Il futuro del cinema italiano si prospetta roseo, come sottolinea la nostra recensione di Inverno, cortometraggio di Giulio Mastromauro fresco di David di Donatello. Un lavoro in parte autobiografico che in quindici minuti racconta una storia di perdita e maturazione. Un coming of age, per dirla alla maniera anglosassone, che getta uno sguardo sul mondo distante, appartato, quasi alieno dei giostrai circensi.
Giulio Mastromauro ripercorre la storia della perdita della madre, avvenuta in tenera età, aderendo al punto di vista del piccolo Timo (Christian Petaroscia), figlio e nipote di giostrai che divide la sua esistenza tra il caravan, la sua casa su ruote, e le giostre che il padre e il nonno gestiscono e manutengono. Purtroppo la madre di Timo è gravemente malata, così il bambino dovrà confrontarsi precocemente con l'assenza, il dolore e l'incertezza di quando sarà costretto a crescere troppo in fretta.
Un team vincente per raccontare la perdita
Giulio Mastromauro non ama la ridondanza delle parole. L'inverno è la stagione della malattia, ma anche del silenzio, delle atmosfere sospese, della riflessione. Ad amplificare questo mood, il regista sceglie come location una periferia spoglia, brulla, semideserta, affidando all'immagine e all'espressività dei suoi interpreti il compito di veicolare il groviglio di sentimenti che provano. Ad accentuare il senso di alienazione, l'uso del greco, lingua madre della famiglia protagonista, nei pochi dialoghi presenti nel film.
Inverno è un lavoro semplice, diretto, senza fronzoli, ma non per questo meno ricco e profondo. Timo si muove in un mondo di adulti in cui nessuno è in grado di rispondere alle sue domande sulle condizioni della madre. Gli adulti, chiusi nei loro silenzi, sembrano incapaci di reagire al dolore. Di fronte alla loro paralisi, l'energia e i sorrisi di Timo, seminascosti dalla chioma riccioluta, rappresentano il motore trainante del cortometraggio. Il piccolo Christian Petaroscia brilla per naturalezza del espressività tanto da reggere i lunghi primi piani che il regista gli dedica in apertura e chiusura del corto. Al suo fianco nel ruolo del nonno complice e comprensivo il grande Babak Karimi, punto di riferimento del cinema iraniano e italiano, Elisabetta De Vito interpreta la nonna e Giulio Beranek il padre affettuoso, ma devastato dal dolore per la perdita della moglie.
Mai sottovalutare la forza dei bambini
Il decorso della malattia della madre di Timo rallenta, ma non blocca le attività lavorative della famiglia. Le giostre invernali spente e immobili fanno da controcanto alla paralisi e alla sofferenza, ma quando arriva il momento di ripartire sarà proprio il piccolo Timo, con la sua vitalità, a dare alla famiglia la forza necessaria. Il film sembra indicare, infatti, che malgrado la sofferenza, è proprio dall'ingenuità dell'infanzia che possiamo trarre la spinta necessaria a ripartire. Sbagliato sottovalutare i bambini, che sembrano possedere risorse assai superiori a quelle degli adulti, come sottolinea il regista:
"Gli adulti spesso commettono l'errore di sottovalutare i bambini. Non li considerano capaci di comprendere le 'cose dei grandi'. Confondono i loro silenzi. Ma la verità è che i bambini percepiscono tutto, soffrono dentro, e arrivano a sentirsi invisibili agli occhi dei grandi perché i loro bisogni emotivi vengono ignorati. La conseguenza è che troppo spesso non riescono ad elaborare gli episodi traumatici della loro vita, perché da soli non hanno gli strumenti per farlo, e per tutta la vita ne porteranno con sé le conseguenze. Fare questo film è stato un modo per me di elaborare, forse per la prima volta, questa dolorosa perdita e, allo stesso tempo, esprimere il mio desiderio di condividerla con chi ha purtroppo vissuto un'esperienza analoga alla mia".
Dopo aver vinto il David di Donatello come miglior cortometraggio, Inverno (Timo's Winter, questo il titolo internazionale) rappresenterà l'Italia agli Oscar 2021.
Conclusioni
Come sottolinea la nostra recensione di Inverno, il cortometraggio di Giulio Mastromauro si focalizza sull'infanzia per raccontare una vicenda in parte autobiografica filtrandola attraverso lo sguardo di Timo, bambino di sette anni che fa parte di una famiglia di giostrai greci. Atmosfere sospese e un cast di talento per raccontare il dolore della perdita attraverso la metafora della giostra e dello scorrere delle stagioni.
Perché ci piace
- Lo stile semplice ed elegante, unito alla scelta dei volti giusti, rende Inverno un lavoro intenso e ricco di suggestioni.
- L'espressività e la naturalezza del piccolo Christian Petaroscia.
- La metafora del mondo circense arricchisce la narrazione di un ulteriore livello aprendo a nuovi scenari.
Cosa non va
- Pochi i difetti da segnalare in un lavoro che, in sedici minuti, racchiude evocazioni e suggestioni parlando di temi come l'infanzia, la perdita e il superamento del dolore.