Quando nacque a Marion, in una fattoria dell'Indiana, nessuno poteva prevedere che James Dean sarebbe diventato chi è diventato: uno degli attori più brillanti della sua generazione, capace pur nella sua brevissima carriera, di assurgere a simbolo della sua generazione, un immortale della settima arte. La sua tragica scomparsa lo fece diventare mito, ma probabilmente già era destinato ad esserlo, e non solo per il suo straordinario talento ma per aver donato il suo spigoloso volto, le sue fattezze feline, a quel Jim Stark di Gioventù Bruciata, che ancora oggi è il simbolo di ribellione giovanile per eccellenza, al di là di mode, costumi e tempo.
Un film sul disfacimento della società americana
Gioventù bruciata ha la fama di essere un film maledetto. James Dean, Sal Mineo e Natalie Wood, i tre protagonisti del film di Nicholas Ray, morirono tutti e tre prematuramente, in circostanze drammatiche e mai del tutto chiarite. Ma più che un film maledetto, Gioventù Bruciata è un film di incredibile potenza, per come fu in grado di sottolineare le ipocrisie, la violenza e la cecità della società americana degli anni Cinquanta, uscita vittoriosa e dorata dalla Seconda Guerra Mondiale, con un ex generale come Presidente. Un'America che non riusciva a dare alle nuove generazioni una vera alternativa, un futuro che valesse qualcosa. Il film era collegato a "Ribelle senza causa: analisi di uno psicopatico criminale" dello Psichiatra Robert Lidner, libro incentrato sullo studio di un giovane detenuto. Ma la realtà è che fu solo un'ispirazione, una traccia, su cui Ray creò una magnifica immagine del disfacimento, della crisi di valori della società occidentale capitalista, della provincia bigotta e arricchita in una Los Angeles divisa in branchi, assediata da disperazione e solitudine. Già l'inizio era eloquente. Come protagonisti ci venivano presentato Jim Stark, arrestato per ubriachezza molesta, poi Judy, ragazza tormentata e con un rapporto terribile col padre, ed infine Plato, instabile ragazzo senza famiglia, che ha ucciso una cucciolata come niente. Sono tre "perdenti", tre ragazzi in preda a dolore, sconforto e traumi, che cercano come possono di esorcizzare ed aggredire la vita e la loro infelicità, la loro solitudine.
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Un film sull'incomunicabilità generazionale
Nicholas Ray, rivendicando un'autorialità preponderante rispetto alla retorica conformista hollywoodiana, crea quello che era tanto un film di formazione, quanto soprattutto uno sguardo spietato sull'incomunicabilità generazionale. Ma per tutta la durata del film, egli non smette mai di essere dalla parte di quei ragazzi, di mostrarci gli adulti come esseri deboli, fragili, materialisti, senza alcuna sensibilità ed incapaci di dialogare con la loro progenie, di andare oltre l'offrire loro macchine o vestiti. James Dean con il suo Jim Stark, ragazzo rabbioso, pieno di dolore e di acredine verso un padre debole ed una madre invasiva, creò in quel 1955 (pochi mesi prima della sua morte) l'archetipo del giovane ribelle disperato, rinchiuso dentro una gabbia dorata fatta di oggetti e silenzi.
Jim vuole ambientarsi in quella nuova città, cerca una sua dimensione ma rifiuta il modello di vita borghese e sterile dei suoi genitori, di Frank e Carol Stark, che paiono aver lasciato al mondo il compito di insegnargli qualcosa, hanno pensato bastasse mettergli nel piatto cibo e comprargli una macchina. Jim si sente senza ideali, ha solo illusioni, ha solo cose che odia e da cui vuole fuggire. Non vi è dialogo tra Jim ed i suoi genitori, solo un rabbioso scontro, quasi che parlassero lingue differenti, una distanza che solo il dramma, la morte di Plato, riescono a superare, a far affrontare da entrambe le parti. L'infanzia è un miraggio lontano per Jim e per i loro coetanei, sovente è un ricordo di un'epoca felice che non tornerà più come per Judy, che viene chiamata sgualdrina dal padre di cui cerca un'attenzione che non ha più. Non lo è invece per Plato, che non l'ha mai conosciuta una vera infanzia ed infatti vede in Jim quel padre che non ha mai avuto.
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La ribellione come atto di sopravvivenza esistenziale
Buzz, il bullo, perde la vita per un assurdo gioco di coraggio, quella Chicken Run diventata leggenda, ma in fondo era probabilmente già morto prima, doveva esserlo dentro per pensare che valesse la pena rischiare di finire in fondo ad un burrone. Alla fine, neppure per lui riusciamo a provare astio od odio, così come non vi riesce Jim. Da certi punti di vista in realtà, sa che lui e Buzz sono uguali. Quanti volte abbiamo letto di ragazzi che perdono la vita a causa di gesti avventati e senza senso? Oggi si parla molto di ciò che Facebook o Tik Tok possono generare, ma era solo ieri che alcuni gettavano sassi da un cavalcavia, abbracciavano violenza, eversione o autodistruzione. Gioventù Bruciata ci mostra il branco, la sua scarsa intelligenza collettiva, il suo ancorarsi ad istinti primordiali fatti di forza ed apparenza, che altro non sono in realtà che lo specchio della stessa società adulta che quei ragazzi hanno di fronte.
Jim si muove dentro una prigione fatta di persone, di steccati, auto, poliziotti imbelli, è un piccolo universo claustrofobico e soffocante, che la regia di Ray rende palpabile mentre schiaccia i protagonisti, li costringe ad ammassarsi dentro stanze, addosso ad altri corpi tra le tenebre, mentre Dean mette in scena quella che in realtà era stata la sua vita, di ragazzo quacchero fuggito di casa per inseguire la sua libertà ad ogni costo. La famiglia è una terra ostile, ma è anche qualcosa a cui gli stessi protagonisti tendono, cercano, aspirano, promettendo di non lasciarsi mai, di fuggire assieme, di creare "altrove" un loro piccolo mondo perfetto, dove se non altro non vi sarà nessuno a cui rendere conto di nulla. Jim è solo l'ennesimo ribelle di Ray, che parlerà della collera giovanile contro il mondo anche in La vera storia di Jess il bandito, La donna del bandito o I bassifondi di San Francisco. La periferia, la gioventù abbandonata e condannata a ripetere gli errori dei padri, a ripetere le loro esistenze insignificanti, la violenza che esplode come inevitabile richiesta di aiuto e di sovversione di una prigione esistenziale.
Un film che ha cambiato la percezione della giovinezza
James Dean cambiò completamente la percezione cinematografica dell'età giovanile. Il suo sorriso tormentato, le sue lacrime, la rabbia per la morte di Plato, sono lo specchio di ogni gioventù, di ogni generazione che di fronte al passaggio d'età, non sa cosa vuole e chi vuole essere, rifiuta la realtà. Il cinema (ieri come oggi) spesso ha descritto quell'età, quel periodo della vita in cui si passa dall'essere ragazzi ad essere adulti, in modo romantico, retorico, entusiasta ed ottimista. Gioventù bruciata invece ce ne mostrò il dramma, il dominio dell'incertezza, la violenza che dall'anima cercava una valvola di sfogo, un rifiutare le regole dei "grandi", il dover percorrere la loro stessa strada. Oggi, in questo mondo piegato dalla pandemia, in fondo assistiamo ad identiche esplosioni di rabbia, a giovani bande che si danno appuntamento per far esplodere la stessa violenza, la stessa insofferenza di Jim, che rinnegava il mondo e sentiva i propri genitori come due elementi estranei al proprio universo. Più che un film di formazione, Gioventù Bruciata fu un film di non formazione, di come la società americana, gli adulti che erano stati ragazzi ai tempi della Grande Depressione, non fossero riusciti ad andare oltre la loro vita, il loro egoismo, il loro sogno americano. Di lì a pochi anni, le bande giovanili, poi la contestazione, l'amore per quel Presidente così giovane e morto troppo presto, come James Dean, come quei ragazzi mandati in Vietnam. Non è un paese per vecchi perché non è per i giovani, il loro destino (che poi è quello dei loro coetanei) viene deciso altrove, a loro non resta che sfogare la loro rabbia verso la vita e un futuro che non sarà nelle loro mani. E oggi, a tanti anni distanza, dobbiamo ammettere che non è cambiato nulla per loro, solo i vestiti, la musica, e le auto dentro cui sognano di scappare da un futuro deciso da altri.