Giullare di una città decadente, clown di un luna park di orrori, Joker è senza dubbio uno degli antagonisti più complessi e affascinanti di sempre. La sua natura sfuggente può essere abbracciata, compresa e carpita soltanto da un grande attore capace di adottarne lo spirito inquieto. Identikit che corrisponde alle fattezze di Heath Ledger e Joaquin Phoenix che metteremo a confronto in questa occasione.
Con buona pace dello straordinario Jack Nicholson (troppo lontano nel tempo per un confronto contemporaneo) e per l'infelice parentesi punk di un dimenticabile Jared Leto, oggi metteremo due eccelsi Joker davanti allo specchio. Stesso personaggio, due diverse sfumature di follia. Stessa anima in pena, due modi opposti per tratteggiarla. Tra deliri, domande irrisolte e risate piangenti, ecco due facce ghignanti dello stesso, terrificante volto.
Joker ride. Ride sempre e comunque. Soprattutto quando non c'è niente da ridere. Ride mentre ammazza, mentre terrorizza, mentre insinua logoranti dubbi negli altri. Ride mentre si nutre dello spaesamento altrui. Ride sguaiato e violento per mettere in bella mostra quel sorriso più smagliato che smagliante. Joker ama essere stonato e disarmonico, perché ha capito che le cose stranianti ci spaventano davvero. Se il suo acerrimo nemico si nasconde dietro l'oscura maschera di Batman, Joker con quel cerone bianco in faccia non fa altro che evidenziare il suo spirito irridente, beffardo e profondamente caotico.
Perché sono così seri
In questo articolo troverete più differenze che punti in comune. Perché la prospettiva da adottata da Christopher Nolan e Todd Phillips per mettere in scena Joker è completamente diversa. A partire da un'ovvia divergenza di fondo: il Joker di Heath Ledger è l'antagonista di un film dedicato a Batman, nemesi complementare al Cavaliere Oscuro. Il Joker di Joaquin Phoenix, invece, ha un film tutto per sé (un film di cui abbiamo parlato nella nostra video recensione di Joker) un film in cui ci viene descritta per filo e per segno la parabola discendente di un uomo che si trasforma poco per volta in un criminale, un film in cui Batman ancora non esiste. Però c'è un punto fondamentale in cui le visioni di Nolan e Phillips si sovrappongono alla perfezione: il realismo. È evidente che Joker abbia seguito la scia tracciata da Nolan, allontanandosi dalla prospettiva più enfatica, spettacolare e roboante imposta da Zack Snyder al DC Extended Universe.
Ispirandosi anche allo stile crudo e sporco di Taxi Driver, Joker è ambientato in una Gotham City quasi sovrapponibile a una sudicia New York degli anni Ottanta. Proprio come la più che verosimile Gotham di Nolan, sintesi tra New York e Chicago. Un realismo estremo. Nel tono, nell'ambientazione, nelle dinamiche, nei temi scomodi e attuali messi sul banco. Giubilo per chi crede in un cinecomic più adulto e capace di riflettere sul contemporaneo con lucidità e dolore per chi condanna questa scelta di discostarsi dalla matrice fumettistica, quasi disconoscendola a priori. Una cosa è certa, i Joker di Ledger e Phoenix fanno paura proprio perché sono pagliacci di un circo che conosciamo bene: la realtà.
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Un bel sorriso su questa faccia: il look
Può sembrare una questione superficiale e secondaria, ma non lo è affatto. Soprattutto quando si parla di un personaggio iconico come lui, che dell'immagine burlesca ne fa un vanto. Nolan, coerente con la sua visione votata al realismo assoluto, si è subito allontanato dall'aspetto grottesco e volutamente teatrale del Joker di Tim Burton. Il regista non ha imposto regole ferree ai responsabili del character design, dei costumi e del make up, limitandosi a fornire le loro ispirazioni come i quadri caotici del pittore irlandese Francis Bacon. E così è nata quella maschera di dolore stampata sul volto di Heath Ledger. Un personaggio che nell'aspetto non è per niente scintillante e clownesco (non a caso il verde e il viola sono stati molto scuriti), ma un'anima in pena credibile. Quel trucco sfatto, consumato, decadente, unito alla geniale idea di creare un sorriso traumatico con due cicatrici di dubbia provenienza sono alla base di un personaggio diventato subito cult. Senza dimenticare quei capelli unti, grassi, viscidi come un antagonista sfuggente e quel tocco di classe del trucco nero attorno agli occhi, che sembra quasi il logo di un pipistrello disintegrato.
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Se Nolan si è distanziato da tutto quello che lo aveva preceduto sul grande schermo, Todd Phillips ha fatto l'esatto contrario, citando sia la versione di Nicholson con un abito decisamente vistoso e clownesco che quella di Ledger proprio attraverso la capigliatura. A confermare il bisogno di verosimile di Phillips, poi, c'è il trucco vagamente ispirato a John Wayne Gacy, il serial killer statunitense soprannominato "Killer Clown". Al contrario di Ledger, che appare senza trucco soltanto di sfuggita, il Joker di Phoenix è il risultato finale di una lenta trasformazione, è l'apice di una lenta e inesorabile discesa nella disperazione.
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Ridi, pagliaccio
Senza la sua risata il Joker sarebbe disarmato. Per questo, ogni volta che un attore è chiamato a dare voce a quel ghigno malefico sulle sue spalle gravano responsabilità e aspettative. Tutte cose che Heath Ledger e Joaquin Phoenix hanno gestito con il piglio eclettico dei grandi talenti. Al suo Joker il compianto Heath ha regalato una serie di risate ricche di sfumature diverse. Da quella lenta e inquietante che precede la sua prima entrata in scena durante la riunione tra criminali, sino a quella più iconica ripetuta più volte durante il mitico interrogatorio di Batman. Una risata compiaciuta, irridente, beffarda, che non si placa nemmeno dinanzi al dolore. Phoenix, invece, ha lavorato su una risata in evoluzione, proprio come il personaggio. Il suo Arthur Fleck sembra soffocare la risata nel pianto. Quando ride, si strazia e lacera dentro allo stesso tempo. La risata di Phoenix provoca dolore fisico, quasi lo strozza, per poi emergere finalmente fiera e disinibita in un finale quasi liberatorio.
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Far ridere o bruciare il mondo: la missione
Da una parte un inarrestabile agente del caos, nemesi pura, perfetto spauracchio. Dall'altra un uomo malato, maltrattato, bullizzato, incompreso. I Joker di Heath Ledger e Joaquin Phoenix non sono fatti della stessa pasta, anzi. Il Joker di Ledger è Joker dall'inizio alla fine, quello di Phoenix diventa Joker. Il Joker di Ledger è astratto, un'essenza malefica sfuggente, un personaggio subito iconico. Il Joker di Phoenix è fisico, materico, è una persona con un vissuto, una casa in cui ci è permesso entrare, una vita in cui ci è permesso sbirciare per due ore. Ledger appare e scompare, è un'entità, più che un essere vivente. Phoenix ci fa vivere sulla sua pelle ogni umiliazione, ogni barlume di speranza spezzato sul nascere, ogni desiderio castrato di una vita normale. Questo li rende per forza di cose due personaggi con visioni del mondo e intenti profondamente distanti. Il Joker di Ledger vuole vedere bruciare il mondo, convinto che il caos sia un regno equo in cui l'irrazionalità dell'esistere possa finalmente compiersi.
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È così, dentro un fuoco caotico e ardente, viene alimentata la visione nichilista di un antagonista dal grande spirito filosofico. Arthur Fleck, invece, ci appare molto più semplicemente come un comico fallito. Un uomo che il mondo non vorrebbe bruciarlo, ma farlo ridere, smuovendo negli altri quella felicità che gli è stata sempre negata. Fleck, inizialmente non ha manie di grandezza o intenzione di trasformarsi in un terrorista, ma pretende di sapere la verità sulle sue origini e di avere la sua rivincita sui torti subiti. Il suo Joker è il risultato di un fallimento, la conseguenza di una marea di umiliazioni subite troppo a lungo da una città non meno malata e perduto del criminale che sta per partorire.
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Tra terrore ed empatia
E qui arriviamo davanti un'altra profonda crepa che allontana queste due incarnazioni di Joker. Il villain di Heath Ledger ispira terrore dalla prima all'ultima inquadratura. È un personaggio misterioso, destabilizzante, disturbante, che sfrutta con sadico piacere il suo essere fuori dai canoni del socialmente accettabile per seminare paura. Se il suo Joker è un abile manipolatore, quello di Joaquin Phoenix è stanco di essere manipolato, plasmato da una società crudele, tenuto al guinzaglio da una marea di bugie e crudeltà subite. Così Todd Phillips delinea una parabola discendente (o ascendente, a seconda dei punti di vista) in cui è facile cadere nella lecita tentazione di entrare in empatia con un profondo dramma umano. Laddove Ledger sfugge di continuo a qualsiasi forma di comprensione, Phoenix si fa voler bene per creare ancora più repulsione col suo delirante epilogo.
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Rapporto con Batman
"Tu completi me". Mosso da un impeto viscerale, il Joker di Heath Ledger mette Batman con le spalle al muro, sputandogli in faccia la pura verità: lui e Batman sono due lati della stessa medaglia, anime inquiete e complementari, opposti attratti l'uno dell'altro. Christopher Nolan ha fatto tesoro di questo storico rapporto di dipendenza malsano tra il Pagliaccio e l'Uomo Pipistrello, e lo ha riversato in una delle sequenze più emblematiche e significative de Il Cavaliere Oscuro. Il suo Joker prova a irretire Batman facendo leva sul suo senso di colpa, sul suo mal riposto senso di superiorità, sulla sua devozione nei confronti di Gotham. Questo Joker è lo specchio deforme in cui Batman rischia di trovare persino punti in comune col suo più acerrimo nemico. Un confronto a cui Todd Phillips rinuncia sul nascere, ambientando la storia in un periodo in cui Bruce Wayne è ancora un bambino. Eppure, in Joker non manca quel senso di rivalsa e malessere riversato in tutto quello che la famiglia Wayne rappresenta. L'unico contatto tra Fleck e Bruce è un gioco di prestigio e un sorriso disegnato dalle mani di Arthur sul volto del bambino. Quasi un presagio di quel che sarà: ovvero l'inizio di una relazione tra due persone che, forse, condividono persino lo stesso padre.
Rapporto con Gotham City
Chi pensa che il Cavaliere Oscuro sia l'unico protagonista delle storie di Batman ha capito poco e niente di Batman. Perché c'è un'altra grande protagonista onnipresente in ogni suo racconto: Gotham City. La città dall'anima perduta, la città disgraziata, la città impossibile da detestare anche quando fa davvero schifo. Sempre e comunque. Tra lei e l'Uomo Pipistrello c'è un rapporto di dipendenza, di puro odio e amore, un legame inscindibile nel quale il Joker ama insinuarsi spesso e volentieri. Ne Il Cavaliere Oscuro i cittadini di Gotham City non soltanto una platea destinata a essere terrorizzata dai messaggi televisivi del Pagliaccio, ma sono usati come cartina al tornasole per dimostrare a Batman la natura miserabile ed egoistica dell'essere umano. Nella bellissima sequenza con le navi, il Joker mette in scena un vero e proprio esperimenti sociologico in cui pone tutti contro tutti, dimostrando che dinanzi alla prospettiva della sopravvivenza nessun abitante di Gotham avrebbe remore a sporcarsi le mani di sangue.
Nel film di Phillips, invece, le cose vanno molto diversamente. In Joker succede che la gente di Gotham prima respinge Arthur Fleck e poi lo esalta soltanto una volta che si è trasformato nel criminale che tutti conosciamo. Puro antieroe inconsapevole, Joker viene eletto paladino esemplare di una città priva di empatia, arrabbiata con i ricchi e i potenti da cui non si sentono più rappresentati. E in quanto antieroe, questo Joker possiede tutti gli elementi iconici di una perfetta nemesi: la maschera, il simbolo, i mass media che parlano della sua ambigua figura. Anche in assenza di Batman, Joker si muove come Batman. Figura idolatrata da una città folle come lui.
Sai come mi sono fatto queste cicatrici?
Se Joker potesse essere un segno di punteggiatura sarebbe un punto interrogativo. Uno bello grande. Perché niente sconvolge meglio di una domanda senza risposta. Una sfumatura caratteriale sadica e compiaciuta che Nolan ha evidenziato a meraviglia con l'origine misteriosa delle sue cicatrici, alle quali sono associate storie sempre diverse e discordanti. Perché l'impossibilità di tracciare la vera storia di Joker è l'essenza del suo fascino perverso. Come insegnato da quel magistrale fumetto di The Killing Joke. Dando per buona questa teoria, soltanto l'idea di raccontare le origini del Joker sarebbe folle e blasfemo. Todd Phillips alla blasfemia ci va vicino, perché ci racconta la sua quotidianità nei minimi dettagli, ma per fortuna ci lascia con un dilemma irrisolto sul suo retaggio familiare. Una scelta saggia che mantiene intatto quel sorriso a forma di punto interrogativo.