Le mezze misure non hanno mai fatto per lei, la annoiavano. Lei voleva il pinnacolo dell'eccitazione. Se era felice, non era solo felice, era estasiata. E quando era triste, era più triste di chiunque altro. (Liza Minnelli)
Ci sono momenti di cinema talmente perfetti, animati da una misteriosa ma inconfutabile magia, che si stampano da subito nella memoria collettiva. Uno di questi momenti arriva poco dopo l'inizio de Il mago di Oz, quando una sedicenne Judy Garland, nel bianco e nero virato in seppia di una fattoria del Kansas, solleva lo sguardo verso il cielo e intona le note di Over the Rainbow. È una scena che dura appena due minuti, ma che ha sancito in qualche modo un "prima" e un "dopo": il primo, autentico brivido di un film che sarebbe passato alla storia, ma anche il primo, inequivocabile indizio che il futuro di quella ragazza adolescente originaria del Minnesota sarebbe andato ben oltre il favoloso mondo di Oz.
Il 22 giugno 1969 Judy Garland, nome d'arte di Frances Ethel Gumm, veniva ritrovata senza vita nel bagno della casa che lei e il suo quinto marito, Mickey Deans, avevano affittato a Londra, stroncata da un'overdose di barbiturici; solo dodici giorni prima aveva compiuto quarantasette anni. All'epoca la sua carriera di attrice sembrava essere tramontata definitivamente, eppure poche altre figure della cosiddetta Golden Age of Hollywood avevano acquisito una celebrità paragonabile a quella della Garland; una celebrità che, nel suo caso, era alimentata dalla connessione fra la sua immagine pubblica e la sua vita privata.
Una connessione oggetto, da allora, di innumerevoli analisi e tentativi di rievocazione: due esempi su tutti, la pluripremiata miniserie biografica del 2001 Life with Judy Garland: Me and My Shadows, con Judy Davis e Tammy Blanchard a dividersi il ruolo principale, e Judy, il film in uscita il prossimo autunno, con Renée Zellweger nella parte della Garland nelle ultime settimane prima della morte. Perché forse nessun altro divo della Hollywood classica ha incarnato con la medesima forza il connubio tra fiaba e tragedia, fra le luci del palcoscenico e le ombre di un'esistenza che più e più volte è stata sull'orlo di essere inghiottita da una spirale autodistruttiva, in una continua alternanza di cadute e rinascite.
Judy: Renée Zellweger è Judy Garland nel primo trailer del film
Somewhere over the rainbow: Judy Garland, la ragazza-prodigio della MGM
Se Frances Ethel Gumm nasce a Grand Rapids, una cittadina del Minnesota, in una famiglia di artisti del vaudeville, Judy Garland è invece un tipico prodotto dello studio system hollywoodiano degli anni Trenta. Un'infanzia trascorsa nei teatri della California come membro delle Gumm Sisters, insieme alle sorelle maggiori Mary Jane e Dorothy, quindi un provino per il dispotico mogul della Metro-Goldwyn-Mayer, Louis B. Mayer: a tredici anni Judy Garland è ormai una 'creatura' della MGM, dove è bollata come il "brutto anatroccolo" e viene costretta a perdere peso e a mutare il proprio aspetto per aderire quanto più possibile alle sembianze della tipica "ragazza della porta accanto", in attesa che i produttori trovino l'occasione giusta per servirsi di lei.
Il Blu-ray de Il mago di Oz - Edizione 75° anniversario
In un periodo in cui star già affermate come Bette Davis e Katharine Hepburn si battevano per conquistare la propria indipendenza a Hollywood, Judy Garland viene trattata invece come un prodotto della "fabbrica delle stelle". E sarà grazie alla sua voce, già dotata di una potenza fuori dal comune, che Judy riuscirà ad emergere: prima in coppia con il coetaneo Mickey Rooney, altro enfant prodige della scuderia MGM (il loro musical Ragazzi attori sarà uno dei più strepitosi successi del 1939), e quindi ne Il mago di Oz. Diretta da Victor Fleming nel 1939 e tratta dal libro di L. Frank Baum, questa sontuosa fiaba musicale in Technicolor si rivelerà uno di quei film in grado di segnare un'intera carriera: ancora oggi la Garland è associata innanzitutto a Dorothy Gale, la timida ragazza che con il suo cagnolino Toto si avventurerà in un mondo incantato, indosserà le magiche scarpette rosse e sfiderà la malvagia Strega dell'Ovest.
The sun is shining, come on get happy: dolore e gloria
Negli anni Quaranta, quando ormai è entrata nell'età adulta, Judy Garland è il volto-simbolo del musical hollywoodiano, nonché la voce femminile più amata d'America. Sempre legata all'immagine da brava ragazza, la Garland esprimerà di volta in volta sullo schermo il candore, l'innocenza e la dolcezza di personaggi ingenui e romantici: uno su tutti, la Esther Smith di Incontriamoci a Saint Louis, musical di Vincente Minnelli che nel 1944 registra incassi record e permette a Judy di esibirsi in due delle sue canzoni più famose, The Trolley Song e la malinconica Have Yourself a Merry Little Christmas. Quello stesso anno Judy, reduce dal divorzio dal musicista David Rose, inizia una relazione con Minnelli, che nel 1945 diventerà il suo secondo marito; un anno più tardi darà alla luce la sua primogenita, Liza Minnelli.
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Il periodo più fortunato nella carriera della Garland, che inanella un successo dopo l'altro (Le ragazze di Harvey, Ti amavo senza saperlo accanto a Fred Astaire, I fidanzati sconosciuti), è però anche il periodo in cui si manifestano i suoi spettri personali: la lotta contro la depressione, il crollo nervoso sul set de Il pirata e, nel luglio del 1947, il tentativo di uccidersi tagliandosi le vene. Nel 1950 recita nel suo ultimo film per la MGM, L'allegra fattoria, al fianco di Gene Kelly, e consegna agli annali uno dei suoi numeri musicali più iconici, Get Happy: la sua trascinante performance nel film, con giacca nera, fedora inclinata sul capo e gambe scoperte, mostra al pubblico una Judy Garland all'apice del proprio carisma.
The man that got away: la rinascita di una stella
Il 1950, però, è anche l'anno in cui Judy Garland rischia di precipitare nel baratro: dopo essere stata licenziata da tre film, Judy si vede rescindere il contratto dalla MGM. Sarà ancora più spettacolare, pertanto, il suo ritorno sul set, in una delle più clamorose rivincite nella storia dello show business: È nata una stella, prodotto per la Warner Bros dal suo terzo marito, Sidney Luft. Diretto da George Cukor nel 1954 sulla base dell'omonima pellicola del 1937, È nata una stella rispecchia per molti aspetti il percorso professionale della Garland. Non a caso il ruolo di Esther Blodgett, starlette in ascesa innamorata dell'attore in declino Norman Maine (James Mason), sarà il suo autentico capolavoro: una prova di struggente intensità drammatica, un'intensità trasmessa anche e soprattutto attraverso l'indimenticabile colonna sonora del film.
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Dal monumentale medley Born in a Trunk, della durata di quindici minuti, alla commovente It's a New World, passando per la canzone più nota di tutto il film, The Man That Got Away: un piano sequenza di quattro minuti in cui l'impressionante estensione vocale della Garland, scivolando sulla melodia di Harold Arlen, si carica di tutte le sfumature della passione, del rimpianto e della sofferenza. Mai, prima di allora, un'attrice aveva saputo fondere sullo schermo il canto e la recitazione in un connubio tanto perfetto. Per la sua interpretazione in È nata una stella Judy riceve il Golden Globe e la nomination all'Oscar come miglior attrice, ma subito dopo abbandonerà di nuovo il cinema per concentrarsi sull'attività di cantante: tournée, special televisivi e, nel 1961, la pubblicazione di Judy at Carnegie Hall, un doppio disco dal vivo registrato a New York che stazionerà per tre mesi in cima alla classifica americana e vincerà il Grammy Award come miglior album dell'anno.
I could go on singing: aspettando l'arcobaleno
La diva per antonomasia del musical classico; la straordinaria performer che incanta il pubblico nei concerti e in televisione; l'attrice in grado di sfoderare sorprendenti capacità drammatiche perfino in un ruolo di pochi minuti, come quello di una testimone chiamata a deporre al processo di Norimberga nel magnifico Vincitori e vinti di Stanley Kramer, che nel 1961 le vale una seconda candidatura all'Oscar. Le tormentate vicende personali hanno compromesso più volte la parabola artistica di Judy Garland, ma non sono riuscite neppure ad appannare un talento assolutamente unico, che l'ha accompagnata fino alla fine. E quando, nel 1963, Judy interpreta il suo ultimo film, Ombre sul palcoscenico, quel talento si dispiega ancora una volta; I Could Go On Singing, il brano finale del musical, sembra quasi assumere il valore di un manifesto, di un inno a se stessa e alla propria vocazione.
L'aura leggendaria che da cinquant'anni avvolge la figura di Judy Garland deriva in parte anche da quella componente tragica che la star de Il mago di Oz ha portato con sé fin da giovanissima. Eppure, in una carriera scandita da infiniti alti e bassi, da set abbandonati e da enormi successi, e al di là della consueta retorica sui lati oscuri di Hollywood, se la Garland rimane una delle massime icone del cinema americano è anche per l'abnegazione con cui si è offerta al pubblico: dall'eccitazione febbrile dei sentimenti all'angoscia lancinante della solitudine, non c'è un'emozione che Judy abbia avuto timore di esprimere con i suoi sguardi e con la sua voce, sempre in attesa di un nuovo arcobaleno pronto ad affacciarsi fra le nuvole.