Bisogna sempre prestare molta attenzione agli esordi firmati dai drammaturghi statunitensi. L'attenzione sale se l'esordio in questione è per di più firmato da un Premio Pulitzer, ricevuto per l'opera The Flick, passata nell'Off Broadway nel 2014. Parliamo di Annie Baker, playwright nata a Boston (e il Massachusetts è focale nel film) e, come scrisse il New Yorker nel 2015, "tanto teatrale da sembrare il meno teatrale possibile". Paradigma in qualche modo ripreso nel suo debutto cinematografico, Janet Planet, presentato in anteprima al Telluride Film Festival e, poi, passato anche ad Alice nella Città 2024.
Prodotto tra gli altri da A24, Janet Planet è effettivamente continuo ad un pièce - è diviso in atti - ma intanto, come nello stile della Baker, si distacca in modo netto dagli spazzi pre-stabiliti di un palco, aprendosi (letteralmente) allo spazio invece geografico che ruota attorno alle due splendide protagoniste della storia. Storia di dettagli, di sospiri, di quell'estati lontane colorate di pastello, e intervallate da eventi minuscoli che, però, agli occhi di una bambina sembrano giganteschi.
Janet Planet: l'estate di come eravamo
La protagonista è Lacy (Zoe Ziegler, strepitosa), undici anni e un paio di occhiali grandi, che a sua madre Janet (Julianne Nicholson, altrettanto strepitosa) dice che "Ogni momento della mia vita è un inferno". Un pensiero estremizzato, ma comunque sintomatico di un'età incredibilmente difficile. Del resto, di infernale, nella vita di Lacy, c'è poco. A parte che non ha amici - "non ho capito il perché", dirà - e a parte le svariate amicizie di mamma Janet che, per volere della regista, dividono il film in tre grandi segmenti, incentrati su tre figure che compaiono nell'estate di Lacy. L'estate 1991.
Prima c'è Wayne (Will Patton), che vorrebbe passare l'estate da solo con Janet, almeno fino ad una terribile emicrania. Ecco poi Regina (Sophie Okonedo), vecchia amica della donna che, lasciando momentaneamente una comune (di teatranti, che sembrano però una setta), trova ospitalità da Janet. A chiudere il giro - prima di aprirne probabilmente altri - Avi (Elias Koteas), leader della comune che vorrebbe coinvolgere la "spiritualità" di Janet.
Alla ricerca di un posto nel mondo
Che Annie Baker conosca bene le inflessioni di quei territori appare fin da subito chiaro. Lo si capisce per la forte emotività filtrata dalla luce, che segue di sbieco la fotografia granulosa e nostalgica di Maria von Hausswolf. Lo si capisce poi dal punto d'osservazione della piccola e solitaria Lacy, che osserva causticamente i movimenti di Janet, affettuosa mamma che, come sua figlia, sta ancora provando a cercare un proprio posto nel mondo. E quale momento migliore per cercarlo, se non l'estate? Protagonista onnisciente, il confine di un film dalla forte delicatezza ma dal compimento, forse, sbilenco. Oppure, volutamente sbilenco.
Annie Baker con Janet Planet sembra quasi voler rintracciare certe sensazioni perdute, mettendolo in scena come si farebbe (guarda caso) a teatro, senza didascalismi ma, invece, puntando alla meraviglia di certi gesti, di certe parole, ben amalgamate in uno spazio mai rigoroso, ma anzi istintivo e vitale nel suo andamento sommesso e compassato (una sfida, in epoca che ragiona in fretta e in furia). Chiaro allora il palese talento di Annie Baker (e siamo quindi curiosi di capire come proseguirà la sua carriera), che si impone senza insolenza cinematografica in un'angolazione narrativa contemporanea che trova linfa vitale proprio nelle produzioni indipendenti, e non più in quelle grandi, ormai stordenti e fuori luogo.
E noi, come Lacy e come Janet, su un pianeta che orbita attorno ai ricordi e al tempo, ci ritroviamo riflessi nella dolce e sorniona estate di quel 1991, nel quale ogni nuova scoperta era la porta aperta verso un mondo sconosciuto, e bellissimo. Ma come ogni cosa bella, anche l'estate è destinata a finire, lasciandoci qualcosa di prezioso. Come una poesia, come una finestra senza tende. Sensazione fugace, parentesi precaria, e per questo essenziale. Proprio come Janet Planet di Annie Baker.
Conclusioni
Il senso estivo di un cinema di poesia, di dettagli, di particolari. Oltre l'essenza delle immagini, Annie Baker dimostra un certo spessore raccontando una storia volutamente (?) irrisolta di una madre e di sua figlia. Semplice e luminoso, il senso dell'estate prende corpo e voce nell'ennesima dimostrazione di quanto il cinema indipendente americano abbia ancora delle cose da dire.
Perché ci piace
- Julianne Nicholson e Zoe Ziegler, che brave.
- I colori.
- La risonanza poetica.
- Il senso dell'estate.
Cosa non va
- Il ritmo non proprio spigliato.
- A tratti irrisolto.