J.J. telefono casa
Nell'estate del 1979, il tredicenne J.J. Abrams aveva appena iniziato a sognare, grazie all'impatto che avevano e avrebbero avuto sul suo giovane immaginario le opere di diversi cineasti (e di uno in particolare) dalla mano particolarmente felice a cavallo degli anni '70 e '80. Un paio di anni dopo, il promettente J.J. partecipò al un concorso con un film in super 8, e la copertura mediatica che l'evento ebbe gli valse una telefonata da parte dell'assistente del suo idolo, Steven Spielberg. E' un sogno in Super 8 anche quello del pubescente Charles, che nell'estate del '79, appunto, recluta il suo amico per la pelle Joe perché dedichi le sue vacanze ad aiutarlo con The Case, uno zombie movie artigianale che va assolutamente ultimato in tempo per una competizione regionale. Joe, che si occupa di make up ed effetti speciali ed è ancora profondamente turbato dalla recente perdita della mamma, rimasta uccisa in un incidente nella fabbrica dove lavorava, s'impegna con tutto sé stesso nel progetto, soprattutto quando viene a sapere che Alice, la ragazzina che ammira segretamente, ha accettato il ruolo della moglie dell'eroe. Così un giovane e timido amore sboccerà tra un ciak e l'altro, e un'avventura inimmaginabile inizierà quando Joe, Alice, Charles, Cary e Martin, impegnati a girare vicino ai binari della stazione locale, assisteranno a un misterioso e rovinoso deragliamento che condurrà presto un distaccamento dell'esercito in quel di Lillian, Ohio.
I rimandi di Abrams, qui in veste di regista e sceneggiatore, alle pellicole amate in gioventù - classici spielberghiani come E.T. L'extraterrestre e Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma anche titoli che hanno visto Spielberg coinvolto come sceneggiatore o produttore, i vari Gremlins, I goonies, etc. - sono talmente scoperti che non è neppure il caso di starli a sottolineare; sta di fatto che Abrams dimostra di aver appreso splendidamente dal suo maestro come mettere un cospicuo budget al servizio di una storia vibrante, e come riportare l'ormai attempata Settima Arte alla semplicità narrativa e alla grandiosità visiva delle sue origini. Ciononostante, l'elemento action e fantascientifico non è il più importante in Super 8, perché la forza del film è nella dimensione più intima e personale, quella che il regista di Star Trek riesce ad ammantare dell'atmosfera di quelle grandi avventure cinematografiche, curando in maniera maniacale gli elementi d'epoca, dai primi Walkman a My Sharona dei The Knack, e raccontando con onestà e nitore un tempo, un luogo, un'età della vita, e quella dolcezza ineffabile eppure indimenticabile delle estati di quando eravamo ragazzi. A concretizzare questo sentimento universale contribuisce la credibilità dei giovani attori, dal buffo Ryan Lee alla già navigata Elle Fanning, dal soprendente Joel Courtney al determinato Riley Griffiths; nonostante la bravura della Fanning, a dare vigore alla narrazione sono soprattutto i duetti, ricchi di ritmo, realismo e humour, tra questi ultimi due, l'orfano silenzioso e sensibile, la sua casa immersa nel silenzio e nel lutto, e il nerd orgoglioso ed efficiente con la sua grande, affettuosa famiglia e un segreto nel cuore. Perché è vero che il primo amore è il momento più intenso, ma chi è a dare senso a quegli infiniti pomeriggi d'estate se non il tuo migliore amico, i suoi assurdi progetti, le sue piccole gelosie e la sua incredibile lealtà? Altra componente degna di nota del film di Abrams è ovviamente l'elemento metacinematografico, che, prima ancora del precipitare degli eventi, dell'esplodere delle tensioni e dell'avvio dell'azione spettacolare, ci regala quella che è forse la scena più efficace del film, in cui Elle Fanning riesce ad essere doppiamente straordinaria attraverso le lenti della macchina da presa di J.J. e quelle della super 8 di Charles, lasciando di stucco platea e troupe.
Quella meno fortunata è proprio l'anima più fantasy di Super 8, che sembra avanzare su una doppia carreggiata, quella del gruppo e quella dell' "altro". La prima storyline, lo ribadiamo a scanso di equivoci, è riuscitissima; la seconda funziona meno, forse proprio a causa della strombazzata discrezione di Abrams, che sceglie di mostrare pochissimo del nostro ospite, se non la devastazione che si lascia alle spalle, e alla fine ci chiede di empatizzare con lui senza esserci venuto incontro a metà strada. Qui sta forse il motivo per cui Super 8 non meriterà un posto nella storia del cinema accanto ai suoi illustri modelli, ma solo quello di progetto finora più ricco, toccante e personale all'interno della filmografia di un regista che ha ancora molto da dire - e noi pendiamo dalle sue labbra.
Per concludere, dovesse cogliervi l'irrefrenabile impulso di scattare in piedi al momento dei titoli di coda, non fatelo, restate dove siete, anche se avete l'auto in doppia fila. Ci sono cose che valgono bene una multa... and this is The Case.
Movieplayer.it
3.0/5