Pacato e imperscrutabile, James Caviezel, che il ruolo di Gesù ne La passione di Cristo ha reso famoso e indimenticabile a tutto il mondo, ha presentato in anteprima assoluta al RomaFictionFest 2010 The Prisoner, remake dell'omonima serie tv inglese del 1967, in onda su FX in Italia dal 22 luglio ogni giovedì alle 22:30. L'attore americano, che ci ha rivelato di avere origini svizzere e di sentirsi in qualche modo italiano "perché la Svizzera è il nord dell'Italia", ha partecipato alla proiezione dei primi due episodi della miniserie in 6 puntate che lo porta sul piccolo schermo per la prima volta nel ruolo da protagonista. Dopo la conferenza stampa, Jim Caviezel, portamento elegante da attivista religioso e abbronzatura invidiabile su cui spicca una croce diamantata al collo, ci ha concesso una lunga intervista in cui ci ha raccontato come avvenne il suo ingresso nel mondo del cinema, quando le sue più grandi passioni erano giocare a basket e fare imitazioni negli spogliatoi e il suo sogno era lavorare nel Vaticano. Dagli esordi a oggi, con una carriera che, con The Prisoner, ha attraversato tutti i generi possibili, dalla guerra all'azione, dal drammatico al romantico fino alla fantascienza, Caviezel ha sempre ponderato con calma ogni scelta e aspettato progetti a cui partecipare, qualora gli interessassero. Cattolico e felicemente sposato - "Se sono così calmo è merito di mia moglie", dice - l'attore statunitense ci ha regalato la sua visione della società attuale, una prigione, che ci ossessiona con la voglia di libertà, da cui solo la fede ci può salvare.
Signor Caviezel è vero che la sua famiglia ha origini svizzere? Jim Caviezel: Sì, mio padre era svizzero e parlava anche francese. Mio nonno era contadino (in realtà tutta la nostra famiglia si occupava di prodotti caseari) e, insieme ad altri parenti emigrarono negli Stati Uniti. Lì mio padre conobbe mia madre, irlandese.
Eppure per guadagnarsi la sua prima parte nel film Belli e dannati di Gus Van Sant lei ha finto di essere italiano. Ci racconta quell'episodio?
Prima di entrare nel mondo del cinema aveva progetti diversi? Quali? Jim Caviezel: Avevo 22 anni e mi sarebbe piaciuto diventare guardia svizzera e lavorare per il Vaticano. Avevo anche fatto domanda negli Stati Uniti, ma mi dissero che prima dovevo diventare cittadino italiano e che poi avrei dovuto prestare per almeno due anni servizio militare. E' stato allora che ho deciso di fare cinema.
Com'è passato dal sogno giovanile del basket a quello del cinema? Jim Caviezel: Il basket era per me un modo per evadere! Ho sempre amato il divertimento, stare di fronte a migliaia di persone, avere la palla a fine partita e segnare all'ultimo minuto portando la propria squadra in vantaggio. Ho iniziato a recitare negli intervalli delle partite: per tirar su i miei compagni quando perdevamo, li imitavo. Mentre aspettavamo che il coach tecnico ci indicasse la strategia da seguire al tempo successivo, mi rilassavo prendendo in giro anche l'allenatore. Un giorno mi sono fatto male a un piede, mi sono dovuto operare e il coach mi ha detto: Se ti piace tanto recitare, perché non ti dai alla recitazione? E' stato solo in quel momento che ho capito che lui sapeva che io lo imitavo!
Crede che ci sia una relazione tra il basket, lo sport e il cinema? Jim Caviezel: Sì, il cinema è come il basket perché sono entrambi giochi di squadra. La squadra migliore vince sempre e non è necessariamente composta dagli atleti migliori. Allo stesso modo nel cinema è importante avere una buona squadra: non tutti possono essere il protagonista, ma validi attori portano un film a buoni risultati.
Ci sono colleghi, con cui ha lavorato finora, che l'hanno colpita sul set? Jim Caviezel: Ho lavorato con persone di grande talento e in cui ho trovato qualcosa di interessante da osservare. Sicuramente l'etica professionale è importante, ma è solo un aspetto: c'è qualcosa in più che fa distinguere le persone... e non è solamente il talento.
Cosa rappresenta per lei l'esperienza di The prisoner?
Quali sono i temi caldi di questa serie? Jim Caviezel: In The Prisoner si affronta il potere delle multinazionali, si racconta come attraverso il solo numero della nostra previdenza sociale ci possano controllare...
Cosa pensava del progetto quando gliel'hanno proposto? Jim Caviezel: La serie è un'opportunità rara perché la sua storia è ben scritta e ben girata, tra l'altro in 35 mm, una cosa non molto frequente. In televisione si vede tanta di quella "robaccia", storie che non sono buone e squadre che si dimostrano pessime. Poi ci sono eccezioni come Mad Men... Quando ti vengono offerte possibilità di questo tipo, li devi accettare.
Come sceglie i progetti a cui partecipa? Jim Caviezel: Ogni cinque anni, più o meno, m'imbatto in un progetto e mi ritengo fortunato. Devo anche dire che però io sono uno che sa aspettare, per esempio ricordo che quando mi proposero un ruolo per La sottile linea rossa avevo rifiutato altri progetti poco prima.
Lei è un fervente cattolico, fino a che punto la fede condiziona la vita delle persone?
Ne La passione di Cristo Gesù dice a Pietro che è la sua roccia e che costruirà la sua chiesa su quella roccia. Ma qual è quella chiesa? Io credo che il magistero della chiesa sia qualcosa di infallibile. Chi siamo poi per contestare o negare i suoi insegnamenti? Ci sono scelte che portano a cose negative, ad esempio Enrico VIII, Caligola, Stalin, Lenin e tanti altri si sono costruiti le loro chiese personali, che hanno portato al caos.
Io credo che sia necessario porsi queste domande sulla scelta. In una società come la nostra noi vogliamo la libertà, ma dobbiamo riflettere sul senso comune, sul buonsenso piuttosto che pensare all'obbedienza come a una parola obsoleta.
In futuro i suoi fan dovrebbero sospettare che la televisione la rubi al cinema? Jim Caviezel: No, dipende da cosa mi proporranno. Al momento ci sono quattro progetti a cui potrei lavorare, ma è ancora presto per parlarne.