I suoi film sono stati definiti provocatori, volgari, trasgressivi, addirittura pornografici, diventando in seguito dei cult: da quello che sarebbe diventato il manifesto del cinema trash come Pink Flamingos al più noto Grasso è bello. Nessuno all'epoca avrebbe mai scommesso su John Waters, maestro del cattivo gusto e re dell'eccesso come fu più volte etichettato, artista sprezzante delle regole che alla Festa del Cinema di Roma incontra il pubblico per raccontarsi e ripercorrere le tappe fondamentali della sua carriera. Gli anni trascorsi non hanno scalfito la sua irriverenza innata, si considera "lo stesso John Water di sempre" e non si pente di nulla, eccetto forse la scena di Pink Falmingos in cui un pollo viene ucciso e poi mangiato. Il trash oggi? "Trump, sembra che alla Casa Bianca sia entrato Jeff Koons senza un minimo di conoscenza della storia dell'arte. Ma lo sono anche i reality, lo è chiunque cerchi di essere volgare o violento senza umorismo".
Non ha mai negato l'intento provocatore delle storie che ha portato sullo schermo, l'idea è sempre stata quella di scioccare lo spettatore anticipando in qualche caso la realtà contemporanea: "Tutti i miei film sono stati definiti giustamente trash, pornografici e fuori contesto, ma sono film gioiosi e spesso ci vogliono un paio di generazioni perché questo emerga con evidenza. Non credo si tratti di anticipare la realtà, Trump ha talmente tanto rovinato il concetto di cattivo gusto che non è neanche più divertente riderne". E sulla pandemia mondiale John Waters dice: "Stiamo vivendo in un B movie dell'orrore; questo virus è al tempo stesso noioso e terrificante. Anche i miei film sono stati considerati come un virus, ma un virus felice". Se torneremo mai alla normalità? Probabilmente no, ma su una cosa non ha dubbi: "Sono felice di essere anziano, se fossi giovane e mi fosse successo tutto questo mi sarei infuriato parecchio".
Gli anni '70, Johnny Depp e Hollywood
Tra gli anni '70 e '80 Waters si fa promotore di un cinema super indipendente, spesso realizzato con budget risicatissimi e sforna una serie di titoli destinati a diventare di culto solo molti anni più tardi, quando pubblico e critica seppero coglierne finalmente la spinta sovversiva e l'originalità: "Il pubblico che inizialmente capì quei film era fatto soprattutto di persone arrabbiate, che non riuscivano a sentirsi parte delle stesse minoranze a cui appartenevano. Per dieci anni i critici li hanno stroncati, così grazie a un forte senso dell'umorismo abbiamo deciso di usare tutte le stroncature per la pubblicità dei film. Ci siamo presi molto in giro".
Non solo, negli anni '90 dopo aver conquistato anche Hollywood con il meno irriverente Grasso è bello, coinvolge un giovanissimo Johnny Depp in un film che fa il verso a Grease, Cry baby: "Depp all'epoca era un idolo delle ragazzine come Justin Bieber per le adolescenti di oggi, accettò di farlo perché prendeva in giro il genere per cui era amato. Fu il mio primo film hollywoodiano e ci divertimmo molto", racconta.
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Gli incontri fondamentali
I momenti cruciali del suo cammino artistico? Il primo fu quando l'Elgin Theater gli diede la possibilità di far vedere Pink Flamingos a New York in uno spettacolo di mezzanotte: "Vennero solo 40 persone, ci concessero un altro fine settimana e quando tornammo c'era la fila grazie al passaparola di chi lo aveva già visto". Ma la sua vita cambiò definitivamente quando il musical Hairspray vinse il Tony Awards, "venivano a vederlo persino le scuole".
Determinante agli inizi della sua carriera fu senza dubbio l'incontro con Harris Glenn Milstead, ovvero la Divine che sarebbe diventata la musa ispiratrice della maggior parte dei suoi film, fino alla tragica scomparsa nel 1988 per un arresto cardiaco: "Divine era un ragazzo che abitava nel mio quartiere, lo avevo conosciuto al liceo, non era un transgender, né voleva vestirsi da donna, tranne quando giravamo. Ho immaginato Divine per spaventare gli hippy e ha funzionato, era un ottimo attore".
Il rapporto con la critica e il desiderio di trasgressione
Nonostante la provocazione sia la cifra della sua arte, Waters non esita a definirsi "un regista impaurito. Girare un film fa sempre paura, non diverte affatto. Mi diverto quando bevo Martini, non quando sono un set". A non spaventarlo però è la critica: "Le recensioni? Le ho sempre lette tutte, sia le buone che le cattive, poi però bisogna metterle via e non guardarle più. Le cattive sono quelle che si ricordano di più, ma non mi hanno mai fermato". Come non hanno mai ostacolato la sua voglia di trasgredire le regole, quelle stesse ricevute da una famiglia ultracattolica e benestante: "Se non avessi imparato le regole del buon gusto non avrei mai potuto creare una carriera basata sulla violazione del buon gusto stesso. I miei genitori erano inorriditi dai miei film, ma a me interessava far ridere e scioccare. L'umorismo è politico, se riesci a far ridere il tuo nemico, almeno si fermerà a darti ascolto. Il segreto è fare in modo che ogni generazione riscopra il tuo lavoro".