Quello resta, tutto ciò che eravamo e tutto ciò che credevamo da bambini, tutto quello che brillava nei nostri occhi quando eravamo sperduti e il vento soffiava nella notte.
Una giornata di pioggia, un bambino in impermeabile giallo, una barchetta di carta che scivola rapida lungo la strada. Nelle prime pagine del suo romanzo più celebre, Stephen King ha descritto una scena che da più di trent'anni si è stampata nel nostro immaginario collettivo, entrando a far parte della cultura popolare di più di una generazione. Perché se, dal 1986 in poi, milioni di lettori si sono tuffati nelle milletrecento pagine di It, oggi un numero altrettanto ampio di persone si prepara ad assistere a It: Capitolo 2, la seconda metà del dittico tratto dal capolavoro di King, appena approdata al cinema.
Forte dell'enorme successo (settecento milioni di dollari e oltre settanta milioni di spettatori) del precedente It, il nuovo film diretto da Andy Muschietti ci riporta a Derry, la fantomatica cittadina del Maine che funge da teatro delle avventure del Club dei Perdenti, per rappresentare l'ultima sfida fra i protagonisti - ormai adulti - e l'incubo che aveva segnato la loro adolescenza: quel terrore multiforme e innominabile, tanto da essere definito semplicemente It, ma che per tutti, ormai, ha assunto le sembianze del clown Pennywise. Eppure, la diffusa fascinazione/repulsione per i pagliacci (si pensi anche alla figura del Joker, altra icona crossmediale che sta tornando sulla cresta dell'onda) è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno assai più complesso, di cui questa pellicola (vi rimandiamo in proposito alla nostra recensione di It: Capitolo 2) costituisce la più recente declinazione.
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Un fenomeno alla cui radice c'è il fervore creativo dello scrittore probabilmente più popolare dell'ultimo mezzo secolo: Stephen King, nato a Portland, settantadue anni il prossimo 21 settembre e una sessantina di romanzi nel proprio curriculum, senza contare la saggistica e una sterminata produzione di novelle. Un narratore infaticabile (la sua ultima 'creatura', L'istituto, arriverà sugli scaffali delle librerie fra pochi giorni), talvolta snobbato da un settore della critica per aver legato il proprio nome alla letteratura horror e di genere, ma che con It, pubblicato nel 1986, ha realizzato uno dei libri più importanti della nostra epoca: per la sua sconfinata ambizione, e non soltanto in termini di 'mole'; per la sua potenza immaginifica, evidente fin dalla vicenda del piccolo George Denbrough, che occupa le prime quindici pagine; per il modo in cui i canoni del thriller soprannaturale sono rielaborati al fine di costruire un appassionante racconto di formazione.
La struttura corale dell'opera; l'incessante mutamento del punto di vista (la focalizzazione si sposta da un personaggio all'altro ad ogni capitolo) e dei piani temporali, con una dicotomia fra passato e presente che in It: Capitolo 2 viene restituita solo in minima parte; la densità iperrealistica delle sfumature e dei dettagli, in grado di conferire un'assoluta credibilità al mondo creato da King. Ma soprattutto l'abilità straordinaria di questo narratore onnisciente, che con sorprendente naturalezza ci fa immergere nella polverosa atmosfera di Derry, con le sue estati assolate e i suoi anfratti gravidi di orrore, e nell'odissea emozionale dei suoi personaggi, destinati a veder materializzarsi i propri incubi.
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È forse il segreto del 'miracolo' di It, o comunque uno degli ingredienti fondamentali del suo successo: il fatto che Stephen King riesca a non farci mai dubitare della profonda, intima verità di quel microcosmo, per quanto esso sia caratterizzato da elementi paranormali e addirittura da episodi visionari. E tale verità appartiene anche ai protagonisti: ragazzi comuni, con tutte le insicurezze, le fragilità e le paure tipiche di quell'età acerba, nei quali non è difficile rintracciare frammenti di noi stessi, della nostra adolescenza e delle ferite (più o meno dolorose) di cui portiamo ancora addosso i segni. Un aspetto al cuore di questo sequel, in cui i membri del Club dei Perdenti assumono i volti di attori quali James McAvoy, Jessica Chastain e Bill Hader (e di interpreti meno noti) per mostrarci il peso di un passato ancora da elaborare e da affrontare.
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Non stupisce, pertanto, che It abbia saputo intercettare fin da subito l'attenzione di un pubblico ampio e trasversale, moltiplicato dall'omonima miniserie di Tommy Lee Wallace. L'It televisivo del 1990, che alla sua prima messa in onda sulla ABC attirò trenta milioni di spettatori negli Stati Uniti, ha funzionato da formidabile cassa di risonanza per il romanzo, nonostante l'adattamento presentasse un discreto numero di difetti. La prima generazione dei futuri millennials, ovvero tutti i nati nella prima metà degli anni Ottanta, all'epoca non aveva certo l'età giusta per cimentarsi direttamente con il libro di King: ciò nonostante Pennywise, nell'impressionante performance di un indimenticabile Tim Curry, è diventato da allora il nostro spauracchio, il termine di confronto per tutti gli altri villain del cinema e della TV.
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A ventisette anni di distanza da quella prima trasposizione, e dopo più di una battuta d'arresto fra progetti annunciati e poi rimandati, nel settembre 2017 It ha festeggiato finalmente il suo esordio al cinema: il film di Andy Muschietti, interpretato da un manipolo di attori giovanissimi e quanto mai azzeccati nei rispettivi ruoli, ha trasferito l'azione dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, evidenziando alcune analogie fra le due epoche (e facendo leva sull'immancabile effetto nostalgia), e ha inserito i classici jump scares all'interno di un coming of age in cui si mescolano tensione, ironia e un palpabile senso di tenerezza. Una formula recuperata a tratti (e in prevalenza nelle analessi) in It: Capitolo 2, in cui è invece accentuata la componente di puro horror, con una presenza ancora più massiccia del Pennywise di Bill Skarsgård.
Se il clown ballerino di Tim Curry, con la sua maschera di trucco bianco, era un antagonista buffonesco e inquietante, l'It di Skarsgård si manifesta secondo una natura ben più bestiale ed esplicitamente 'mostruosa', fra repellenti metamorfosi e scene di estrema violenza. Ancor più del precedente, It: Capitolo 2 risulta influenzato dall'horror mainstream dei nostri tempi, secondo un approccio non molto dissimile da quello del filone di The Conjuring; e pertanto l'orrore, pur non rinunciando del tutto alla dimensione psicologica, è quasi sempre materiale e concreto, scagliato in primissimo piano per colpire i nervi dello spettatore. È uno dei limiti del film di Muschietti, ma anche un sintomo dell'incredibile vitalità di It, della sua capacità di indossare certe convenzioni del cinema odierno, di sapersi rimodellare su una sensibilità contemporanea e di attrarre sempre nuovi adepti nel suo oscuro incanto; come se fosse una storia scritta oggi, anziché più di trent'anni fa. Ma d'altra parte, non è proprio quello che fanno i classici?