Pensavamo di dover aspettare chissà quanto per scrivere la recensione di Jury Duty, che arriva invece un po' a sorpresa "già" dal 25 agosto su Prime Video (grazie al fatto che è stata prodotta per Freeve, ovvero la piattaforma gratuita di Amazon negli Usa). Una serie comedy che è anche un esperimento sociologico e una presa in giro dei legal drama e dei documentari, diventando quindi una sorta di mockumentary. Insomma davvero tante anime in una, non saranno un po' troppe? Per fortuna no, anzi la sua molteplice identità è parte della sua forza narrativa e comica. Ma volete scoprire esattamente di cosa stiamo parlando?
La parola ai (finti) giurati
Il Jury Duty del titolo è qualcosa di molto sentito negli Stati Uniti rispetto all'Italia: essere chiamati a far parte di una giuria può essere sì un inconveniente, con la vita sempre più frenetica che tutti facciamo soprattutto dopo la pandemia, ma allo stesso tempo è visto come un onore e una responsabilità dato che si dovrà decidere della vita di una persona, se finirà in prigione o meno e scegliere quindi se abbia commesso oppure no ciò di cui è accusata o darle il beneficio del dubbio, se gli avvocati sono riusciti a dimostrarlo. È in quest'ottica che è stata costruita Jury Duty, a metà strada tra un reality e una comedy scripted (che poi come ben sappiamo anche i reality sono in buona parte scripted).
Se UnReal mostrava il marcio di questo tipo di televisione, questa nuova serie sembra avvicinarsi più a Dispatches from Elsewhere (disponibile sempre sulla piattaforma), ma senza elementi pseudo-soprannaturali. Come Cunk on Earth prendeva in giro i documentari della BBC in stile Super Quark, i creatori di Jury Duty Lee Eisenberg e Gene Stupnitsky prendono in giro le falle del sistema legale americano e soprattutto il suo essere a conti fatti uno show messo in piedi dentro un'aula di tribunale. In questo caso visto dal punto di vista della giuria, anzi di un giurato in particolare: Ronald Gladden, un appaltatore solare. Lui è l'unico ad interpretare se stesso in mezzo ad uno stuolo di attori - dagli altri membri della giuria al giudice e agli avvocati, dall'imputato alla controparte, dalla cancelliera alle guardie - ma è anche l'unico a non saperlo.
Regia e montaggio legali e... reali-ty
A metà strada tra scripted e unscripted, quindi, Jury Duty mostra cosa accadrebbe se qualcuno finisse a dover giudicare un finto caso giudiziario senza saperlo. Il tutto raccontato con grande preparazione e consapevolezza: la regia di Jake Szymanski e il montaggio sono la chiave della riuscita della serie, sincopate e incentrate sui dettagli e sulle testimonianze, non solo con le classiche inquadrature dei legal drama ma anche con i movimenti di macchina che riprendono i reality, finendo per essere una sorta di mockumentary. La macchina da presa fa quindi il verso anche alle "confessioni" che di solito i partecipanti ad un documentario fanno in camera, a volte serie, a volte scherzose, e segue puntualmente l'evolversi del processo e dei suoi imprevisti.
Qui risiede l'altra chiave del successo di Jury Duty, finita per essere nominata agli Emmy Awards 2023 non solo come miglior comedy ma anche come Miglior Casting a Susie Ferris e a Miglior Attore non protagonista a James Marsden, che riprende l'abitudine un po' persa di alcuni attori di interpretare versioni sopra le righe di se stessi, che prendano in giro anche la professione e il mondo di Hollywood accecato dalla fama e dall'egocentrismo. James Marsden, "quello degli X-Men", è effettivamente l'unico altro membro della giuria ad interpretare se stesso, finendo per essere un "giurato di riserva" e creando così ancor di più situazioni comiche data la sua apparente voglia di stare al centro dell'attenzione.
Risate ma anche lacrime
L'ultimo episodio, in cui il reality viene svelato a Roland Gladden, mostra al pubblico non solo il dietro le quinte della serie, diventando quasi una sorta di making of e bonus extra, ma anche il terzo punto di forza della comedy: il casting di tutte le persone coinvolte e in particolare quello del giovane ragazzo. Hanno scelto una persona potenzialmente di buon cuore e altruista, che in più occasioni durante quel processo impossibile in cui succede di tutto, ci sono mille ostacoli per arrivare alla verità e in cui troppi giurati si affidano a lui per risolvere i propri problemi personali, dimostra di essere sempre attento e disponibile. Un messaggio di speranza per l'umanità dopo la pandemia che conferma un trend televisivo e cinematografico in questo senso, quasi a volerci ricordare che non siamo tutti egoisti e chiusi in noi stessi. Ecco perché, dopo tante risate - credeteci se vi diciamo che nel corso degli otto episodi non potrete non ridere, data anche la caratterizzazione degli altri membri della giuria, ognuno col proprio background e le proprie particolarità che partono da personaggi-tipo per diventare personaggi-quasi-reali - scapperà anche qualche lacrima. Cosa si può chiedere di più ad una comedy? Di non essere chiamati a far parte di una giuria, magari.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di Jury Duty confermando la piacevole sorpresa nel trovare una comedy che di puntata in puntata cresce e fa aumentare esponenzialmente le risate, per le situazioni surreali in cui il protagonista si trova e per la dolcezza ed il sorriso sulle labbra con cui riesce ad affrontarle. Lo stesso che ci ritroviamo noi spettatori a fine visione, con anche forse qualche lacrimuccia lungo il viso. James Marsden è l’elemento aggiuntivo che completa un quadro comico perfettamente meta-televisivo.
Perché ci piace
- L'altruismo e l’affabilità di Ronald Gladden.
- Il finto egocentrismo di James Marsden.
- La regia e il montaggio che uniscono reality e mockumentary.
- La caratterizzazione dei personaggi e lo sviluppo del finto caso.
- L'ultimo episodio.
Cosa non va
- Non ci vengono in mente particolari difetti se non che ci mette qualche puntata ad ingranare e ad entrare nel meccanismo comico e narrativo.