L'action movie occidentale, negli ultimi anni, sembra declinarsi sempre più in forme peculiari, ibride. Un film come questo John Wick, esordio alla regia dei due attori e stunt Chad Stahelski e David Leitch, è emblematico di certe linee di tendenza che attualmente caratterizzano il genere: un'ambientazione urbana, preferibilmente la Grande Mela (sempre più marcia e pericolosa, sempre più imprevedibile nelle minacce che riversa contro i suoi abitanti); un (anti)eroe stagionato, dal passato spesso oscuro e violento, esiliato in un ritiro autoimposto e dall'esistenza innaturalmente tranquilla; una minaccia rappresentata da bande criminali organizzate, preferibilmente provenienti dall'Europa dell'Est; il "risveglio"del guerriero dormiente nel protagonista in seguito a un torto subito, che ne fa una macchina per uccidere spietata e quasi invincibile.
Elementi che mescolano suggestioni diverse, che negli ultimi anni sono state spesso messe insieme in prodotti all'insegna della contaminazione: quella del noir, e del tormento interiore di personaggi perseguitati dai propri demoni; quella del revenge movie, della reazione violenta a un'offesa subita, o della presa su di sé, da parte del protagonista, del compito di giustiziere; quella dell'iperrealismo fumettistico, di matrice pulp, spesso derivato (in modo diretto o meno) dall'estetica delle graphic novel. Molti esempi di film di genere, negli ultimi anni, hanno visto presenti in misura diversa questi elementi: dalla serie di Io vi troverò con Liam Neeson (di cui è imminente l'uscita del terzo episodio) al The Equalizer - Il vendicatore di Antoine Fuqua, interpretato da Denzel Washington, passando per registi più raffinati come David Cronenberg, che in opere come A History of Violence e La promessa dell'assassino hanno piegato il filone alle proprie esigenze. Opere dalla riuscita diversa, ma in qualche modo delineanti una tendenza comune, di cui il nuovo film con Keanu Reeves è la più recente espressione.
La fantasia (cupa) al potere
Uno dei primi elementi che saltano all'occhio di John Wick è il suo iperrealismo, talmente spinto da travalicare anche le più classiche convenzioni del genere. Il protagonista e i suoi nemici sembrano muoversi in un universo fantastico, regolato da convenzioni proprie, dai contorni spesso grotteschi: un universo in cui un hotel viene destinato appositamente a killer e criminali, e in cui sparatorie e omicidi sono elementi previsti e regolamentati dalla direzione; in cui il protagonista, dopo aver fatto strage degli aggressori che avevano cercato di sorprenderlo in casa, chiama a ripulire il tutto degli specialisti, che caricano i cadaveri sul loro camion con l'efficienza (un po' annoiata) di chi fa un lavoro di routine; in cui un poliziotto, dopo essere entrato in casa del protagonista e aver appreso che vi è stato uno scontro a fuoco, si limita a constatare che John Wick è tornato in azione, e se ne va quasi scusandosi. Un universo, quindi, dai contorni fumettistici e pulp, che rende in un certo senso più facile la sospensione dell'incredulità quando si assiste alle mirabolanti imprese del protagonista. Da questo punto di vista (e diversamente da molti prodotti analoghi) il film di Stahelski e Leitch non bara: il suo carattere esplicitamente fantastico è dichiarato da subito, lo spettatore ne è messo a conoscenza ed è libero di aderirvi o meno.
I fantasmi di John
Il carattere fantastico del soggetto trova comunque un suo contrappeso nella descrizione (schematica, ma efficace) del personaggio interpretato da Reeves: di questo, attraverso i ricordi di una relazione prematuramente spezzata, la sceneggiatura mette in luce il temporaneo processo di redenzione. L'uso di brevissimi flashback, quasi squarci onirici a illuminare un passato che pareva aver sollevato il protagonista dal suo destino violento, si alterna alla rappresentazione, nella prima parte del film, di una solitudine su cui la messa in scena insiste esplicitamente; tradotta, quest'ultima, negli spaziosi interni di una casa vuota, illuminata da colori freddi, e nelle solitarie corse in auto con cui il personaggio di Wick cerca di zittire il dolore. Il trigger narrativo che innesca gli eventi è anch'esso piuttosto semplice: l'ingresso in casa dei malviventi e l'uccisione del cane regalato dalla compagna scomparsa, unico trait d'union dell'eroe col ricordo dell'amata (e con un'umanità da poco riscoperta). Reciso tale legame col passato recente, John Wick può tornare ad essere la macchina per uccidere che era stato: l'uomo nero per il mondo del crimine, il Baba Jaga temuto dalla maggior parte dei suoi colleghi. Una descrizione archetipica, quindi, legata alla derivazione noir del soggetto, esplicitamente mirata a facilitare l'identificazione dello spettatore con quello che resta un antieroe.
Una nuova fonte di storie
Il resto del film è una sfrontata, iperrealistica e piacevole cavalcata sulle ali di una violenza esibita e parossistica, con una messa in scena dinamica quanto basta, e un protagonista che unisce una buona resa nelle sequenze d'azione all'inevitabile monoespressività che il personaggio richiede. In mezzo, frammenti di topoi del genere, o meglio dei diversi generi a cui la sceneggiatura si rifà (la dark lady col volto di Adrianne Palicki, il tema del contrasto generazionale, che è contrasto tra diversi modi di gestire il potere, incarnato dai due diversi villain, rispettivamente Michael Nyqvist e Alfie Allen); in più, un comprimario come Willem Dafoe, che pare divertirsi quanto basta nel ruolo più ludico tra quelli da lui interpretati di recente. E, oltre a ciò, l'ipoteca, realistica dati i risultati al box office, su un possibile sequel: il naturale prestarsi del personaggio a nuove narrazioni, la sua natura archetipica, rende tutt'altro che improbabile l'inizio di un nuovo, prolifico franchise.
Movieplayer.it
3.0/5