Il cinema di genere, ma anche il ruolo dell'attore, e poi il set, il palcoscenico e le consapevolezze, ramificate attraverso un percorso che parte da molto lontano. Mezz'ora al telefono con Ivan Boragine per parlare di cinema e di vita (due cose che spesso si sovrappongono). Mezz'ora al telefono parlando del suo ultimo ruolo, ossia un poliziotto ambiguo ne Il diavolo è Dragan Cygan noir urbano diretto da Emiliano Locatelli (girato low budget), e parlando anche della sua Napoli - "una città ritrovata", ci spiega - e di quanto ogni visione in qualche modo influenzi il suo lavoro d'attore. Lui, che la recitazione la porta con sé da quando aveva tredici anni, folgorato da Miseria e Nobiltà (interpretando Peppiniello in una recita scolastica), ma costantemente messo alla prova da un'esistenza complessa che lo ha messo di fronte a nuove scelte e nuove possibilità.
Le stesse che lo hanno poi portato nel cast di Gomorra e de La nuova squadra, comparendo anche nella serie cult Mare Fuori. Scelte frutto della sua passione e la sua ostinazione, lottando per un copione che possa offrire i giusti spunti e la giusta complessità, senza rinunciare alla conflittualità, come racconta a proposito de Il diavolo è Dragan Cygan: "Il ruolo che interpreto nel film di Locatelli è il motivo per il quale continuo a fare il mio lavoro. Da giovane, inconsapevolmente e senza strutture, non ci pensavo, ma la contraddizione è il motivo. Solo la contraddizione ti fa allontanare dal basso e dalla standardizzazione".
Ivan Boragine, la nostra intervista
Ne Il diavolo è Dragan Cygan troviamo anche Enzo Salvi, in un ruolo drammatico e inaspettato. Su questo, riflette con noi Ivan Boragine, quando gli chiediamo se ogni grande attore comico è innanzitutto un grande attore drammatico: "Non faccio distinzioni, almeno da quando ho iniziato a studiare. Se sei un attore, devi poterti confrontare con varie tipologie", continua Boragine. "Vieni riconosciuto in maniera più incisiva, ma un attore è un attore. Nel caso di Enzo, tutti lo conoscevamo con una maschera comica, ma poi il talento ti permette di fare ottimi lavori".
Potremmo considerare Il diavolo è Dragan Cygan come un'altra dimostrazione di quanto il cinema di genere sia tornato in Italia. Tuttavia, la strada è ancora lunga per essere nuovamente riconosciuto dal pubblico: "Credo che la tipologia di genere sta ritornando, ma in Italia abbiamo tanti limiti. Anche sotto il profilo del rischio e del sostegno verso qualcuno che vuol creare qualcosa di diverso. Nessuno si inventa nulla di nuovo, ci raccontiamo storie che sono le stesse, però in Italia si ha questa paura di potersi muovere. Il motivo? Per il pubblico, che magari non è abituato a certi progetti. O magari perché è veicolato dai soliti prodotti. La non abitudine porta a volte ad essere critici, ed è un cane che si morde la coda. Il poco sostengo porta a qualità inferiore, e poi non si cresce. Sono un po' amareggiato, perché ho vissuto questa amarezza, ma ad oggi l'ho risolta: sono entrato in una mentalità diversa, anche più consapevole. Ho iniziato a fare questo lavoro per la bellezza e per le emozioni, poi ti ritrovi a dover combattere contro certe idee".
Il sogno di fare l'attore
Se Il diavolo è Dragan Cygan è stato girato low budget, sottolineando l'importanza delle produzioni indipendenti, gli spettatori vivono il cinema come una grande esperienza, dimenticando che ci sono moltissimi film, oltre le saghe, meritevoli di essere visti "Dopo la Pandemia è tornato il cinema come grande esperienza da grande schermo. Però poi, quanti sono i fruitori che vanno a vivere altre esperienze legate alle saghe? Sono relativamente pochi, perché magari oggi preferiscono la televisione. La vita frenetica ci ha allontanato alla nostra dedizione del tempo. Andare al cinema è diventato una fatica, e magari mi vedo una serie su una piattaforma. E attenzione, ben venga: ci hanno aiutato le piattaforme. Però ecco, è difficile spostare il focus del pubblico, al netto di alcuni progetti qualitativamente importanti".
Come detto, Ivan Boragine è cresciuto con il sogno di fare l'attore. Ma come si vive questo obbiettivo da ragazzi? "Ho quasi quarantuno anni, e ho vissuto il pallone, l'amico, la strada. E la difficoltà di dire, da grande voglio fare l'attore, è stata grande. E ho dovuto nascondere questa mia passione per tanto tempo e per tante ragioni. Ne ho fatto un monologo, qualche tempo fa, a riguardo. Quindi sì, la difficoltà è stata molta: per problemi personali non ho esternato la cosa, passando anni a combattere con questa passione. Poi il fuoco sacro mi ha completamente preso, facendo sì che la mia famiglia non fosse scontenta, ma seguendo però la strada voluta. Ho portato avanti più cose insieme, almeno fino a quando la parte artistica si è rafforzata".
Da Mare Fuori a Gomorra
Ivan Boragine, tra l'altro, lo abbiamo visto in due serie diremmo epocali, che hanno la stessa cornice, Napoli. Da una parte Mare fuori, dall'altra Gomorra - La Serie. "Carmine Elia, il regista della prima stagione, mi ha voluto per un cameo. Ho accettato per piacere", confida l'attore. "Non credevo che Mare Fuori diventasse così importante. Però poi ti rendi conto che per come sta andando avanti il mondo della serialità di genere teen ti rendi conto che sì, era tutto già scritto. Sta poi tutto legato alla fortuna, la messa in onda, il passaparola. Un'insieme di cose".
Con Boragine, riflettiamo poi su quanto oggi sia superfluo fare dei distinguo tra cinema e serialità, se pensiamo ad opere come Gomorra. "Non c'è distinzione, ormai. La distinzione è nella struttura e nel racconto, il tempo è più lungo, certo, ma la costruzione del personaggio è la stessa. Varia l'evoluzione, che è più dilatata. Ti confronti con la macchina da presa al cinema, e poi nella serie tv. Non esiste e non deve esistere questa differenza. Come non esiste la differenza tra attori di teatro o di cinema. Cambia la sensibilità di un attore rispetto ad un palco ad un set. Sta all'attore giostrarsi, ma lui interpreta e costruisce".
Napoli, Edward Norton e Al Pacino
A proposito di Napoli, come vive Ivan Boragine una città così complessa e così meravigliosa? "Abito a Roma da anni, ma all'inizio ho avuto un rapporto conflittuale con Napoli. Mi sono distaccato da tutto ciò che era Napoli. L'ho quasi detestata, e ho detestato me stesso. Poi ho capito, e mi sono dato delle risposte: sono fortunato ad essere napoletano. Il mio essere deve fuoriuscire, non posso nascondermi. Guai a chi mi tocca Napoli. È un valore aggiunto per tante cose. Ci vado, ma non spessissimo. Ogni volta che ci vado, però prendo una boccata d'aria. Bisogna coccolare le proprie radici, è quello che ci rende veri e autentici. Se penso alla lingua, anche quella devi saperla utilizzare. Se devi portare una verità, devi portare la tua territorialità e le tue origini".
In chiusura, l'attore racconta a Movieplayer.it quali sono i suoi attori di riferimento: "Uno dei miei attori preferiti è Edward Norton. Poi ti potrei dire i classici, ma negli anni poi sono usciti altri attori che si sono affermati. Heath Ledger è stato un altro punto di riferimento, purtroppo impossibilitato ad esprimersi per i motivi che conosciamo. Per Dragan Cygan un po' mi sono approcciato ad Al Pacino di Serpico, con le chiare distanze ovvio. Ma anche verso Norton, per la conflittualità e per i dualismi. Sono un amante del cinema in generale, e alcune influenze arrivano anche in modo inconsapevole, portandole con te".