Dirigersi? Non ci pensa proprio, meglio farlo con gli altri. Certo, non le dispiacerebbe la regia di una serie. Jasmine Trinca ne è convinta mentre ci racconta il suo esordio alla regia Marcel! ormai a distanza di un anno dall'uscita in sala e dalla presentazione al Festival Di Cannes. Il film di recente è stato in concorso anche al Bellaria Film Festival, diventato l'occasione per ripercorrere alcuni temi che le stanno a cuore, i suoi primi passi da attrice con Moretti ne La stanza del figlio, fino alle prossime sfide che la vedranno impegnata nella serie La storia di Francesca Archibugi e Supersex di Matteo Rovere.
L'esordio alla regia: l'occasione per un nuovo sguardo su se stessa
A quasi un anno di distanza dal tuo debutto alla regia sei qui per accompagnarlo in concorso, mentre Nanni Moretti con cui hai iniziato è in sala con Il sol dell'avvenire, un compendio di tutto il suo cinema e dove ti abbiamo vista nella famosa parata finale. Un segno?
È passato un anno, ma questo film continua a portarsi dietro l'entusiasmo delle prime volte che da attrice forse avevo un po' smarrito. Ricordo ancora il primo set con Nanni Moretti a 18 anni, un set molto speciale mentre facevo la maturità. Con lui ho fatto un pezzo della mia crescita e ho avuto una sorta di imprinting rispetto a cosa fosse il cinema e come lui lo vedesse. Ho iniziato a fare l'attrice per caso proprio con Nanni, la mia formazione non aveva nulla a che fare con il cinema, ma da qualche parte mi è rimasto dentro tutto quello che avevo assorbito su quel set. Non ci siamo visti per un periodo lungo, ma quest'anno mi ha invitato con Marcel! alla rassegna "Bimbi belli", che fa al Nuovo Sacher. Tornarci da regista è stato uno strano cortocircuito, anche se penso sempre che le cose abbiano un loro senso. Era come se con la parata finale de Il sol dell'avvenire, che è un po' il suo 8 ½ , volesse riconsiderare e riabbracciare un percorso comune.
Hai cominciato a fare l'attrice per caso, invece il tuo esordio da regista ha avuto una gestazione diversa, voluta, pensata. Da dove è arrivata l'urgenza di fare un tuo film?
Alle attrici succede spesso dopo un po' di tempo di costruire la propria identità su come si è percepite e restituite da qualcuno. Si tratta sempre dello sguardo di un'altra persona su di te e di come tu possa assorbire tutto questo; a un certo punto ho sentito che forse mi sarebbe piaciuto essere guardata in un altro modo. In questo senso l'incontro con Valeria Golino e il suo primo film, Miele, è stata un'esperienza eccezionale, per la sua capacità di aver saputo restituire una parte di me con cui neanche io ero mai entrata in contatto, ma soprattutto per il modo in cui da regista-attrice riusciva a parlare ad un'attrice. Lavorare con Valeria è stato il massimo incontro di libertà e di affidamento; ci sono stati anche registi con cui ho fatto un lavoro non esattamente naturale per me: sono stata spesso forzata su delle cose, anche se uscire dalla mia comfort zone in questo caso si è rivelato utile, perché il risultato è stato più interessante di quello che probabilmente avrei potuto portare da sola.
A proposito della ricomposizione dello sguardo su te stessa, cosa non ti è mai piaciuto nello sguardo degli altri su di te?
Complessivamente mi è andata benissimo, ho avuto sin da subito la fortuna di mettermi sulle spalle dei ruoli femminili che, per essere in Italia, avevano una loro forma di stranezza e di potenza. Ma tra l'esordio e questo momento, in cui affronto i vari ruoli con una maggiore consapevolezza, ho avuto tutta una fase soprattutto in gioventù, durante la quale il racconto delle figure femminili era un altro, anche se ne sono sempre stata entusiasta. Per esempio in Romanzo criminale ero sostanzialmente la pupa del boss, mentre adesso vorrei fare il boss. È una di quelle cose per cui ricevo ancora un sacco di calore da parte del pubblico, in particolare da quello più giovane e non solo in Italia, in Francia sono molto conosciuta per Romanzo criminale. Oggi per fortuna nella scrittura dei personaggi femminili qualcosa è cambiato.
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L'epica degli ultimi, il ruolo di regista-attrice e la questione femminile
Quindi che tipo di personaggio ti piacerebbe interpretare adesso?
È complesso rispondere. Ad esempio da poco ho interpretato un personaggio abbastanza lontano dalle mie corde, è una donna piuttosto dimessa. È la protagonista de La storia, la serie di Francesca Archibugi basata sul romanzo di Elsa Morante, il mio romanzo del cuore. Adesso che posso farlo mi piace poter dare voce a quelle figure femminili che probabilmente ai nostri occhi non sarebbero mai donne indimenticabili, mi interessa invece rendere tutte queste "disgraziate", me compresa, delle eroine.
E cosa hai portato della tua esperienza di attrice-regista in questo ruolo?
La protagonista Ida è una donna che nella vita tende a nascondersi, è un personaggio molto contenuto e ho provato a rendere il suo racconto un po' epico, a fare un po' un'epica degli ultimi. L'altra sfida è stata dare un volto e un nome a quelli che la guerra la subiscono. È diverso dall'immagine che ogni giorno assumiamo dai telegiornali.
Il Bellaria Film Festival è un festival di cinema indipendente, ma da attrice conosci bene l'industria mainstream, hai frequentato set internazionali e lavorato con grandi registi. Come si conciliano queste due anime, quella d'autore e quella di attrice di grande fama?
Con la schizofrenia! (scherza). Un esordio alla regia è sempre una cosa personale, non necessariamente autobiografica, anzi oggi ti direi che forse andare troppo in quella direzione è controproducente, perché hai a che fare con materiale personale difficile da restituire. È un'esigenza personale, indipendentemente dallo stile e dal tipo di linguaggio, non mi vedevo proprio a fare un film d'azione, ma avendone fatto uno posso dire di essermi molto divertita. Certo, sono un po' degli UFO per me, però se riuscissi un po' a scansarmi da questa sorta di "cinema corrucciato" mi farebbe molto piacere.
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Ci hai restituito un'Alba Rohrwacher inedita, una figura da saltimbanco, una circense, molto diversa dai ruoli a cui il cinema ci ha abituati a vederla. Come ci sei riuscita?
Quando ero piccola mia madre frequentava il Living Theater, ai miei occhi erano tutti strambi... invece oggi l'arte di strada è stata un modo per raccontare una forma di espressione, di libertà, di fede, di religione rispetto all'espressione di sé. Poi ho messo insieme un po' di elementi, ad esempio il fatto che Alba durante le riprese de Il racconto dei racconti avesse preso delle lezioni di circo. È un'attrice estrema anche molto buffa, comica, pazza come me, completamente incastrata in quello che offre il cinema italiano, anche se a breve la vedrete in cose diverse. Un attore, a seconda di chi lo guarda, può trasformarsi nella cosa più potente o in quella più rassicurante del mondo. Da attrice questa possibilità mi divertiva, e poi non avevo intenzione di mettermi in scena: certo avrei fatto quella madre con una consapevolezza diversa, ma avrei portato altre cose. È impensabile per me fare un film da regista attrice.
Quest'anno ai David di Donatello le candidature alla miglior regia erano tutte maschili, invece nella categoria del miglior esordiente eravate tre registe su cinque.
Sono un po' estrema su questo. Nessuno può sindacare sul fatto che siano cinque grandi maestri, cinque grandi registi di una certa statura, di una certa età, con una determinata storia, ma al di là dei nomi in campo penso che ci raccontino sempre la stessa cosa: come esordienti c'erano tre donne ma quando ci daranno accesso alla competizione, alla prima categoria? Sembra una forma di benevolenza, una concessione; se andiamo a vedere le iscrizioni dei film ai festival, c'è una percentuale maschile preponderante. Quindi c'è qualcosa che non funziona, perché nelle scuole di cinema la presenza maschile e quella femminile praticamente si equivalgono, è divisa quasi a metà. E allora perché non si arriva poi a concorrere nelle categorie principali? Siamo sicuri che sia solo una questione di valore? In Italia siamo arrivati a un punto in cui inserire una quota femminile nel film consente alle produzioni di prendere un punteggio, ma funzionerà solo se si riempie di senso. Sono convinta che ci sia una trasformazione in atto, ma siamo l'ultimo dei paesi in cui questo succede. Rispetto a realtà come la Francia dove le donne che lavorano nel cinema sono tante, l'Italia è culturalmente molto indietro. Quello che possiamo fare ad esempio è lavorare proponendo uno sguardo femminile dalla scrittura alla regia. È importante restituire la complessità, e invece per troppo tempo siamo stati la semplificazione.