Un manipolo di uomini come tanti - dodici - viene selezionato tra gli alpinisti migliori d'Italia per affrontare un'impresa mai compiuta, praticamente impossibile: scalare gli oltre 8 mila metri di un monte che è diventato leggenda. Quella storia è diventa fiction grazie a K2: la montagna degli italiani, co-produzione italo-austriaca di Red Film-Terra Internationale Filmproduktionen, in onda su Rai Uno lunedì 18 e martedì 19 marzo. Eleonora Andreatta, direttore di Rai Fiction, ha spiegato il motivo di una scelta piuttosto "azzardata". Il cast si è riunito a raccontare i punti salienti di questa gloriosa avventura che si è conclusa tra varie polemiche per via del presunto abbandono da parte di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli (rispettivamente interpretati da Massimo Poggio e Michele Alhaique) nei confronti di Walter Bonatti (Marco Bocci). Il ruolo di guida della spedizione va a Ardito Desio (Giuseppe Cederna) mentre una delle storie più importanti riguarda Mario Puchoz (Giorgio Lupano), che si ammala a pochi passi dalla vittoria. Paolo Logli si è fatto portavoce del gruppo degli sceneggiatori che si sono documentati meticolosamente anche per i ruoli secondari, tra cui quello di Lorenzi (Luca Fiamenghi) e Teresa (Valentina Corti). Robert Dornhelm, il regista, ha dato equilibrio a questa pluralità di voci in cerca di riscatto.
Come s'inquadra questo progetto nel panorama delle fiction Rai? Eleonora Andreatta: In effetti è alquanto inconsueto perché appartiene al genere delle grandi sfide sportive, che da noi è una tipologia di racconto più rara, nonostante esempi del calibro di Gino Bartali l'intramontabile con Pierfrancesco Favino e Il grande Fausto con Sergio Castellitto.
Quali sono le caratteristiche principali del genere? Eleonora Andreatta: Queste fiction raccontano coraggio e sacrificio, tutte accomunate da un contesto di un'Italia povera e in cerca di riscatto. Succede anche in K2, la montagna degli italiani: negli Anni Cinquanta l'Italia stava pagando i debiti della Seconda Guerra Mondiale e vede in quest'impresa una possibilità di rinascita. Nella fiction c'è una sfida corale raccontata con epicità: la montagna è il grande reagente in un gruppo di uomini molto diversi tra loro. per questo K2, la montagna degli italiani è estremamente spettacolare nella grande metafora della sfida dei propri limiti che indica speranza.Quale è il messaggio principale che comunica?
Massimo Poggio: Questa fiction insegna ad avere la lungimiranza di osare invece di ripiegare su sè stessi e mi auguro che sia d'incitamento e stimolo, visti i tempi di oggi. Corre sul filo sottile tra realtà e finzione e rischiava di sembrare un documentario, alimentato dalla polemica, che di solito si fa a livello del mare, mentre a 8000 metri può succedere di fare scelte discutibili. Io amo moltissimo la montagna, un ambiente che ti mette a contatto con il tuo io più profondo, con quello che comporta.
Michele Alhaique: A quell'altezza il cervello funziona in maniera diversa e in effetti lo spostamento di Compagnoni e Lacedelli di 200 metri in alto rischiava di diventare tentato omicidio del compagno Bonatti. Anch'io ho fatto alpinismo in passato e sono cresciuto con il mito di questi eroi. Spero che questa fiction dia orgoglio all'Italia, soprattutto ora che sta vivendo un momento buio, e che possa far affezionare spettatori di tutto il mondo.
Gli eventi che hanno coinvolto Compagnoni e Lacedelli hanno di fatto escluso Bonatti dalla vetta.. Marco Bocci: Bonatti non ha raggiunto la vetta ma l'ha fatta raggiungere, eppure va detto che durante le riprese in Austria tra di noi si era innescata una sorte di gioco di ruoli. Ognuno cercava di tirare l'acqua al suo mulino e si giustificava sui fatti avvenuti. Abbiamo riprodotto lo stesso spirito di gruppo in maniera del tutto spontanea. A questo si aggiunge il senso di responsabilità nei confronti del mio personaggio: volevo dargli una giustizia nazional-popolare e non solo giudiziaria.
Desio ha faticato non poco per tenere in riga la squadra. Un lavoro estenuante? Giuseppe Cederna: La sfida maggiore per me è stata quella di dar vita ad un personaggio controverso e discusso, anche se non cattivo. Ha sognato questa impresa per 20 anni e l'ha perseguita con metodi militareschi dove le individualità contavano poco.Qual è la chiave di lettura della storia? Paolo Logli: Questa storia sembra shakespeariana, con tutti i tipici ruoli della lotta al potere, dal custode al giovane predestinato, dal mediano allo sportivo all'ultima occasione. Ad oggi la versione dei fatti fornita da Lacedelli e Bonatti è stata accertata, ma il gruppo si sfalda.
Avete parlato con Bonatti della sceneggiatura? Paolo Logli: Volevamo parlargli ma ha iniziato a star male ed è rimasto solo un grande rammarico. Abbiamo contattato sua nipote, anche lei sceneggiatrice, che ha fatto da intermediario alla vedova. Comunque il nostra prerogativa è stata rispettarne e tutelarne la memoria e crediamo di esserci riusciti. D'altronde lui è stato scippato della retta.
Qual è il ricordo più buffo ad alta quota?
Marco Bocci: La faccia dei turisti che ci vedevano salire in seggiovia in abiti Anni Cinquanta e con il trucco delle bruciature in faccia mentre intonavamo canzoni di gruppo. Eravamo piuttosto folcloristici.
Michele Alhaique: Spesso eravamo immersi fino al collo di neve, continuavamo a camminare per minuti interi e solo dopo ci rendevamo conto di non avere sentito lo "stop" del regista.
Quanto è elettrizzante fare l'eroe?
Giorgio Lupano: Il mio personaggio, Mario Puchoz, non solo non è arrivato in cima ma neppure al campo tre. Non ha lasciato diari ed è morto prima di raccontare quello che è successo. Per questo gli sceneggiatori hanno inserito il rapporto con il bambino per equilibrare l'impresa machista con questo lato tenero.
Luca Fiamenghi: L'aspetto più importante è che l'impresa sia stata realizzata da persone normali e semplici. Oggi, al contrario, ci si concentra sul protagonismo e si considera fuori moda la "normalità". Gli eroi veri invece sono quelli che preferiscono i valori del coraggio e dell'umiltà.