The crimes that we show are so rare. It's not something that you walk into the street and think, "the same thing's going to happen to me".
C'è qualcosa di paradossale nella vicenda dell'omicidio di Jill Dando. Un colpo di coda del destino, un'ironia dolorosa di un'esistenza volta a dare voce alle vittime, a sedersi nel salotto dei telespettatori per informarli di crimini e ingiustizie, per poi ritrovarsi lei stessa al centro del mirino, nel pieno della storia. È la vita che si mescola alla sostanza del tubo cardiaco; l'immagine in movimento che si fa esistenza; i pixel dello schermo che diventano cellule di un corpo esanime, di una vita spezzata, di una presentatrice che non ha potuto dare l'ultimo saluto alla vita.
Come sottolineeremo in questa recensione di Jill Dando: un mistero irrisolto la docu-serie Netflix in tre episodi tenta di riportare l'attenzione su un caso che ha lasciato attonito l'intero Regno Unito, e che dopo quasi 24 anni ancora non ha saputo trovare una soluzione al suo estenuante e doloroso enigma. Espandendo al di là dei confini nazionali la portata di un omicidio ancora avvolto dal mistero, Emma Cooper e Marcus Plowright non smettono di sottolineare l'assurdità di una morte così improvvisa e del tutto poco annunciata, ammantando di una coltre di infinite domande, e poche risposte, il proprio documentario.
Jill Dando: un mistero irrisolto - la trama
Pare una mattina come tante altre quella del 26 aprile 1999, quando una notizia lascia a bocca aperta un'intera nazione: la famosa giornalista televisiva Jill Dando viene trovata morta di fronte alla sua casa di Fulmhan. Stando alle dichiarazioni della polizia, qualcuno le avrebbe sparato alla testa. Una domanda sorge immediatamente spontanea: chi mai può aver ucciso una figura così tanto amata, da essere paragonata addirittura per gentilezza, altruismo ed eleganza a Lady Diana? Quelle che seguiranno saranno indagini lunghe e copiose, tutte conclusesi, però, con un nulla di fatto. Perfino l'unico sospettato si rivelerà innocente. E così, dopo quasi 25 anni, il nome di Jill Dando chiede ancora giustizia.
Crimine che imita l'arta
Sebbene il nome della presentatrice non dica molto al di fuori del Regno Unito, tra i salotti inglesi Jill Dando era un'istituzione, un sorriso affabile e uno sguardo confortante. Eppure Jill era anche il volto del mistero, del crimine, dei casi irrisolti e delle vittime da rivendicare. Il fato a volte è davvero beffardo, allora ecco che in un momento storico in cui l'Inghilterra si sentiva ancora orfana di Lady Diana, un'altra donna, un'altra figura materna, viene loro sottratta così violentemente, così improvvisamente. Come i casi che trattava Jill nel suo programma "Crimewatch", quella mano che ha premuto il fatidico grilletto non è stata individuata; rimane la parte finale di un corpo anonimo, che viaggia indiscreto e libero tra le vie cittadine di chissà quale paese.
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Cronaca di una morte non annunciata
Nell'arco di tre episodi i registi di Jill Dando: un mistero irrisolto chiedono, ascoltano, danno la parola ad amici e professionisti del settore, ma nel volto di ognuno ecco farsi largo una sola sensazione, quella dell'arrendevole frustrazione.
Le parole degli intervistati si fanno passi all'indietro di percorsi battuti, cammini intrapresi e poi abbandonati, piste fuorvianti e altre del tutto errate. Ma sono i ricordi di un uomo a destare particolare scalpore, a rendere ancora più assurda e irreale una storia che pare fuoriuscire dalle pagine di una sceneggiatura di CSI. Sono quelle che delineano le linee seguite dal terzo episodio e che portano all'incarcerazione, e al seguente rilascio, di Berry George, un uomo particolare, certo, ma che si trovava - forse - nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Alla ricerca di un colpevole a tutti i costi, Berry viene scelto come capro espiatorio con una manciata di indizi e un paio di prove circostanziali. Che sia stato veramente lui a premere il grilletto non è dato saperlo, ma una cosa è certa: per l'omicidio di Jill Dando l'uomo ha passato otto anni in carcere, uscendovi solo grazie a una revisione del processo e delle prove che lo avevano precedentemente incastrato.
È un'analisi approfondita quella che viene compiuta in questo episodio conclusivo, forte di un plot-twist angosciante e di un'ingiustizia alla seconda per un carnefice poi destituito al ruolo di ulteriore vittima. Per quanto attento a seguire un epilogo che non si rivelerà tale, ciò che aleggia nel terzo e ultimo episodio, è il bisogno incessante da parte di Scotland Yard di rispondere alle attese del pubblico e dare a tutti i costi un volto e un nome all'omicida di Jill. Minuto dopo minuto, seguiamo le indagini, ci perdiamo tra le insidie di ipotesi e teorie, prove schiaccianti e rivelazioni sorprendenti; eppure, i registi non paiono soffermarsi mai sugli errori compiuti dagli inquirenti, sui loro ritardi nei controlli, sulle proprie mancanze e continue lacune di indagine. A visione ultimata, ecco farsi spazio, inoltre, un senso di profondo disequilibrio per un racconto che pone maggiore attenzione su certi aspetti del caso, tralasciandone altre, fino a reiterare inconsciamente paradigmi ed errori compiuti durante le indagini dai vari detective.
Attenzioni sproporzionate per misteri eterni
Quella minuziosa attenzione destinata a un caso nel caso come quello di Berry, non solo distoglie l'attenzione al fulcro stesso dell'opera (sebbene la sua assurda gestione da parte degli inquirenti meriterebbe un documentario a parte) ma pare rivelarsi un'eccezione alla regola, dato che non si ritrova in egual misura negli aspetti trattati nelle puntate precedenti. In quaranta minuti per episodio tutto viene mostrato velocemente, fornendo ai propri spettatori porzioni nozionistiche non sempre egualitarie, che vanno a soffermarsi su eventi, o tematiche, altrimenti sacrificabili (si pensi all'ipotesi serba), per poi tralasciare aspetti molto più interessanti come la misoginia all'interno dell'ambiente lavorativo di Jill, i rapporti intrattenuti dalla donna con i colleghi, e le chiamate angoscianti ricevute nel corso della messa in onda del programma "Crimewatch". Lo stesso affidamento alle ricostruzioni in studio, per quanto limitate, risultano comunque invadenti e inutili, soprattutto a fronte di un caso come quello di Jill, giornalista e reporter che vantava al proprio attivo numerosi video e articoli di repertorio che la traevano protagonista. Poco incisivo risulta anche il reparto di montaggio, il quale finisce per giocare su un ritmo alquanto lineare ed elementare, senza incalzare una dinamicità disattesa e dei risvolti che tardano ad arrivare.
Bruciare il fuoco del ricordo
Non vi è alcun anniversario, o nuovo indizio pronto a rimettere all'attivo un'indagine che pare sospesa in un limbo eterno a giustificare il rilascio del documentario di Emma Cooper e Marcus Plowright; ciononostante, qualcosa in Jill Dando: un mistero irrisolto pare nascondersi nei meandri dei propri raccordi, sfruttando quella curiosità latente di spettatori istintivamente attratti dai casi impossibili e con protagoniste icone televisive come quella di Jill Dando. È probabile che dietro a tale produzione vi sia la speranza che, sfruttando la potenza di un rilascio su scala mondiale come quello di Netflix, possa rigenerarsi un interesse mediatico tale da innescare nuove ipotesi e nuove aggiunte al caso; o semplicemente, vi è il desiderio di mantenere viva quella fiamma del ricordo che anno dopo anno rischia di indebolirsi, soprattutto in un mondo come quello contemporaneo dove tutto corre veloce, e la soglia dell'attenzione si riduce sempre più, morendo alla velocità di un canale cambiato, o di una televisione spenta.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Jill Dando: un mistero irrisolto sottolineando come la docu-serie in tre episodi disponibili su Netflix tenti di recuperare i momenti salienti di un caso di cronaca ancora così doloroso per la società inglese, senza però immergere del tutto lo spettatore al centro della storia. Ponendo maggior attenzione a temi, o eventi, alquanto sacrificabili, i registi tralasciano aspetti molto più interessanti di una storia così irreale da sembrare uscita da una puntata di CSI. Peccato, perché il materiale di partenza era interessante, ma non sfruttato completamente, rimanendo sospeso come le indagini sull'omicidio di Jill Dando.
Perché ci piace
- La portata assurda dell'evento narrato.
- Il desiderio di far conoscere tale crimine al di fuori dei confini inglesi nella speranza di destare nuovi aggiornamenti e curiosità.
- Il numero di episodi conformi alla storia raccontata.
Cosa non va
- Il montaggio risulta fiacco e lineare, non riuscendo a destare scalpore nello spettatore.
- L'attenzione spasmodica per dati argomenti a discapito di altri molto più interessanti.
- Non aver posta troppa attenzione agli errori compiuti dai detective.
- Il non aver offerto un quadro completo e generale su chi Jill Dando fosse.