Uno dei meriti di Motherless Brooklyn, noir diretto e interpretato da Edward Norton, è stato quello di far conoscere il nome di Jonathan Lethem a quel pubblico che ancora non si era imbattuto nei suoi romanzi. In realtà il premio Chandler di questa edizione del Noir in Festival non ha bisogno di presentazioni visto che è uno degli autori più stimati del circolo newyorkese. Tanto raffinato quanto pop, Lethem si distingue nel panorama attuale per il suo eclettismo che lo porta a mescolare letteratura alta e fumetto, musica rock e romanzi di formazione, riflessione filosofica di matrice ebraica e fantascienza visionaria.
Tanti sono i modelli a cui Jonathan Lethem si ispira, da quel Philip K. Dick che venera come un maestro ai classici del crime Raymond Chandler e George Simenon, che omaggia in Motherless Brooklyn - I segreti di una città e nel recente Il detective selvaggio, ma non dimentichiamo che l'autore del seminale La fortezza della solitudine ha all'attivo anche la graphic novel Omega Lo sconosciuto, omaggio esplicito ai fumetti Marvel. Questi interessi in apparenza schizofrenici trovano una sintesi perfetta nel confronto che Lethem stesso propone tra il detective Philip Marlowe e Alice nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll. "Alice è come Philip Marlowe" spiega lo scrittore. "Cammina in un mondo privo di senso mettendo ordine nel caos. Entrambi creano un ponte tra senso e nonsenso. Ho letto entrambi a 12 anni, sia in Raymond Chandler che in Lewis Carrol si percepiscono la presenza dello scrittore e il potere del linguaggio. Entrambi costruiscono mondi".
I 20 migliori detective del cinema
Una scrittura cinematografica, ma solo all'apparenza
La scrittura di Jonathan Lethem è intrisa di riferimenti cinematografici e riflette l'influsso di opere di culto come Sentieri selvaggi, che da sempre ossessiona lo scrittore, ma anche La donna che visse due volte e Essi Vivono. "Ma ce ne sono molto altri" ci spiega l'autore. "Occhi senza volto di Georges Franju ha influenzato il mio Anatomia di un giocatore d'azzardo. Penso ai film tutti il tempo, credo che tra cinema e letteratura ci sia uno stretto legame di somiglianza, io attingo costantemente ai film". Curiosamente, però, mentre altri scrittori sono stati saccheggiati dal cinema, sono solo due gli adattamenti dalle opere di Lethem, Motherless Brooklyn e Light and the Sufferer, del 2007, basato su un suo racconto breve. Secondo Lethem non è poi così strano: "I miei libri sono difficili, attirano i cineasti, sono in molti ad aver opzionato le mie opere, ma in realtà nascondo una trappola, sono problematici. A prima vista contengono elementi molto cinematografici, ma in realtà il loro meccanismo interiore è basato sul linguaggio. In un film questo non può funzionare".
A far funzionare sullo schermo la narrativa complessa di Jonathan Lethem, come mette in luce la recensione di Motherless Brooklyn, ci ha pensato Edward Norton, attore e regista noto per la meticolosità che lo rende "difficile" agli occhi dei compagni di lavoro. Per Lethem, però, la collaborazione con l'attore è filata liscia come l'olio anche perché lo scrittore non ha partecipato al film: "Ho dato a Edward Norton il libro e ho lasciato che facesse tutto lui. Di fatto non abbiamo lavorato insieme, ho lasciato che facesse sua la storia. Abbiamo avuto un incontro piacevolissimo in cui lui mi ha illustrato la sua visione e poi ho fatto come il papa, gli ho dato la mia benedizione. In questo modo è molto più facile".
Edward Norton su Motherless Brooklyn: "Non vorrei discutere con Alec Baldwin nella vita reale!"
La passione per il romanzo, un'arte poco raccomandabile
Jonathan Lethem non è solo un romanziere, ma è anche un attivista politico. Tutta la sua opera è intrisa di riflessioni sul presente camuffate spesso dietro metafore fantastiche o futuristiche. E apertamente politico è Il detective selvaggio, romanzo in cui la frontiera americana diventa un'altra tana del coniglio che ospita due comunità, una maschile di uomini sovranisti trumpisti, e una femminile di donne hippy legate all'utopia. L'amore per i fumetti rende Lethem la persona più adatta per commentare le dichiarazioni di Alan Moore sulla pericolosità del mito dei supereroi ricollegandolo alle idee destrorse e machiste: "Moore ci ha messo in guardia del pericolo con Watchmen. L'idea alla base dei supereroi è ambivalente: sono attraenti, ma sono anche pericolosi, sono dei vigilantes. Amo i fumetti, ma credo che sia importante essere consapevoli, anche l'estetica dei cinecomic è ambigua, con l'uso imponente della CGI e l'azione così artificiale, così lontana dal quotidiano. Questo li rende così affascinanti, ma anche pericolosi".
Nonostante il piglio intellettuale, Jonathan Lethem rivendica la sua passione per forme d'arte meno elitarie: "Ho letto tutta l'opera di Philip K. Dick due volte, ho visto Blade Runner 14 volte. Ho scelto di aderire al romanzo proprio perché è nata come una forma d'arte popolare, poco raccomandabile. Io volevo soddisfare i miei appetiti dal cinema ai fumetti, dalla musica rock alla fantascienza, non ho potuto farne a meno". Lo scrittore newyorkese rivendica il suo interesse verso gli outsider confidandoci un ultimo segreto che lo riguarda: "Amo collezionare oggetti, ma sono un collezionista di immagini e cose che non interessano a nessuno, il che è molto economico".