Kafka a Teheran, la recensione: un atto politico e cinematografico che sfida il potere

La recensione di Kafka a Teheran: Ali Asgari e Alireza Khatami rivedono lo stato sociale e politico dell'Iran attraverso un riuscito esperimento cinematografico, nel quale si fondono poesia, umorismo e coraggio.

Kafka a Teheran, la recensione: un atto politico e cinematografico che sfida il potere

Solo alla fine ci rendiamo conto della lucidità con cui Ali Asgari e Alireza Khatami hanno affrontato il regime iraniano attraverso una sequela di quadri narrativi che compongono - a mo' di collage - un folgorante lungometraggio di resistenza e di rivoluzione. L'arte cinematografica come espediente, la cultura come risposta ai totalitarismi, una visione d'insieme per chi, invece, ci obbliga alla separazione coatta. E sarebbe molto più coerente parlare di Kafka a Teheran utilizzando il titolo internazionale, con cui è stato presentato a Cannes nel 2023, Terrestrial Verses. Un titolo che si rifà alle poesie di Forough Farraokhzad, voce fondamentale nella cultura persiana nonché voce di denuncia che sfidava le autorità religiose nell'Iran degli anni Sessanta.

Terrestrial Verses
Kafka a Teheran: una foto del film

Perché quello di Asgari e Khatami, dietro l'approccio anche pop, è la declinazione moderna di un paese schiacciato dai dogmi e dal retaggio, esaminato in una dolce disamina, a metà tra la poesia e il dramma, tra il sorriso e la morte. Per stessa ammissione di Ali Asgari e di Alireza Khatami, Kafka a Teheran nasce quasi carbonaro, nascosto, approcciandosi alle storie tramite un umorismo perfetto per essere dosato nella tecnica poetica persiana, in cui due persone parlano di questioni sociali e politiche. Una tecnica tradotta in cinema, aprendosi verso quell'orizzonte sfocato, tenuto lontano dalle medievali regole religiose, imponendo, tra le tante cose, l'obbligo per le donne di indossare il velo (hijab).

Kafka a Teheran, una serie di shorts per un'opera compiuta

Terrestrial Verses
Kafka a Teheran: una scena del film

Kafka a Teheran parte e quasi finisce nel contesto urbano che vuole raccontare: la capitale iraniana illuminata di notte, e il primo segmento dei nove shorts. Assurdi, onirici, stranianti, umoristici, realistici. Una formalità che cede il passo alla sostanza, alle parole e ai silenzi, non prima di immortale Teheran, e avvolgendola con una soundtrack che enfatizza i rumori, le sirene, il brusio e il tono metropolitano che vibra la vita.

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Kafka a Teheran: un momento del film

La stessa vita raccontata, come detto, nei nove segmenti moltiplicati in un film che sfiora gli ottanta minuti. Vignette che fotografano la realtà iraniana: chi cerca lavoro ma non conosce il Corano, una ragazza che vorrebbe andare a scuola con i jeans, e un corollario di situazioni al limite, in cui i rispettivi protagonisti parlano ad una figura fuori campo, attoniti in una pressa che spinge tra la burocrazia e le assordanti leggi di una società politica e religiosa contraddittoria e sconcertante.

Terrestrial Verses, Ali Asgari e Alireza Khatami: "L'umorismo per delegittimare il potere"

Speranza e umorismo, le armi contro l'oppressione

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Kafka a Teheran: un frame del film

Nella tecnica, tutt'altro che basilare, dell'inquadratura lunga e semi-fissa, Ali Asgari e Alireza Khatami delineano una cosciente e vitale presa di posizione, venendo incontro all'esigenza - non solo personale - di affrontare una dimensione politica, sociale e religiosa che non accetta la libertà come punto di osservazione (e l'unica osservazione, per le donne, è tramite lo hijab), ingoiando tutto dentro un calderone corrotto, ostile e burocratico, e riversato sui personaggi e sui dialoghi che si alternano nelle long take della pellicola. Se ogni segmento di Kafka a Teheran lascia un certo strascico, inserito fluidamente nel collage generale, è lo spirito l'arma appuntita sfoderata dai registi, che si sono conosciuti nel 2017 in occasione della Mostra del Cinema di Venezia.

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Kafka a Teheran: un'immagine del film

Inevitabilmente, parte della produzione è stato poi influenzata dalla morte di Mahsa Amini, ragazza arrestata e uccisa dalla polizia religiosa (sì, distopica realtà) per non aver indossato correttamente il velo. Un fatto che ha acceso forti proteste in Iran - soffocate con la violenza - influenzando ovviamente la direzione che avrebbe dovuto avere il film, finale compreso. Ali Asgari e Alireza Khatami, però, non hanno mai perso di vista quell'umorismo soffuso, e utilizzato per delegittimare l'oppressione. Attenzione, però: sequenza dopo sequenza, quadro dopo quadro, la lucidità di cui parlavamo genere un fortissimo moto di speranza. La speranza che le cose possano cambiare, e la speranza propedeutica per scacciare via la rassegnazione. Ecco, Kafka a Teheran è un atto di speranza politica, nonché un riuscito esperimento cinematografico.

Conclusioni

Concludendo la recensione di Kafka a Theran, torniamo ad illuminare il forte valore politico e sociale dell'opera. Nove segmenti separati che riflettono sullo stato attuale dell'Iran, tra burocrazia e un'asfissiante dogma religioso che toglie ogni tipo di libertà. Un film sentito, dalla struttura interessante e dall'inaspettato umorismo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.9/5

Perché ci piace

  • La struttura.
  • La scelta narrativa.
  • Il forte messaggio politico e sociale.
  • L'umorismo.

Cosa non va

  • Potrebbe sembrare un esercizio stilistico.