terrorismo Loach afferma: "Ciò che chiamiamo, con un termine imperialista, Medio Oriente è una terra in cui per secoli l'Occidente ha fatto il bello e il cattivo tempo. Ne ha sfruttato le risorse, ha deciso il destino dei popoli. La rabbia della gente assume molte forme, anche terribili, ma non deve sorprendervi il fatto che le persone siano arrabbiate. Non cerchiamo di fare i poliziotti del mondo quando in realtà stiamo difendendo i nostri interessi". Alla fine dell'incontro c'è tempo ancora per un'amara riflessione. Dove sta la speranza di cambiamento oggi? "La speranza sta nella rabbia. E' triste da ammettere, ma la rabbia può essere costruttiva. Possiamo ancora cambiare le cose, ma per farlo occorre creare un legame tra i movimenti di sinistra in tutta Europa. Lo scopo deve essere restituire la dignità agli individui. Abbiamo le tecnologie a disposizione, abbiamo internet, dobbiamo solo volerlo".