Il mondo di oggi su basa sul successo a qualunque costo. Esso è fautore del consenso e della popolarità, misure sempre più imprescindibili per l'autovalutazione perché date da una società che si fa garante dell'impossibile promessa che: "sì, potrai avere successo". Non importa chi sei e in che modo. Qualsiasi tipo di successo è legittimo, anche quello distorto e violento, che azzera l'umanità. Un successo che sa di fallimento, quello che racconta Todd Phillips in Joker e Joker: Folie à Deux.
Nel primo caso l'onda identificativa di questo successo veniva cavalcata quasi in modo preoccupante, mostrando la creazione di un'icona dai risvolti minacciosi soprattutto per la sua capacità di riuscire a parlare a tutti, trasformandoli in folle inneggianti e pronte all'emulazione. Una pellicola straordinaria nella chirurgia con la quale ha pensato di mettere in scena il suo incubo, giustificandone l'appetibilità grazie al contrasto con un immaginario che si era arreso al fallimento del sogno americano: Joaquin Phoenix che uccide Robert De Niro, protagonista di Re per una notte e Taxi Driver.
L'elogio di un successo distorto e persecutore. Una grande opera a cui Phillips, prima "vittima", non ha potuto sottrarsi di rimettere mano e, per farlo, ha deciso, coerentemente, di concentrarsi sul fallimento insito all'interno di essa, utilizzandolo per scavare fino a rivelarne il suo vero volto. Joker: Folie a Deux non poteva vivere senza Joker, ma ora non è possibile più neanche il contrario.
Joker: un film perfetto per un successo "sbagliato"
L'idea (evidentemente geniale) alla base del Joker del 2019 fu quella di inseguire il successo raccontando un film sulla scalata alla fama, che raggiungeva nel suo culmine una catarsi legittimata da una società in cui alle vessazioni è giusto rispondere con la violenza. Un messaggio sbagliato per un mondo sbagliato da una persona sbagliata e quindi, ovviamente, giusta. La vendita della sovversione a buon mercato, a costo di svuotarla del suo senso primordiale, uno scimmiottamento di ciò che ha raccontato il fallimento in modo da invertine il senso e poi ucciderlo.
Todd Phillips legittima l'antieroe come l'unico supereroe possibile in una realtà come la nostra e lo rende protagonista di un anticinecomic. Una lettura perfetta dell'obiettivo da raggiungere per un film abbastanza cinico da raggiungerlo. Come? Compiendola, questa scalata, senza fermarsi ad analizzarla. In questo senso il titolo è molto attento a non ampliare il dialogo, ad andare dritto, orientato alla meta. Nessun contradditorio, nessuna messa in crisi, quello che fa Arthur è sempre giustificato così come il successo che ottiene la pellicola, proclamato a furor di popolo. Percorso netto. La nascita di un fenomeno. Perfetto. Sparo. Sipario.
Non c'era probabilmente bisogno di altro. Non c'era bisogno di un sequel che dovesse spingersi oltre ed aggiungere alcunché ad un'operazione tra le più pulite e vincenti della Storia recente del cinema. Eppure, per gli stessi motivi per cui ha raggiunto il successo, non poteva neanche esimersi dall'onere. La sfida di Joker: Folie à Deux era estremamente più difficile, perché nata dalla consapevolezza di non esistere senza Joker. E allora che fare? Provare a viverci dentro, diventandone il cuore, così che neanche Joker potesse vivere senza Joker: Folie à Deux.
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Joker: Folie à Deux e il racconto del fallimento
Joker: Folie à Deux è una trappola perché, semplicemente, non esiste se non nella misura in cui rimanda al suo prequel. Solo insieme i due acquistano di senso, dando vita a quella follia psicotica nella quale può prendere corpo il successo che raccontano. I due sono interconnessi, come ci dice lo splendido corto animato che apre il sequel, fino a quando questa follia rimarrà condivisa, continuando a pensare di potersi nutrire di essa e di coloro che in essa dicono di rispecchiarsi, magari guardando il film tv dedicatogli, o di chi, continuando a replicarne i gesti scimmiotteschi, alimenta l'idea che il musical possa essere realtà (e chi meglio di Lady Gaga).
Phillips ci parla della sua grande illusione con le stesse parole del primo film, ma stavolta le usa per interrogarsi sulla sua natura malsana, facendoci sentire sue complici come spettatori e innamorati. Nel farlo il regista compie un'operazione quasi crudele, decidendo non solo di concentrarsi sull'elefante nella stanza, ma di esporlo in bella vista, mettendolo sul banco degli imputati, e lo destruttura con un'operazione antifarsesca. Un modo per continuare a vivere di esso (200 milioni di budget), ma da una posizione inedita e che vuole, volutamente, essere controproducente. Il palco non è un'aula di tribunale, così come Arkham non è un hotel dove alloggiare tra una tappa e l'altra di un tour. Eppure il successo lì ha condotto Arthur e, metaforicamente, anche Phillips.
La presa di coscienza di questo distinguo rompe l'idillio e Joker: Folie à Deux non ha più senso di esistere come, arrivati a questo punto, non ha più senso di esistere neanche Joker. A meno che uno dei due muoia. L'ultimo scherzo di Phillips, che così corona il suo dittico ed eleva la sua opera, rendendola quasi "post neo hollywoodiana" (che è stato il cinema del fallimento statunitense). L'icona, fino a quel momento legittimata, viene rivista semplicemente mostrandone il vero volto. Un'icona / ombra, che ti anima, ti illude e poi ti lascia da solo per essere picchiato a morte dai celerini o peggio. Se il successo è stato accolto con il successo, allora come sarà accolto il fallimento? Forse solo con il fallimento. Sarebbe anche giusto. Alla giuria (del presente e del futuro) l'ardua sentenza.