Wilko Johnson. I più giovani lo conoscono per la sua interpretazione di Ser Llyn Payne, il boia del re con la lingua mozzata e lo sguardo sinistro delle prime due stagioni de Il trono di spade, mentre quelli con qualche primavera in più alle spalle se lo ricorderanno saltare sui palchi di mezzo mondo imbracciano la sua chitarra come precursore del punk rock insieme ai suoi Dr. Feelgood. Il musicista è il protagonista dell'ultimo film del regista britannico Julien Temple, il cineasta che ha legato il suo nome al rock tra film e documentari come Absolute Beginners e Joe Strummer: il futuro non è scritto, presente a Torino nella duplice veste di Guest Director della 33ª edizione del Festival e autore di una rassegna inaugurata per l'occasione, Questioni di vita e di morte. L'idea nasce proprio da The Ecstasy of Wilko Johnson, ultima pellicola dedicata all'amico rocker e al suo confronto con la morte dopo la diagnosi di un cancro inoperabile che gli avrebbe lasciato solo dieci mesi da vivere. La scelta degli altri film è, dunque, ricaduta su pellicole come La Bella e la Bestia di Jean Cocteau e Il settimo sigillo di Ingmar Bergman che in chiave onirica, surreale o poetica raccontassero il concetto della morte al cinema. Tutti lavori amati dal regista e visti all'Electric Cinema di Portobello Road, un cineclub dalla programmazione eterogenea che ha contribuito ad influenzare la visione e lo stile del regista.
The Ecstasy of Wilko Johnson segue John Peter Wilkinson, vero nome del musicista, in un monologo nel quale esalta lo stupore e la meraviglia della vita all'indomani nella definitiva "sentenza", ovvero la diagnosi terminale che in un secondo ha cancellato il suo futuro. Con un atteggiamento incredibilmente positivo, senza rabbia o pietismo, anzi carico di esaltazione, Johnson, ha deciso di trascorrere i suoi ultimi mesi nel cercare di godersi appieno ogni piccolo quanto banale momento e aspetto della vita, rifiutandosi di sottoporsi alla chemioterapia ed organizzando un tour d'addio con il quale congedarsi dal mondo nel modo migliore al quale riuscisse a pensare: suonando sul palco accompagnato dalla sua chitarra. E allora, in un turbinio di immagini, interviste, concerti e apparizioni televisive, vediamo il chitarrista ripercorrere la sua vita, dall'infanzia a Canvey Island, isola a sud Inghilterra, all'amore per la letteratura, dal passato da insegnante al ricordo dolce e malinconico dell'amata moglie morta dieci anni prima, dall'interesse per l'astronomia e la pittura fino all'umorismo, o meglio al tumorismo come lo chiama Johnson, con il quale si prende gioco del suo male. Una storia incredibile con un finale altrettanto inimmaginabile e contro ogni previsione medica: quello che doveva essere un cancro al pancreas incurabile, grazie ad un fotografo oncologo, improvvisamente lascia alla rock star la possibilità di "farla franca" e ritrovarsi, tutto d'un tratto, con un avvenire ad aspettarlo perché come diceva Joe Strummer: "The Future in Unwritten".
Inno alla gioia
La vera bellezza del film risiede tutta nell'atteggiamento di Wilko Johnson, un uomo grato per quello che ha avuto e pronto a congedarsi, più preoccupato per gli affetti che dovranno attraversare il suo lutto che per sé stesso. Un incredibile prova di dignità e coraggio, di ironia e gratitudine che commuove e diverte. C'è qualcosa di sfacciatamente bello nel vedere il musicista nel suo inseparabile completo nero intonare Bye Bye Johnny alla fine dei suoi concerti di congedo e vedere la folla commossa cantare a squarciagola con lui in quello che sarebbe dovuto essere un addio commosso ma stracolmo di vita, il saluto più caloroso ed emozionate che ci si possa immaginare. Tra una citazione a Shakespeare, Woordworth e Milton, Julien Temple, lascia Johnson libero di raccontare le sue emozioni, di mostrarci il suo mondo, il rammarico di non poter più vedere l'amato Saturno e la consapevolezza che il senso della vita passa anche attraverso un fiocco di neve illuminato dal sole.
Una riflessione citazionista sulla vita e la morte
Temple, che aveva già documentato la vita e il lavoro di Wilko Johnson in Oil City Confidential del 2009, costruisce un film dal forte impatto visivo, con una fotografia intensa, giocata sui contrasti e carica di contrasti cromatici nella quale inserisce immagini della natura cariche di significato metaforico e sequenze o frammenti degli stessi film scelti per comporre i titoli della rassegna Questioni di vita e di morte. Ecco allora Scala al paradiso di Michael Powell e Emeric Pressburger, Stalker di Andrei Tarkovsky, Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, Il colore del melograno di Sergei Parajanov e Nosferatu di F.W. Murnau. Un'insieme di classici che costituiscono una visione unica, surreale, onirica, spaventosa o gioiosa sull'indissolubile rapporto che lega la vita alla morte.
Movieplayer.it
4.0/5