L'umorismo tipico dei newyorkesi (è nato nel Queens, tra le casette basse di Flushing), il senso per la commedia, un approccio vitale e acceso verso qualsiasi tipo di argomento. Per lui, infatti, tutto è rapportabile al linguaggio comedy. Un linguaggio immediato, democratico, libero. La lista delle skills di Judd Apatow è decisamente lunga - produttore, regista, sceneggiatore, conduttore radio -, e allora per brevità lo si potrebbe appellare, in senso vago, come storyteller. Ma attenzione, non il classico cantastorie, bensì uno che ha fatto dell'autorialità un fattore determinante in fase di commedia. Del resto, il suo mito era Steve Martin, e allora da ragazzo, talmente ossessionato dalle commedie, riuscì a metter su un programma radiofonico in onda sulle frequenze della Syosset High Scholl insieme a nomi come Jerry Seinfeld e Steve Wright e - sfruttando gli agganci di sua mamma - intervistò nomi del calibro di John Candy e Harold Ramis.
Ma l'obbiettivo massimo per Judd Apatow era la sceneggiatura. Dieci anni dopo aver svezzato Ben Stiller con il The Ben Stiller Show, scrisse e diresse un cult come 40 Anni Vergine, scegliendo per protagonista l'allora (semi)sconosciuto Steve Carell, già protagonista di Anchorman - La Leggenda di Ron Burgundy che aveva prodotto per l'amico Adam McKay. La storia, ricorderete, era quella semiseria di un nerd quarantenne che non era mai riuscito ad avere un rapporto sessuale. Dietro le risate - tante - una vicenda di insicurezza, incomunicabilità, ansia. Da Funny People a Molto Incinta fino allo scult Walk Hard - La storia di Dewey Cox, o alle serie Netflix Love: lo stile di Apatow, come regista o sceneggiatore, è sempre stato quello di mischiare il serio al faceto, raccontando in modo arguto il delicato equilibrio di chi naviga tra i trenta e i quarant'anni. Allora, ammettendo in modo spassionato il nostro amore per il suo cinema, ecco i tre titoli - opposti tra loro - che dovreste assolutamente (ri)vedere. Tutti targati Team Apatow.
Love. Ovvero, trovare l'amore a LA
Una delle prime serie targate Netflix, già disponibile al lancio italiano nel lontano 2016. Tre stagioni per un totale di trentaquattro episodi. Love è l'archetipo dello show binge-watching: mezz'ora a puntata, un ritmo sostenuto, due grandi personaggi. Ideata da Judd Apatow, insieme a Lesley Arfin e Paul Rust, che poi sarà anche protagonista insieme Gillian Jacobs (non c'entra nulla, ma ne approfittiamo: sarebbe stata una perfetta Captain Marvel), lo show racconta essenzialmente la nascita di un amore, quello tra l'impacciato Gus, con il sogno di diventare uno showrunner, e Mickey, disillusa autrice di una stazione radio. Sullo sfondo una pigra Los Angeles, tra improbabili set cinematografici, star viziate e appartamenti che puzzano di linoleum. La poetica di Apatow prestata alla serialità, le turbe di due ragazzi comuni e la necessità vitale di scambiarsi un po' d'affetto.
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Il Re di Staten Island. La poetica post 9/11
Probabilmente il film più sottovalutato da Judd Apatow. Il più sottovalutato e, anche, quello che più si distacca dalla sua solita narrativa. Uscito nello sfortunato 2020, un po' in sala, poi in streaming (in Italia direttamente in digitale, of course), Il Re di Staten Island fa parte di quei titoli che destrutturano la tragedia dell'11 Settembre: semi autobiografico, il film racconta in modo più o meno romanzato la vita di Pete Davidson, che nel film interpreta Scott Carlin, un ventiquattrenne che passa le sue giornate a bivaccare, fumare erba e testare la sua passione per i tatuaggi sopra sventurati amici. Scott, come Pete, ha perso suo padre quando aveva sette anni. Come? Era un pompiere, e quel giorno di settembre perse la vita sulle scale del Marriott World Trade Center. Una tragedia privata e collettiva, in un film che fotografa perfettamente le cicatrici rimaste sulla dura scorza dei newyorkesi.
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Anchorman 2 - Fotti la notizia. Quando il sequel è meglio dell'originale
Tralasciando l'inutile e volgare titolo datogli dalla distribuzione italiana (uscito direct to video nel 2014), Anchorman 2 è l'esempio di quanto i sequel non siano sempre peggiori dell'originale. Anzi, il secondo capitolo con protagonista Ron Burgundy alias Will Ferrell è molto più divertente ed esagerato del primo, memorabile film. Una comicità fisica che si unisce alla dialettica irrefrenabile di un gruppo di fenomenali attori, emblema di quel Frat Pack che è parte integrante del Team Apatow: oltre a Ferrell, Paul Rudd, Steve Carell, Kristen Wiig, David Koechner, John C. Reilly. Il film, tra l'altro, alterna incredibili comparsate: da Harrison Ford a Marion Cotillard. Un sforzo produttivo spiegato così da Judd Apatow: "Quando abbiamo parlato per la prima volta dei cameo che stavano diventando esagerati, non avrei mai pensato che poi avremmo portato tutti ad Atlanta! Quando glielo abbiamo proposto hanno iniziato a dire di sì, è molto incredibile!".
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