C'è un qualcosa che rimanda al piccolo mondo di Giovannino Guareschi e del suo Don Camillo in Johnny - Una nuova vita. Quel senso di comunità, di un "pretino" di paese che senza affondare troppo nella propria fede, si ancora agli insegnamenti della carità e dell'altruismo per dare una mano agli altri, sostenendo anche chi si è ritrovato a camminare lungo i margini, rischiando di cadere nel baratro del crimine.
Come sottolineeremo in questa recensione di Johnny - Una nuova vita, il film diretto da Daniel Jaroszek e disponibile su Netflix si tramuta in un racconto di umanità, affondando la propria straordinarietà in una biografia che rende tutto ancora più speciale. Incredibile, eppure reale, la storia del prete Jan Kaczkowski e dell'ex criminale Patryk si eleva a saggio di amicizia corredato da una regia dinamica e una fotografia parlante. Ciononostante, è nel momento in cui il legame tra i due protagonisti si fa sempre più profondo, e i contrasti si limano, che il film perde di compattezza, lasciando che i grumi di una sempre più insostenibile dolcezza e bontà giungano in superficie ricoprendo l'opera di una melensa retorica che stucca e appesantisce, come un dolce troppo zuccherato e poco bilanciato.
Johnny - Una nuova vita: la trama
Vincitore del premio del pubblico al recente Gdynia Film Festival, Johnny - Una nuova vita trae la propria linfa vitale dalla storia del giovane prete malato terminale di cancro al cervello, Jan Kaczkowski. Un sacerdote fuori dagli schemi, pronto a stare vicino a chi passa la propria vita a essere allontanato dagli altri proprio come l'ex criminale Patryk a cui Jan darà una seconda possibilità.
Credere negli esseri umani
È una galleria di ritratti umani quelli di Johnny - Una nuova vita. Quella di Jaroszek è una regia che vive appigliandosi alle estreme sfaccettature che un volto umano riesce a esprimere. Volti come quelli di Dawid Ogrodnik (Jan) e Piotr Trojan, tele bianche da riempire con performance giocate in sottrazione, o con improvvise esplosioni di rabbia e gioia, attraverso cui dare tridimensionalità a psicologie solo abbozzate in sceneggiatura. Ciò che ne consegue è un gioco costante tra il disvelamento di emozioni profondi e un occultamento di sentimenti impossibili da rivelare, perché bloccati dalla frontiera di un orgoglio chiamato a disciogliersi come neve al sole. E quella che sfiora la pelle dei suoi protagonisti è una luce calda, a tratti divina, che avvolge per colorare di sfumature rossastre e dorate il mondo attorno a un personaggio come Jan. Umile, ma testardo, devoto ma mai mentalmente ottuso, questo prete dall'animo moderno viene presentato agli occhi degli spettatori come un essere speciale, unico, quasi santo. I suoi movimenti vengono dilatati da ralenti e sottolineati da riprese strettissime, le stesse che lo isolano in primissimi piani sfumati di una luce abbagliante. Una condizione esistenziale, quella del sacerdote, del tutto opposta a quella di un criminale, spacciatore e ladro come Patryk. Due vite agli antipodi, due universi che corrono su binari paralleli, affiancate da riprese dinamiche, camera-car e inquadrature angolate raccordate da un montaggio adesso sincopato, adesso dilungato con brevi piani sequenza dal forte impatto visivo. Sono due piccoli universi, i loro, destinati però a collimare con un braccio di ferro chiamato ad allentare la propria presa, per tramutarsi in una mano tesa che allontana i propri spettatori, riempiendoli di troppe, soffocanti carezze.
Il potere di una storia "veramente" reale
C'è una spina dorsale narrativamente prestabilita in Johnny - Una nuova vita: una base cementata di esperienze vissute e attimi storici di biografica natura da seguire filologicamente e attraverso cui colpire i propri spettatori. Jan è veramente esistito: il suo ospizio è stato veramente costruito; Patryk ha veramente attraversato quei corridoi e in quello spazio ha potuto rinascere sotto la stella della giustizia e della redenzione. È una galleria di inquadrature unite da questo avverbio che ritorna per reiterarsi nella mente dello spettatore: "veramente". Scorre nello spazio di questa visione un attaccamento a qualcosa che è esistito, che è storicamente accurato e lontano dalla mera invenzione cinematografica, e che cerca di investire la presa di visione del proprio pubblico, per semplificargli il complicato processo di immedesimazione. Solo perché è reale, cioè, dovrebbe risultare più facile per il pubblico del film di Jaroszek avvicinarsi sentimentalmente ai personaggi sullo schermo, alle loro lotte sociali e alle loro fragilità. Eppure, proprio perché avvolto da un'estrema edulcorazione, tutto in Johnny - Una nuova vita risulta paradossalmente finto, favolistico, irreale. Manca il climax di stampo drammatico, la caduta dell'eroe, o comunque la traduzione in termini filmici di un risvolto capace di sorprendere e destabilizzare il proprio pubblico.
La fede dei buoni sentimenti
Date le ottime premesse, Johnny - Una nuova vita sembrava offrire una storia commovente, sebbene filtrata da un linguaggio dinamico, innovativo, supportato da una regia elettrizzante e un montaggio dinamico. Poi tutto si appiattisce: l'abbraccio tra Jan e Patryk si fa pialla pronta a levigare una superficie senza più dislivelli, in cui tutto fluisce senza ostacoli, in maniera troppo semplice e priva di forti emozioni. Ogni passaggio si fa canale di risvolti preannunciati e prevedibili raccordati tra loro come tanti paragrafi di un racconto che punta alla solidarietà umana, all'aiuto reciproco e alle seconde occasioni, dimenticandosi dell'aspetto più cupo per risultare imperfetto e quindi umano. L'opera finisce così per scivolare ben presto lungo il corpo di uno spettatore pronto a cacciarselo di dosso, dimenticandolo senza dargli il tempo di insidiarsi tra gli spazi più profondi della sua epidermide e raggiungere così gli strati più irraggiungibili della propria anima.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Johnny - Una nuova vita sottolineando come il film polacco disponibile su Netflix parta con le migliori intenzioni, ancorandosi a una regia interessante e dinamica, per poi avvolgere la propria struttura di un sentimentalismo che ne appesantisce la visione e stucca l'assimilazione della storia narrata. Ogni riferimento alla veridicità degli eventi raccontati finisce pertanto per risultare forzato e irreale a causa di un buonismo mai celato, e un'edulcorazione eccessiva dei momenti più drammatici.
Perché ci piace
- La performance di Dawid Ogrodnik nei panni del prete Jan.
- La doppia fotografia, adesso calda, adesso fredda, in base agli eventi narrati.
- La regia dinamica e coinvolgente dei primi venti minuti.
Cosa non va
- Il melenso sentimentalismo che avvolge il racconto, appesantendone la visione da parte del pubblico.
- La durata: due ore che paiono il doppio.
- La mancanza di coraggio nel trattare con più cupezza i momenti di maggior drammaticità.