"Io non vorrei mai appartenere a nessun club che contasse tra i suoi membri uno come me". È la battuta chiave della mia vita di adulto in relazione alle mie relazioni con le donne.
Se in un lontano futuro i nostri discendenti si interrogheranno sulla realtà dei rapporti di coppia negli ultimi decenni del ventesimo secolo, non ci sarebbe probabilmente una testimonianza migliore di questo assurdo intreccio di desideri, insicurezze e nevrosi di Io e Annie. Rielaborazione semiautobiografica della relazione fra Woody Allen e Diane Keaton, la pellicola del regista newyorkese ha saputo raccontare il sentimento amoroso e le sue contraddizioni come nessun altro film era riuscito a fare prima di allora (dentro e fuori Hollywood), con una sincerità, una profondità ma soprattutto un'ironia che da lì in poi sarebbero diventati marchi di fabbrica del cinema alleniano.
Considerato da sempre, dai fedelissimi di Woody così come dal pubblico in generale, come il "film del cuore" nella produzione del nostro (in un eterno 'duello' con Manhattan, di poco successivo), Io e Annie rappresenta un'opera davvero unica: sia nel panorama del cinema americano degli anni Settanta, sia nel contesto della filmografia coeva di Woody Allen, che fino a quel momento era noto in prevalenza per farse parodistiche e surreali come Prendi i soldi e scappa, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere e Amore e guerra. Da allora Io e Annie avrebbe esercitato un'influenza imprescindibile sul genere della commedia romantica, un'influenza di cui si possono cogliere tracce palesi perfino in altri piccoli e grandi cult movie, da Harry, ti presento Sally al più recente 500 giorni insieme.
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Del resto, che Io e Annie fosse destinato a entrare a far parte della cultura e della memoria collettiva dev'essere apparso evidente praticamente da subito. La love story fra Alvy Singer, comico newyorkese considerato l'ideale alter ego di Allen, e Annie Hall, ragazza deliziosamente naïve che dà il titolo al film nella versione originale (un affettuoso omaggio alla Keaton, il cui vero nome è Diane Hall), incantò gli spettatori fin dalla sua uscita nelle sale, il 20 aprile 1977, diventando il maggior successo commerciale di Allen (diciassette milioni di spettatori nei soli Stati Uniti), e fece incetta di premi, conquistando cinque BAFTA Award, un Golden Globe per la Keaton e quattro Oscar: miglior film, regia, attrice e sceneggiatura originale.
Rivisto a quarant'anni di distanza dal suo debutto, Io e Annie compie un'impresa che ha del miracoloso: la sua godibilità, il suo humour e la sua acutezza riescono ancora oggi ad arrivare dritti al cuore, parlandoci di noi stessi così come hanno fatto con almeno un paio di generazioni precedenti. E per offrire un saggio della straordinarietà di questo film intramontabile, eccovi sette scene chiave per capire la natura innovativa di Io e Annie e le ragioni della sua bellezza senza tempo...
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1. "L'universo si sta dilatando"
Fin dal suo incipit, Io e Annie rompe con le convenzioni della commedia sentimentale per coinvolgerci in maniera diretta nel flusso di coscienza del protagonista. Con camera fissa, sguardo rivolto allo schermo e rottura della "quarta parete", Alvy/Allen ci espone la sua tragica visione dell'esistenza: "Essenzialmente, è così che io guardo alla vita: piena di solitudine, di miserie, di sofferenze, di infelicità, e disgraziatamente dura troppo poco". Dal paradosso iniziale si passa quindi a un flashback di Alvy da bambino, per rintracciare l'origine del suo pessimismo cosmico: la dilatazione dell'universo. "L'universo è tutto e si sta dilatando", spiega il piccolo Alvy; "Questo significa che un bel giorno scoppierà, e allora quel giorno sarà la fine di tutto". "Ma sono affari tuoi questi?", gli urla la madre, inviperita, il cui pragmatismo spicciolo è inconciliabile con la visione più ampia del figlio; "Tu sei qui a Brooklyn, e Brooklyn non si sta dilatando!".
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2. "Ma Santo Iddio Alvy, perfino Freud parla di un periodo di latenza!"
Un'altra tappa nella rievocazione del passato del protagonista consiste nell'esilarante flashback sulla sua scuola, a partire dal corpo docente: "Chi non sa far niente insegna, e chi non sa insegnare insegna ginnastica; quelli che neanche la ginnastica credo li destinassero alla nostra scuola". Freudianamente, Allen collega l'infanzia alla scoperta della sessualità, con un inserto surreale in cui i "baci rubati" dall'Alvy bambino alle sue coetanee richiedono la difesa dell'Alvy adulto, mentre i compagni di classe, altri elementi di questa visione grottesca del passato, dichiarano quale futuro li aspetta.
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3. "Ma lei sa niente di Marshall McLuhan?"
È un capolavoro nel capolavoro, una delle massime vette di comicità del canone alleniano: la divertentissima sequenza della fila al cinema, dove Alvy e Annie discutono animatamente dei loro problemi sessuali in attesa di entrare in sala a vedere il documentario di Marcel Ophüls Il dolore e la pietà, mentre dietro di loro un altro spettatore discetta a ruota libera contro Federico Fellini. Le idiosincrasie di Alvy provocano dunque uno scollamento fra realtà e immaginazione, con il protagonista che si avvicina alla cinepresa e chiede la nostra approvazione, avviando una querelle con il suo vicino di fila e ottenendo un "aiuto a sorpresa": l'intervento del sociologo Marshall McLuhan in carne e ossa, pronto a smentire con fermezza l'altro interlocutore. "Ragazzi, se la realtà fosse così...".
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4. "Hai da fare venerdì sera?"
L'imbarazzo dei primi approcci con la persona che ci attrae, la volontà di fare colpo e il timore di rendersi ridicoli: un groviglio dipinto magistralmente nelle sequenze che descrivono il primo incontro fra Alvy e Annie. Dopo che Alvy ha invitato la ragazza in casa propria, il dialogo fra i due è emblematico delle rispettive insicurezze: Alvy, per darsi arie da intellettuale, si inerpica in uno sproloquio sui "criteri estetici codificati" della fotografia, mentre Annie tenta alla meglio di reggere il confronto. E nel frattempo, il film mostra in modo esplicito la discrepanza tra le frasi dei due e i loro stati d'animo, aggiungendo sullo schermo i sottotitoli ai reali pensieri della coppia.
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5. "La gente è fatta così, l'amore svanisce"
La rottura nel rapporto fra Alvy e Annie suscita nel protagonista laceranti dilemmi, a cui l'uomo tenta di dare risposta rivolgendosi addirittura ai passanti: un altro, magistrale corto circuito fra realismo e astrazione fantastica, in cui l'intera New York sembra partecipare ai patemi del povero Alvy. E infatti, tutte le persone fermate da Alvy lungo la strada gli offrono il loro punto di vista, dalla donna con la busta della spesa che sentenzia un perentorio "L'amore svanisce" a un uomo di mezza età che, alla domanda sui suoi stimoli sessuali, risponde serafico: "Noi usiamo un grande uovo vibrante". Ma c'è pure la coppia che ricollega candidamente la propria felicità al fatto di essere "superficiali e vuoti", per proseguire poi con una confessione a un cavallo (!), accompagnata da un inserto animato, sull'innamoramento di Alvy bambino per la regina cattiva di Biancaneve e i sette nani ("Io non ho mai le mie cose, sono un cartone animato!").
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6. "Ehi, ma hai il sapone nero? Sei sicura che non sia ideologico?"
Un altro momento sublime di Io e Annie, in cui ironia e romanticismo si fondono in un amalgama formidabile: il povero Alvy si precipita a casa di Annie dopo che lei gli ha telefonato alle tre di notte per una non precisata 'emergenza', ovvero un ragno dentro il bagno. La "caccia alla belva", però, è rimandata dai battibecchi fra Alvy e Annie a proposito dei nuovi interessi culturali della donna: "Ma da quando leggi riviste destrorse, in che ti stai trasformando?", le domanda Alvy. "Be', mi piace sentire tutti i punti di vista!"; "Splendido, allora perché non chiami il parroco ad ammazzare il ragno?". Il ragno in questione, fra l'altro, si rivelerà essere ben più 'problematico' del previsto per lo spavaldo Alvy: "È un ragno titanico, vale per due, saranno pasticci... Hai una scopa, o un piccone?".
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7. "La maggior parte di noi ha bisogno di uova"
A conclusione di un film meraviglioso, Alvy ci informa che lui e Annie si sono rivisti un'ultima volta, dopo la loro separazione; sulle note di Seems Like Old Times, cantata dalla voce di Diane Keaton, si susseguono i flashback dei momenti trascorsi insieme, in una dolcissima parentesi di nostalgia e di rimpianto. E a suggellare la memoria del loro rapporto, Alvy/Woody ci consegna un'ultima, impagabile riflessione sul significato delle relazioni umane: "E io pensai a quella vecchia barzelletta, sapete, quella dove uno va da uno psichiatra e dice: 'Dottore, mio fratello è pazzo: crede di essere una gallina'. E il dottore gli dice: 'Perché non lo interna?', e quello risponde: 'E poi a me le uova chi me le fa?'. Be', credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo/donna: e cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi... ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova". Sul serio, riuscite a immaginare un finale più perfetto di così?