Parlare di James Cameron, un genio del cinema dalla filmografia (quasi) perfetta, autore negli ultimi vent'anni di due dei più grandi successi della storia della settima arte, vincitori di 14 Oscar e vere e proprie esperienze cinematografiche collettive, documentarista capace di scendere nelle profondità dell'oceano, pioniere dello sviluppo tecnologico, regista, produttore, scrittore e montatore dei suoi film, è un'impresa non da poco. Si tratta di condensare in poche righe una persona che va decisamente oltre il semplice "uomo di cinema" e che, scherzando solo a metà, può autodichiararsi "Re del mondo" davanti ai suoi stessi colleghi. Da anni, James Cameron sta lavorando ad Avatar 2, sequel che arriverà nelle sale, dopo una lunga serie di rinvii, nel dicembre 2021. C'è grande attesa per l'uscita del film eppure sembra trattarsi di un'attesa quasi silenziosa e gli ultimi insuccessi al botteghino come produttore per Cameron sembrano dare un ritratto di un re che non pare comprendere più l'elemento essenziale del suo successo: il bisogno del popolo.
"Facevamo la storia in quel momento"
Gran parte della carriera di James Cameron, sin dal suo primo vero film (escludiamo quel Piranha Paura dal quale fu licenziato dopo due settimane di produzione), si basa su opere di fantascienza. Che possa incorporare elementi horror e sia a basso budget (Terminator), che contenga l'action spettacolare (Aliens, Terminator 2), il mistero dell'ignoto (The Abyss) o l'esperienza immersiva ad alto budget (Avatar) solo due film della sua filmografia non hanno a che fare con il genere. La fantascienza è un genere rischioso per arrivare al grande pubblico, perché occorre particolare inventiva, creatività e mestiere per fare in modo che lo spettatore creda al mondo rappresentato e alla storia raccontata. La storia di Cameron è costellata da doppi successi: le sue opere più note e più celebrate, escludendo gli ultimi due kolossal che meritano un discorso a parte, non solo sono opere di fantascienza, ma sono addirittura dei sequel.
Si potrebbe affermare tranquillamente, senza far torto a nessuno, che Aliens - Scontro finale possa essere migliore dell'originale di Ridley Scott (con una precisazione: sono film completamente diversi) oltre a essere l'unico sequel pienamente riuscito della saga. Lo stesso Terminator 2 - il giorno del giudizio supera di gran lunga il primo capitolo, per qualità, sceneggiatura, grandeur e idee visive (anche qui: il primo Terminator, è bene ricordarlo, era un piccolo film low budget di serie B). A margine, ricordiamo il lavoro di Cameron alla sceneggiatura di Rambo 2: La vendetta, uno degli episodi più amati sul personaggio interpretato da Sylvester Stallone. James Cameron, dati alla mano, in base agli incassi e alla memoria collettiva, sembra essere l'uomo giusto, l'autore che sa come scrivere dei sequel. Per questo l'annuncio di realizzare ben quattro seguiti del suo ultimo capolavoro, quell'Avatar che quest'anno compie dieci anni, opera-mondo in cui il genio di Cameron trova compimento, non dovrebbe preoccuparci. Sulla carta.
Aliens e Terminator 2: perché James Cameron è il re dei sequel
"Questa nave non può affondare!"
Solo due film negli ultimi ventidue anni per James Cameron: Titanic (1997) e Avatar (2009), il primo un esempio di cinema hollywoodiano classico con tecnologia digitale "invisibile"; il secondo cinema d'avanguardia mascherato da blockbuster composto da performance capture, mondi digitali e occhialini 3D per creare un'esperienza innovativa e immersiva in sala. Entrambi i film, prima della loro uscita, sembravano dei progetti bigger than life, troppo grandi per definirsi riusciti, troppo grossi per poter essere gestiti da un regista che si era specializzato in film action e di fantascienza ed entrambi dalla produzione travagliata che accumulava ritardi sulla data di uscita. Per la stampa dell'epoca, Titanic era destinato ad affondare come la nave che voleva mostrare nel grande schermo.
Dodici anni dopo si ripresentavano gli stessi timori anche grazie al primo weekend di Avatar al botteghino che non fece i numeri a cui oggi siamo abituati per poter definire un film un successo (per dare qualche proporzione: Avatar aprì nel mercato statunitense con solo 77 milioni d'incasso contro i 357 di Avengers: Endgame). Sappiamo il finale della storia: Titanic diventò il maggior successo della storia del cinema e si portò a casa 11 premi Oscar, Avatar ebbe una tenuta strepitosa e surclassò il record di Titanic. Doppia scommessa vinta per James Cameron che riuscì, a distanza di dodici anni, con due film consecutivi molto diversi tra loro a fare breccia e convincere il grande pubblico a uscire di casa più volte per vedere, rivedere e innamorarsi delle sue opere al cinema. James Cameron, l'inaffondabile James Cameron, sembra davvero fare fede al suo essere "il re del mondo". Resta solo da chiarire di quale mondo.
James Cameron: da Alita ad Avatar, le sue imprese "titaniche"
"Ma prima o poi ti devi svegliare"
Quando uscirà Avatar 2 saranno passati dodici anni dal primo. Nel mentre, il marchio Avatar, nonostante l'incredibile successo di incassi, di pubblico e di critica, sembra non aver seguito le mode e così non ha generato un vero e proprio franchise. Con l'assenza di spin-off, romanzi, fumetti o altre opere collaterali, Avatar è rimasto nella memoria collettiva "solo" come un film in un mondo che si è trasformato socio-culturalmente rivoluzionando il campo dell'intrattenimento. La tv on demand e i servizi streaming hanno rilasciato un'enorme quantità di film e serie tv diventando il polo d'intrattenimento più richiesto, sempre disponibile in qualsiasi dispositivo. I social network e il loro uso quotidiano hanno modificato la fruizione delle opere audiovisive e il marketing che queste generano: oggi una serie o un film si può definire di successo (anche) in base agli hashtag, alla classifica dei trending topic e alla quantità di meme che vengono pubblicate e condivise nelle bacheche di Facebook. Il cinema è diventato un luogo che predilige i film evento o una certa fidelizzazione a un brand o a un franchise consolidato: i film Marvel Studios e, in generale, i cinecomics, la saga di Star Wars, Fast & Furious, giusto per citarne alcuni. Ultimo aspetto, ma non per importanza, il ritmo della fruizione è aumentato diventando frenetico: una serie tv va guardata tutta d'un fiato (il fenomeno del bingewatching) il primo giorno d'uscita per poterne parlare online evitando gli spoiler e per trovarsi pronti la settimana successiva a divorarne una nuova.
In questi dodici anni, James Cameron si è rifugiato nel mondo di Pandora per espanderlo, scrivere sceneggiature, sviluppare idee sia narrative che tecnologiche. Ogni tanto il suo ritorno sulla Terra si basava su qualche dichiarazione relativa ad Avatar 2, a riprese che dovevano iniziare e che poi non partivano o a date di uscita improbabili poi puntualmente smentite. Solo nell'ultimo anno, ma per cause di forza maggiore come l'acquisizione della 20th Century Fox da parte della Disney, il marchio Avatar è stato timidamente rispolverato, ma senza provocare particolare entusiasmo come poteva essere l'annuncio di una nuova trilogia di Star Wars.
Blu è il colore del cuore
James Cameron, nel frattempo, è tornato in veste di produttore e sceneggiatore per due film. Il primo in ordine di uscita è stato Alita - Angelo della battaglia, progetto a lungo desiderato dal regista e sempre posticipato. Il film diretto da Robert Rodriguez non è stato un gran successo al botteghino tanto da rinviare la produzione di un sequel. Anche se visivamente sembra centrato, è proprio nella sceneggiatura che il film contiene il suo maggior difetto. Alita è un film che, pur arrivando al limite della sufficienza, sembra già invecchiato e non inserito nella contemporaneità. Un ottimo film se fosse uscito quindici anni fa, ma anonimo per il target a cui fa riferimento nel 2019. Stessa sorte, se non peggiore, è accaduta col quinto capitolo della saga di Terminator uscito nelle sale qualche mese fa. Pubblicizzato col beneplacito di James Cameron (ancora co-sceneggiatore) e venduto come il vero sequel al suo film del 1991, Terminator: Destino Oscuro è stato un sonoro flop al botteghino, meno redditizio dell'infausto Terminator: Genisys di qualche anno fa.
Terminator - Destino oscuro, recensione: anche la saga di James Cameron si risveglia
Notizia di qualche giorno fa, il regista del film Tim Miller ha avuto modo di puntare il dito contro Cameron, colpevole di avergli tolto potere decisionale in fase di scrittura e in fase di montaggio. Non proprio un'ottima pubblicità per il "re del mondo" che ha visto pure i titoli dei sequel di Avatar sbeffeggiati dall'utenza dei social network quando annunciati (dirà che si trattava di titoli provvisori) e fu criticato aspramente quando si lasciò andare a commenti abbastanza severi sui film di supereroi di maggior successo. Il panorama, quindi, appare parecchio infausto per "Iron Jim". Se un ottimo reparto marketing come quello della Disney riuscirebbe sicuramente a dare nuova linfa al marchio Avatar, ben più complicato sembra riuscire a riaccendere l'amore e la fiducia del pubblico nei confronti del marchio James Cameron. La sensazione, più grave di alcuni passi falsi del regista, è che non ci sia un grande pubblico interessato a un sequel di Avatar e questo perché Avatar, dopo soli dieci anni, sembra un film molto più lontano nel tempo. Inoltre le ultime scelte creative di Cameron sembrano essere ancor più lontane dal gusto del pubblico contemporaneo dando vita a un corto circuito comunicativo in cui l'offerta non corrisponde alla domanda.
Potremmo chiederci se James Cameron restando concentrato sul suo mondo di alieni Na'Vi abbia trascurato il mondo da cui proviene perdendo di vista e non riuscendo a intuire le trasformazioni della fruizione e dei gusti del pubblico. Sarebbe, però, ingeneroso nei suoi confronti perdere la fiducia verso i suoi progetti del cuore. D'altronde, già per due volte, quando si pensava al fallimento, James Cameron ci ha invece regalato le migliori esperienze cinematografiche collettive degli ultimi anni.
"Il futuro, di nuovo ignoto, scorre verso di noi, e io lo affronto per la prima volta con un senso di speranza."