Ce l'aveva scritto nel DNA, Jake Gyllenhaal: il suo destino era quello di diventare uno degli attori più apprezzati di Hollywood. In quegli occhi profondi come oceani, e nello sguardo dalle mille sfumature, si intravede sin da subito un talento pronto a sbocciare, maturare ed esplodere in una e mille esistenze. Nato il 19 dicembre del 1980 a Los Angeles, Jake Gyllenhaal si approccia immediatamente, e con fare sicuro, all'universo della Settima Arte. La sua è una conoscenza che prende vita all'interno delle mura domestiche: il padre Stephen è regista, la madre Naomi invece è sceneggiatrice e la sorella Maggie è anche lei attrice. I suoi padrini sono poi personalità del calibro di Jamie Lee-Curtis e Paul Newman.
Gli anni passano e le porte su un mondo in perpetuo cambiamento si aprono per Jake. Il ragazzo non ha paura, si fa influenzare dall'universo che lo circonda in ogni sua sfumatura, carpendone i segreti nascosti e sviluppando un mimetismo camaleontico. E così, quel ragazzo che a soli 11 anni faceva il suo debutto davanti alla macchina da presa di Ron Underwood nel film Scappo dalla città - la vita, l'amore e le vacche, ha affrontato ogni tipo di genere cinematografico, dal disaster-movie (The day after tomorrow), al biopic (Stronger - Io sono più forte), alle pellicole ambientaliste (Okja) ai cinecomic (Spider-Man: Far From Home) fino ai blockbuster (Prince of Persia - Le sabbie del tempo). Una carriera eterogenea e diversificata, ricca di sfide perse, ma anche molte vinte. Da questo pantheon di ritratti immortali di uomini fatti di tic, comportamenti ossessivi, slanci pindarici e gesti affettuosi, abbiamo selezionato i 15 migliori film di Jake Gyllenhaal. Dieci titoli in cui quegli occhi profondi diventano cielo in tempesta, o correnti calme da attraversare e da esse lasciarsi cullare.
Jake Gyllenhaal si racconta a Roma tra Donnie Darko... e Fellini
15. Stronger (2017)
Ispirato agli eventi che hanno cambiato totalmente la vita di Jeff Bauman, il quale ha perso entrambe le gambe a seguito dell'attentato terroristico alla maratona di Boston, Stronger si concentra più su quanto segue a tale catastrofe, più che sull'attacco in sè. Nessuna caccia alle streghe dunque, ma un viaggio nel buio intenso dell'animo umano alla ricerca di un barlume di felicità. È Jeff il fulcro della storia. È quella montagna russa chiamata vita, fatta di alti e innumerevoli bassi che deve far illuminare gli occhi degli spettatori e bagnarli di lacrime e commozione. Data la mono-focalità dell'interesse diegetico verso il protagonista, c'era bisogno di un attore capace di tenere lo schermo con il solo potere dello sguardo. C'era bisogno di un attore come Jake Gyllenhaal. Lenti scure, capelli mossi e scompigliati, felpe larghe che lo fanno apparire ancora più magro di quanto egli già sia. La performance di Jake vuole ricordare solo a grandi linee il vero Bauman. In lui non vi è alcuna intenzione di imitare fisicamente il suo personaggio. È nello sguardo, nella profondità di quegli occhi scuri che tentano di celare il dolore, simulando una serenità che non c'è, che si ritrova il vero Bauman.
14. Demolition - amare e vivere (2015)
Il giorno in cui la sua giovane moglie muore tragicamente, incapace di comprendere e così accettare la notizia appena ricevuta, Davis si appresta ad acquistare qualcosa da un distributore automatico che s'inceppa. In quel meccanismo fuori uso si ritrova l'apatia di un corpo che non risponde agli stimoli, di una mente che non lavora pù, di un'interiorità svuotata, demolita. Ma dopo ogni devastazione, non può che esserci la ricostruzione di un palazzo interiore più grande, più forte, più bello. Demolition di Jean-Marc Vallée segue questo processo di ristrutturazione fisica e psicologica. Davis distrugge per poter ripartire, forte di una performance potente, come quella di Jake Gyllenhaal.
13. Source Code (2011)
Un treno in corsa; l'incontro con una donna mai vista; la sensazione di vivere una vita non propria; e poi l'esplosione. Una successione di eventi pronti a reiterarsi all'infinito, almeno finché il capitano Colter Stevens non riuscirà a disinnescare una bomba e trarre in salvo le centinaia di passeggeri presenti su un convoglio ferroviario. Con Source Code Duncan Jones torna a giocare con i (mal)funzionamenti della mente umana al servizio delle tecnologie più avanzate. Il film è un meccanismo cerebrale e tecnologico che vive di vita propria: a dare ritmo al suo cuore pulsante è soprattutto l'interpretazione di Jake Gyllenhaal, ancora una volta a suo agio nel dar vita a identità multiple e maschere profonde, tutte dotate di una propria personalità.
12. Brothers (2009)
Uno dei film più sottovalutati, eppure più intensi dal punto di vista attoriale, della filmografia di Jake Gyllenhaal. L'amore fraterno che va a scontrarsi con quello passionale nei confronti della propria cognata (Natalie Portman), fa di questo triangolo sentimentale una galleria del genere umano, tra debolezze recriminazioni, bugie, dolori mai espiati, passioni mai sopite e legami famigliari indissolubili. Remake in chiave americana del film danese di Susanne Bier (Non desiderare la donna d'altri), Brothers si concentra soprattutto sulla lacerazione degli affetti e delle emozioni al cospetto della guerra. Un'attenzione, questa, che fa del film di Jim Sheridan un nuovo capitolo di quel sottogenere del melodramma del reinserimento, dove il ritorno a casa di un reduce si sveste di eroismo e pacche sulla spalle per tramutarsi in dolorose pugnalate alle spalle.
11. Wildlife (2017)
Non è facile essere figli quando i tuoi genitori decidono di separarsi. Ti senti impotente, terra di confine, neutrale, circondata da due zone che emanano sentore di bruciato e distruzione. In Wildlife, film d'esordio del talentuoso attore Paul Dano il quattordicenne Joe assiste inerme alla fine dell'amore tra la madre Jeannette (Carey Mulligan) e l'adorato padre Jerry (Jake Gyllenhaal). Il film è un melodramma in cui i silenzi colpiscono al cuore più delle urla. La regia di Paul Dano gioca su inquadrature fisse e in asse, che imprigionano i personaggi tra loro i bordi, mentre l'ambiente in cui si ritrovano a (soprav)vivere li lega a esso senza via di uscita. E intanto fuori l'incendio brucia intere foreste, lasciando il terreno secco e deserto, proprio come bruciato è il filo che legava Jerry a Jeannette.
Leggi anche: Storia di un matrimonio finito: 10 film su coppie che si lasciano
10. I fratelli Sisters (2018)
Superficialmente potremmo inserire il film di Jacques Audiard entro i facili confini del western, ma così non è. Nonostante l'opera preveda tutti i passaggi narrativi obbligati del genere, ognuno di questi presenta una particolarità che la rende irriducibile all'omologazione. Con I fratelli Sisters il regista Palma d'oro a Cannes ribalta gli stereotipi, li interiorizza e li fa propri, sottomettendoli a conflitti personali di personaggi mai statici, ma in perpetuo movimento, sia fisico che emotivo. Un'oscurità interiore che danza nel profondo. Un buio accecante nella loro profondità che sottolinea le paure e le lotte interiori con cui si raffrontano i protagonisti. I Fratelli Sisters da complesso unito, compatto, in perfetta sincronia, diventano due cantanti singoli. Ecco allora che la storia principale, la mano che tiene il filo dell'intreccio, si assottiglia sempre più. Il punto di incontro dei personaggi non sarà più lo scontro come vorrebbe il più classico dei western, bensì l'unione, l'ordine che scaturisce dal disordine. E sebbene non rivesti il ruolo di protagonista, anche nel suo relegato a personaggio secondario Jake Gyllenhaal riesce a bucare lo schermo, unito e sostenuto da una chimica invidiabile con Riz Ahmed.
9. End of Watch - Tolleranza zero (2012)
Se già lo schermo cinematografico ci chiama a sé immergendoci nell'illusione del reale, quando tutto il film è giocato su una ripresa amatoriale a opera di uno dei protagonisti, allora si trasforma veramente di realtà. Quelli ripresi da Brian Taylor (Jake Gyllenhaal) e Mike Zavala (MIchael Peña) non sono solo giorni di servizio al dipartimento di polizia, ma saggi audio-visivi su un'amicizia tramutatasi in rapporto quasi fraterno. Senza Jake Gyllenhaal e Michael Peña il film di David Ayer sarebbe solo un susseguirsi di virtuosismi stilistici, ma grazie alle loro performance tutto in End of Watch - Tolleranza zero si tinge di complicità, empatia, e adrenalina.
8. Prisoners (2013)
La scomparsa di due piccole amiche e la vendetta nei confronti dell'orco che ha sottratto a due famiglie della provincia americana la loro pacifica tranquillità: parte da questa contrapposizione narrativa Prisoners, film di Denis Villeneuve del 2013 impreziosito da un cast di prestigio (Hugh Jackman, Paul Dano) che dona all'opera quell'alito di drammaticità e suspense che dilania le viscere e soffoca il respiro degli spettatori. Jake Gyllenhaal interpreta il detective Loki, uomo intuitivo e dalla mente brillante, le cui indagini incrociano vendette personali e sofferenze indicibili. Perché dinnanzi all'universo fatto di torture, silenzi e omissioni con cui si trova a interagire, nessuno finisce per mostrarsi innocente, ma solo fragilmente e fallacemente umano. E così il mostro diventa vittima, e la vittima mostro in uno scambio di ruoli manovrato con tensione e maestra dal regista canadese.
7. Jarhead (2005)
La guerra fa schifo. Il petrolio che sporca il viso è dello stesso colore di un combattimento che tarda ad arrivare oscurando il cuore dei soldati lasciati soli, in perenne attesa, nel bel mezzo del deserto iracheno. Diretto da Sam Mendes e tratto dall'autobiografia di Anthony Swofford, Jarhead è un'istantanea onesta, e per questo ancor più dolorosa, della vita da marine. Una promessa di rivalsa, di eroismo, di chiamata alle armi, che si tramuta in una porta aperta sul maelstrom delle proprie ossessioni; i fantasmi del passato sono adesso liberi di fuoriuscire dominando l'anima di questi soldati americani lasciati in balia di loro stessi in piena Guerra del Golfo. L'insensatezza di quelle battaglie mai combattute si insidia negli interstizi della mente mentre tutto attorno a loro prende fuoco, si incendia, proprio come la loro anima innocente e pura, ora ricoperta di un colore nero pece: il colore del petrolio.
6. Donnie Darko (2001)
Il film che ha lanciato la carriera di Jake Gyllenhaal. Insuccesso commerciale adesso eletto allo stato di cult, Donnie Darko di Richard Kelly supera indenne il passare del tempo grazie alla sua aura sinistra di opera innovatrice, straniante, investita di morte. La schizofrenia di Donnie è una miccia pronta ad accendersi, innescando una bomba che dilanierà un nucleo domestico ordinario, ma in precario equilibrio tra il mondo reale e quello immaginato dal giovane protagonista. Danza macabra infarcita di allucinazioni (indimenticabile il coniglio Frank), premonizioni e segreti indicibili dell'animo umano, Donnie Darko continua ad attirare nella propria tela generazioni di spettatori, il tutto al ritmo dell'ancora commovente Mad World di Gary Jules.
Donnie Darko: guida all'interpretazione
5. Zodiac (2007)
I capelli bagnati, gli occhi assonnati eppure spalancati in un'espressione di paura atavica. Poi un sussurro angoscioso, che prende vita dalla profondità dell'anima: "are you sure there's nobody in the house?". Nello spazio della celebre scena della cantina si raccoglie la duplice anima del personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal in Zodiac, uno dei massimi vertici della carriera di David Fincher. Ligio al lavoro, eppure spaventosamente umano, deciso a risalire alla verità e allo stesso tempo timoroso nel riuscirci: eccolo, è il vignettista Robert Graysmith interpretato dall'attore con attenzione e cangiante adattamento ai diversi umori che investono questo personaggio durante la sua estenuante ricerca dell'assassino dello Zodiaco.
Nei labirinti oscuri di David Fincher: sette vizi capitali di un regista inquieto
4. Enemy (2013)
L'incontro con il proprio sosia, contenitore privilegiato della parte più oscura di noi stessi, è una delle tematiche più ricorrenti al cinema. Dopo Bertolucci, Aronofsky e David Fincher, nel 2013 Denis Villeneuve si addentra nell'universo del doppio e con Enemy fa suo questo tema, complice la presenza di un attore come Jake Gyllenhaal. Insieme i due trasformano il presente diegetico in una struttura labirintica in cui il protagonista e il suo sosia (Adam e Anthony) si perdono, per rincontrarsi, scontrarsi, unirsi. Ispirato a L'uomo duplicato di José Saramago, Enemy è la perfetta istantanea di una forzata adesione a convenzioni sociali in cui noi stessi non crediamo, ma a cui accettiamo inconsciamente di sottostare. Una costruzione lacerante, la cui portata (auto)esplosiva è così potente da scindere l'uomo portandolo a diventare nemico di se stesso e del suo riflesso socialmente accettato.
Gemini Man e il tema del doppio: 10 film in cui gli attori si sdoppiano
3. Lo sciacallo - Nightcrawler (2014)
Alfred Hitchcock ci aveva avvisato: siamo diventati una massa di Peeping Tom. Una predisposizione voyerustica, la nostra, che ci spinge a scrutare oltre il nostro giardino, là dove lo sguardo non può e non deve arrivare. Sfruttando quella macabra attrazione mediatica per i casi di cronaca nera, il piccolo schermo si tramuta sempre più in uno spettacolo dell'orrido. Ed è con l'accensione della propria telecamera che si fa largo nel buio della notte Louis, artefice di servizi pronti a speculare sul dolore delle vittime in una commistione tragica di lacrime, sangue e polvere. In Lo sciacallo - Nightcrawler di Dan Gilroy (regista che dirigerà nuovamente l'attore in Velvet Buzzsaw) Jake Gyllenhaal si nasconde dietro gli occhi spalancati del proprio personaggio, uomo la cui sete di celebrità sarà soddisfatta solo con il girare del nastro e la registrazione in diretta della morte in atto. Privo di scrupoli e sospinto dal fuoco dell'ambizione, Louis è un self-made man tipicamente americano, con la differenza che per pagare il pedaggio della celebrità l'uomo impiega come pegno la morte e la sofferenza altrui.
2. Animali notturni (2016)
In Animali Notturni la vendetta ha la consistenza di una pagina; il suo odore, acre e pungente, è quello dell'inchiostro che si rapprende sul foglio di carta. Nel mondo di Susan Morrow (Amy Adams) e dell'ex marito Edward (Jake Gyllenhaal), i dolori, le recriminazioni e le parole mai urlate hanno la forma di un racconto dilaniante, struggente, della stessa sostanza di cui è fatto un tradimento.
Tom Ford ci regala (come potete leggere nella nostra recensione di Animali Notturni) una delle performance più struggenti e introspettive di Jake Gyllenhaal, qui alle prese con un racconto dal quale lo spettatore esce sconvolto, tramortito, distrutto, perfetto riflesso reale di quella parabola del matrimonio vissuta dal protagonista sullo schermo.
1. I segreti di Brokeback Mountain (2005)
È il 2005 quando arriva al cinema I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee. In quei silenzi assordanti di due giovani cowboy innamorati nel Wyoming degli anni Sessanta, si nasconde tutta la forza di un amore puro, bruciante, ma drammaticamente represso. Nei panni di Jack Twist, Jake Gyllenhaal prenota il proprio posto all'interno dell'Olimpo di Hollywood, affermandosi come uno dei talenti più puri della sua generazione. In ogni gesto, sorriso, o lacrima trattenuta, il suo Jack Twist si tramuta in una girandola di emozioni, tutti reali, tutti tangibili. I suoi occhi ricolmi di sentimento e quelle mani brucianti di passione per Ennis Del Mar (un indimenticabile Heath Ledger) sono mitragliatrici pronte a colpire con mille e più pallottole il cuore dello spettatore. Sottomettendosi al volere della società, il suo personaggio ostenta una virilità che lo lacera, lo atterra, mentre ogni battito del suo cuore gli brucia pian piano l'anima. Tutte sfumature, queste, che Jake Gyllenhaal traduce con straordinaria semplicità per mezzo di una mimica espressiva mai esacerbata, ma giocata in silenzio, lasciando che siano i suoi occhi a investire, come un mare in tempesta, ogni singolo spettatore, affogandolo nell'emotività del proprio personaggio.