Nel corso degli ultimi tre decenni, pochissime attrici sono riuscite ad incarnare figure memorabili del moderno cinema d'autore con la stessa versatilità di Juliette Binoche. Parigina di nascita, proveniente non a caso da una famiglia di artisti, la splendida Juliette, che il 9 marzo scorso ha tagliato il traguardo dei cinquant'anni, non si è mai sottratta alle innumerevoli sfide che la sua professione le ha posto di fronte, arrivando a rifiutare l'offerta di un certo Steven Spielberg, che le aveva proposto un ruolo in Jurassic Park, perché preferiva farsi dirigere da Krzysztof Kieslowski.
Musa di alcuni fra i più importanti autori della settima arte, ma allo stesso tempo diva di fama internazionale, vincitrice dell'Oscar nel 1996 per Il paziente inglese, nonché prima interprete ad essere premiata nei tre principali festival mondiali (Cannes, Venezia e Berlino), Juliette è un'attrice in grado di coniugare l'intensità drammatica di Isabelle Huppert ed il carisma ineffabile di Catherine Deneuve, amatissima dai cinefili ma diventata ben presto un'icona anche per il grande pubblico.
E quest'anno, la Binoche ha aggiunto alla sua invidiabile filmografia un ruolo da considerare senz'altro fra i più belli della sua carriera: quello di Maria Enders, un'affermata attrice di mezza età che si prepara al ritorno al palcoscenico nella medesima pièce che le aveva regalato la celebrità oltre vent'anni prima. La pellicola, Sils Maria, è il nuovo lavoro di Olivier Assayas, presentato in concorso alla 67a edizione del Festival di Cannes, uscito ieri nelle sale italiane. Accanto alla Binoche, in questa intrigante ed a tratti enigmatica riflessione metateatrale che riecheggia capolavori quali Eva contro Eva e La sera della prima, troviamo Kristen Stewart nei panni di Valentine, la fedelissima assistente di Maria, e Chloë Grace Moretz nella parte di Jo-Ann Ellis, giovanissima star hollywoodiana in procinto di recitare al suo fianco. Proprio in occasione del debutto di Sils Maria, in assoluto fra i titoli più interessanti della stagione autunnale, abbiamo deciso di celebrare l'itinerario artistico di Juliette Binoche proponendovi una Top 10 delle sue migliori performance di sempre, quelle che hanno contribuito a renderla un'attrice irrinunciabile per qualunque appassionato di cinema...
10. Rendez-vous
È il 1985 quando Juliette Binoche, all'epoca appena ventenne, ottiene il suo primo ruolo da protagonista, grazie all'improvviso forfait di Sandrine Bonnaire, in uno dei film più arditi e controversi del regista André Téchiné: Rendez-vous, che viene premiato per la miglior regia al Festival di Cannes e riporta un sorprendente successo presso il pubblico francese. Anche in questo caso alla Binoche è affidata la parte di un'aspirante attrice, Nina, assorbita in un travolgente rapporto con il trasgressivo Quentin (Lambert Wilson), che la coinvolgerà in una messa in scena di Romeo e Giulietta in versione live sex show. La Binoche, alle prese fin da subito con un personaggio al centro di situazioni estreme e vittima di ossessioni e nevrosi, già rivela l'intensità che caratterizzerà anche le sue performance successive, guadagnandosi la sua prima candidatura al premio César. L'attrice tornerà a collaborare con Téchiné nel 1998 per Alice e Martin.
9. Niente da nascondere
Nel curriculum di un'attrice che ha lavorato con molti fra i massimi autori del cinema euopeo non poteva mancare un gigante del calibro di Michael Haneke: il cineasta austriaco, difatti, ha ingaggiato l'attrice francese prima in Storie, del 2000, e poi in uno dei suoi film più apprezzati, Niente da nascondere, vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2005. In questo gelido thriller psicologico, in cui la suspense è generata da un elemento perturbante ma al contempo di natura non ben definita, Juliette impersona Anne, editrice sposata con il giornalista televisivo Georges Laurent (Daniel Auteuil). La serenità di questa tipica famiglia benestante di intellettuali viene incrinata da quando, a casa dei Laurent, un misterioso mittente fa pervenire una serie di videocassette in cui viene ripresa la loro abitazione: una presunta minaccia che i due coniugi non riescono a comprendere, ma che incrinerà ineluttabilmente le loro tranquille esistenze borghesi, lasciando spazio affinché riemergano i fantasmi di un oscuro passato.
8. Chocolat
Fra i maggiori successi nella carriera di Juliette Binoche vi è di sicuro Chocolat, pellicola tratta dal best-seller di Joanne Harris e diretta dal regista svedese Lasse Hallström. La Binoche, nota soprattutto per le sue performance drammatiche, si cala in un ruolo più leggero e brillante, in una pellicola con numerosi risvolti da commedia e con una 'dolcezza' che sembra ripresa direttamente dal titolo. La diva, infatti, presta il volto a Vianne Rocher, che fa la sua comparsa in un paesino di provincia della Francia, sul finire degli anni Cinquanta, per aprire una cioccolateria: i suoi gustosissimi prodotti contribuiranno a diffondere un irrefrenabile desiderio di libertà e di trasgressione fra gli abitanti del villaggio, incrinando la mentalità bigotta della comunità, mentre Vianne si lascerà conquistare dal fascino dell'aitante zingaro Roux (Johnny Depp). Opera accattivante e alquanto furbetta, Chocolat non sarà fra i titoli più sofisticati nel curriculum della Binoche, ma ha entusiasmato il pubblico (150 milioni di dollari d'incasso in tutto il mondo) e nel 2000 ha ottenuto cinque nomination all'Oscar, tra cui miglior film dell'anno e miglior attrice per la nostra Juliette.
7. Il danno
Penultimo film del maestro Louis Malle, girato in lingua inglese nel 1992 e tratto dallo spiazzante romanzo di Josephine Hart, Il danno racconta l'attrazione fatale fra Stephen Fleming (Jeremy Irons), Ministro del Governo britannico, e la giovane Anna Barton (Juliette Binoche), la fidanzata del figlio di Stephen, Martyn (Rupert Graves); travolto dalla passione per la donna, Stephen intraprenderà con lei una torrida relazione clandestina, nonostante il rischio di mettere a repentaglio il legame con suo figlio e il rapporto con la moglie Ingrid (Miranda Richardson). Benché sia ricordato soprattutto per le ardite sequenze erotiche fra Irons e la Binoche, Il danno costituisce un'acuta e tagliente riflessione sulla natura (auto)distruttiva del desiderio e sulla dicotomia fra razionalità ed eros; e la Binoche, al fianco di una coppia di magistrali comprimari quali Irons e Richardson, incarna magnificamente questa femme fatale dall'apparenza gelida e controllata, ma capace di 'bruciare' con una forza dirompente.
6. Gli amanti del Pont-Neuf
Uno dei progetti più complessi e travagliati ai quali Juliette Binoche abbia preso parte è stato Gli amanti del Pont-Neuf, seconda collaborazione fra l'attrice e il regista Leos Carax, che l'aveva già diretta nel 1986 in Rosso sangue. Frutto di quasi due anni di lavoro, con ritardi nelle riprese, un set distrutto a causa delle avverse condizioni climatiche e un budget che lievitò in maniera vertiginosa, Gli amanti del Pont-Neuf arrivò finalmente nelle sale nel 1991, riportando un notevole successo di pubblico in Francia e diventando un cult del cinema d'autore contemporaneo, con reazioni divise tra fervidi entusiasmi e responsi assai più scettici e freddi. Protagonisti del film sono Alex (Denis Lavant), un artista da strada, e Michèle (Juliette Binoche), studentessa d'arte con un occhio bendato per una malattia alla vista, che vagano fra le strade di Parigi e il Pont-Neuf, consumando una reciproca passione che assumerà tuttavia contorni imprevedibili e distruttivi. Ancora una volta, dunque, la Binoche si cala in un personaggio che vive appieno un amour fou portato alle conseguenze più estreme e tragiche: e lo fa con un'energia ed un pathos ammirevoli, tanto da essersi guadagnata per questo ruolo lo European Film Award come miglior attrice.
5. Copia conforme
Con echi di Viaggio in Italia e L'anno scorso a Marienbad, Copia conforme, fra i titoli più conosciuti e apprezzati di Abbas Kiarostami, è un'opera di difficile definizione, in cui il regista iraniano costruisce un enigmatico gioco di ruoli che si sovrappongono. Juliette Binoche interpreta Elle, una gallerista francese che vive a Lucignano, gestendo un negozio di antiquariato, mentre l'esordiente William Shimell è James Miller, noto studioso d'arte in Italia per presentare il suo nuovo libro. Dopo essersi incontrati alla conferenza di Miller, i due iniziano a conversare a proposito di arte e decidono di trascorrere la giornata insieme, fra le campagne e i piccoli centri della Toscana, calandosi sempre più nelle 'parti' di una coppia di coniugi: all'inizio quasi per scherzo, in maniera casuale, ma poi con sempre maggiore coinvolgimento... Il regista iraniano mette dunque in scena un affascinante studio sulle ambiguità fra la dimensione del reale e quella della finzione, al quale fornisce la linfa vitale proprio la Binoche: la sua performance, che attraversa una vastissima gamma di stati d'animo, incanta per la spontaneità e il livello di immedesimazione, e le è valsa il premio come miglior attrice al Festival di Cannes 2010 (per l'occasione, la Binoche dedicò il trofeo al regista Jafar Panahi, tenuto prigioniero dalle autorità iraniane).
4. L'insostenibile leggerezza dell'essere
Da uno dei maggiori fenomeni letterari degli anni Ottanta, L'insostenibile leggerezza dell'essere, dello scrittore ceco Milan Kundera, nel 1988 Philip Kaufman ha realizzato un'eccellente trasposizione cinematografica, sceneggiata dal regista americano insieme a Jean-Claude Carrière. Condensando in quasi tre ore di durata lo stupendo romanzo di Kundera, Kaufman porta sullo schermo il triangolo amoroso al cuore del libro: quello fra lo stimato neurochirurgo Tomás (un altro divo emergente, Daniel Day-Lewis), la sua disinibita amante Sabina (Lena Olin) e la giovanissima cameriera Tereza (Juliette Binoche), che sogna di diventare un'affermata fotografa e si innamora di Tomás, con il quale inizia una tempestosa relazione. Alle loro vicende private, sullo sfondo della Primavera di Praga, si intrecciano gli avvenimenti storici di quegli anni (l'invasione sovietica, la stretta dittatoriale sulla Cecoslovacchia). Per la prima volta impegnata in una grande produzione internazionale, la Binoche interpreta con formidabile trasporto le fragilità, le speranze e la disperazione del personaggio di Tereza, rivelando già allora la profondità espressiva che l'avrebbe resa una delle attrici di punta del panorama europeo.
3. Sils Maria
Dopo Ore d'estate del 2008, quest'anno Juliette Binoche è tornata a farsi dirigere da Olivier Assayas in Sils Maria, suggestiva indagine dei dubbi e delle fragilità di una donna costretta a confrontarsi con il trascorrere del tempo e con il proprio passato. Juliette regala un'altra interpretazione di straordinario magnetismo nella parte di Maria Enders, attrice ultraquarantenne che, ad oltre vent'anni di distanza dal suo trionfale debutto in una pièce intitolata Maloja Snake, ha l'occasione di tornare a lavorare sullo stesso testo, ma con una significativa variazione nella prospettiva: non più il ruolo della giovane ninfa Sigrid, bensì quello della matura e debole Hannah, vittima di uno sfibrante gioco di seduzione dai contorni fassbinderiani. Una sfida che, per Maria, si rivelerà più dura del previsto, portandone alla luce incertezze ed idiosincrasie, sulla cornice di abbacinante bellezza delle cime innevate della Svizzera, immerse fra le nuvole. Un personaggio, Maria Enders, che richiama altre grandi figure femminili del cinema del passato (la Bette Davis di Eva contro Eva, la Gena Rowlands de La sera della prima), aggiornate ad un postmodernismo che sembra aver smarrito ogni punto di riferimento.
2. Il paziente inglese
Fra i più ambiziosi kolossal degli anni Novanta, frutto dello sforzo produttivo di Saul Zaentz e della Miramax e del lavoro di adattamento del celebre romanzo di Michael Ondaatje da parte del regista britannico Anthony Minghella, Il paziente inglese è stato nel 1996 uno dei più clamorosi successi di critica e di pubblico del decennio, con cinquanta milioni di spettatori in tutto il mondo e nove premi Oscar, tra cui miglior film. Ambientata fra la Toscana e l'Egitto, a cavallo tra la fine degli anni Trenta e la Seconda Guerra Mondiale, la pellicola di Minghella narra con afflato epico la storia d'amore fra il Conte ungherese László de Almásy (Ralph Fiennes), esperto di cartografia, e la raffinata Katharine (Kristin Scott Thomas), moglie dell'inglese Geoffrey Clifton (Colin Firth). A Juliette Binoche è affidato il ruolo di Hana, un'infermiera canadese che, nelle ultime settimane del conflitto, in un convento abbandonato nei pressi di Pienza si prende affettuosamente cura di un misterioso paziente, un uomo senza identità il cui volto è stato completamente sfigurato dalle ustioni. La Binoche, nei panni di una giovane donna straziata dal dolore, ma capace di una profonda empatia per il proprio "paziente inglese", grazie alla sua ottima performance si è aggiudicata il premio Oscar come miglior attrice non protagonista, il BAFTA Award, lo European Film Award e il premio come miglior attrice alla 47° edizione del Festival di Berlino. Nel 2006 Juliette è stata protagonista anche dell'ultimo film diretto da Minghella, Complicità e sospetti.
1. Tre colori: Film blu
In una classifica delle grandi prove d'attrice di Juliette Binoche, il cuore di ogni cinefilo non può non battere per quella offerta dalla diva per il regista polacco Krzysztof Kieslowski in Film blu, primo capitolo della "Trilogia dei colori" che proseguirà poi con Film bianco e Film rosso, tasselli di una complessa riflessione sui valori alla base della nazione francese. Vincitore del Leone d'Oro al Festival di Venezia 1993, Film blu indaga il tema della libertà, declinato in una chiave emotiva e privata, mediante la difficile elaborazione del lutto della protagonista, Julie de Courcy, unica superstite di un incidente stradale in cui hanno perso la vita suo marito Patrice, un rinomato compositore, e la loro figlia di sette anni. Dopo aver contemplato l'ipotesi del suicidio mentre giace in un letto d'ospedale, Julie si sforza di recuperare un'impossibile "normalità" e di trovare un equilibrio, per quanto assurdo, con il carico di sofferenza che porta dentro di sé. Alla decisione di annullare il proprio passato, cancellando ogni ricordo della sua esistenza prima della tragedia, seguirà un inevitabile confronto con se stessa, necessaria catarsi in vista di un imminente "ritorno alla vita".
Coadiuvata dall'incanto visivo di una messa in scena tutta giocata sui toni dell'azzurro, Juliette Binoche si immerge in un'interpretazione di struggente intensità, fondata interamente su un lavoro di sottrazione, per quella che a nostro avviso rimane la sua performance più alta e sublime, ricompensata con la Coppa Volpi al Festival di Venezia ed il premio César come miglior attrice.