Una telefonata nel cuore della notte avverte Russ Skokie (Timothy Hutton) dell'uccisione del figlio Matt, veterano di guerra, in quello che apparentemente, dai primi sommari accertamenti, risulta essere un tentativo di rapina degenerato in tragedia nel quale è rimasta coinvolta anche la giovane nuora. La morte di Matt è come la prima pedina del domino che, cadendo, porta giù con sé un personaggio alla volta. Una reazione a catena inarrestabile nella quale nessuno è pienamente né vittima né colpevole. Un percorso personale e doloroso di presa di coscienza di ciò che si è e di chi si pensava di conoscere, ambientato nel ventre molle di un'America ben lontana dall'idilliaca auto-raffigurazione fatta di sorrisi brillanti ed opportunità elargite a tutti, bensì ricca di contraddizioni e realtà distanti pronte a scontrarsi.
Gruppo familiare in un interno
Questa prima stagione di American Crime si è mossa su due linee, non parallele, ma costantemente in contatto tra di loro. Da una parte John Ridley racconta il microcosmo rappresentato dalla famiglia Skokie, totalmente sfilacciata e disunita da anni di rancori e ripicche che si trova, suo malgrado, nuovamente riunita dall'improvvisa morta di uno dei suoi membri, l'apparentemente l'onesto e virtuoso Matt, che si scoprirà invece essere uno spacciatore dalla doppia vita, alla quale lo sceneggiatore Premio Oscar collega il macrocosmo costituito da tutti i personaggi coinvolti, come raggi nati dallo stesso centro, che, a loro volta, costituiscono i vari temi sociali affrontati nel corso della serie. Alla base della famiglia, due genitori separati e pieni di risentimento l'uno nei confronti dell'altra, interpretati dagli eccezionali Timothy Hutton e Felicity Huffman (già riconfermati per la seconda stagione), un uomo dal passato segnato dal gioco d'azzardo che gli ha fatto perdere credibilità e stima agli occhi di moglie e figli e una donna inaridita dalle fatiche e l'umiliazione di crescere due adolescenti da sola, piena di pregiudizi e trincerata dietro un razzismo usato come difesa nei confronti di un diverso che la spaventa.
John Ridley riesce a mostrarci, grazie alle sue indubbie doti da sceneggiatore, l'evoluzione di questi due esseri umani che, paradossalmente, grazie alla morte del figlio, intraprendono un percorso lento e faticoso di crescita e consapevolezza, che non li tramuta magicamente in persone migliori ma permette loro di guardarsi da fuori, con gli occhi dell'altro figlio, Mark, e di chi gli gravita attorno nei giorni più difficili, rendendosi conto degli errori commessi come genitori e liberi cittadini. Proprio la figura di Mark, figlio disilluso che non si aspetta più nulla da loro, permette, con la sua schiettezza, di scatenare le loro epifanie che portano a dei tentativi, spesso maldestri, di rimediare alle mancanze del passato e che li traghetteranno verso quel tragico epilogo che conclude circolarmente la serie, aperta con il riconoscimento del corpo senza vita di Matt e terminata con il riconoscimento di un altro cadavere.
God bless America
John Ridley, che oltre a firmare la sceneggiatura ha anche diretto il primo e l'ultimo episodio della serie, parte dalla morte del veterano Matt, deciso a servire il suo esercito dopo il fatidico 11 settembre, come pretesto per raccontare le molte contraddittorie sfaccettature dell'America di provincia che si estendono facilmente al resto del Paese e, visti i temi dal respiro universale, anche alla nostra realtà. Per farlo si serve di una serie di personaggi che rappresentano umanità disparate, accomunate da una tragicità e una predestinazione data dal contesto sociale nel quale sono nati o si muovono. Ognuno di loro rappresenta uno o più temi attorno ai quali prende vita American Crime. Partendo da Barb e Russ, i genitori di Matt (Grant Merritt), veicolo attraverso il quale descrivere il razzismo e la diffidenza nei confronti degli immigrati che raggiungono clandestinamente l'America e il potere dei media di veicolare messaggi, spesso distorti, per pura necessità di costruire una notizia, Ridley passa a fotografare il sistema giudiziario americano tramite le figure di Carter (Elvis Nolasco), tossico e presunto assassino di Matt, e Tony (Johnny Ortiz), giovane messicano educato secondo i principi cattolici che si ritrova in un riformatorio minorile per una bravata e nel quale entra timorato per uscirne poi affascinato dalle dinamiche delle gang. American Crime tocca poi anche i temi della religione, sviscerato attraverso la figura di Aliyah (Regina King), sorella di Carter convertita alla religione musulmana nella quale trova il sostegno per proseguire nella difesa del fratello ma anche l'ostracismo di una società che la vede come una potenziale terrorista, e dell'immigrazione, dove Hector (Richard Cabral), giovane messicano che decide di passare clandestinamente il confine per entrare negli Stati Uniti si ritrova schiacciato dai pregiudizi e finisce per sopravvivere grazie a furti e rapine.
La bravura di John Ridley sta nel costruire un compendio di personaggi forti, ben caratterizzati, con i quali lo spettatore entra in empatia nel corso della stagione, nonostante i loro innumerevoli limiti ed errori, riuscendo ad umanizzarli senza mai giudicarli per quell'insieme di mancanze che li contraddistinguono, cercando di mostrarci, con successo, un disegno più ampio nel quale riusciamo a provare compassione anche per personaggi dei quali non condividiamo scelte o azioni, perchè Ridley ci fa percepire come e perchè sono arrivati a quel determinato punto delle loro vite. American Crime ci parla di giustizia meccanica, divisioni di classe, di un razzismo cieco, del dramma dell'immigrazione, della sindrome da stress post traumatico dei militari e del facile accesso alle armi da fuoco con uno stile brutale e realistico, ancor più enfatizzato da un cast di attori che ha dato vita ad interpretazioni incredibili, capaci di suscitare contemporanee reazioni contrastanti nello spettatore, che, a sua volta, fa i conti con i suoi di limiti, grazie alla sceneggiatura che lentamente svela la verità, nascosta dietro un'iniziale velo di apparenza, quel presunto crimine d'odio del quale è rimasto vittima l'ex veterano dell'esercito americano.
Una serie antologica anomala per la ABC
Presentata in anteprima mondiale al Roma Fiction Fest 2015, American Crime, è una serie antologica che per temi e stile sembra essere distante anni luce dai prodotti televisivi targati ABC. Basterebbe pensare anche solo al recente Secrets & Lies, crime sempre di stampo antologico, dai contorni scialbi e passaggi da soap opera, andato in onda quasi in contemporanea sul medesimo canale per farsi un'idea della differenza sostanziale tra le due serie. Storica emittente della televisione americana, la ABC, ci ha abituato a prodotti rassicuranti e raramente così schietti e crudi, anche nella messinscena, come American Crime. Per intenderci, la ABC è il network che negli anni, dopo il debutto di Lost, ha fidelizzato gli spettatori con serie come Desperate Housewives - I segreti di Wisteria Lane, per certi versi altro ritratto perfetto dell'America ma dallo stile più "digeribile", e Grey's Anatomy, epopea medico/sentimentale dai risvolti spesso inverosimili nata dalla mente furbetta e catastrofica di Shonda Rhimes, o ancora con comedy come la storica Scrubs e la più recente Modern Family. Un canale di puro intrattenimento dunque nel quale American Crime sembra piacevolmente stridere per la varietà di temi scomodi trattati e mostrati senza filtri che ne addolciscano la visione.
Movieplayer.it
4.5/5